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La transizione ecologica inizia oggi

Con l’avvento dell’Amministrazione Biden alla volontà delle finanza si è aggiunta la volontà della politica con P maiuscola. Ritorno del multilateralismo e rivitalizzazione del legame transatlantico cambiano lo scenario, ma restano molte cose da fare. Ecco quali secondo Cristiano Zagari, esperto di negoziato internazionale

Sta succedendo qualcosa di estremamente rilevante proprio in questi giorni…

Per rendere l’idea è come sopra alle nostre teste si fosse aperto un vortice in grado di risucchiare riferimenti e certezze fino ad oggi validi.

Questo fenomeno ha un nome (transizione ecologica) un movente (dare una destinazione sostenibile a 120000 miliardi di dollari in cerca di nuova casa) e una data d’inizio: il 10 marzo 2021, ovvero la data di applicazione della prima parte del nuovo Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 in materia di trasparenza circa la sostenibilità nel settore dei servizi finanziari.

Ma perché proprio ora una tale accelerazione?

Perché con l’avvento dell’Amministrazione Biden alla volontà delle finanza si è aggiunta la volontà della politica con P maiuscola.
Per politica con la P maiuscola mi riferisco al ritorno del multilateralismo (anche se ancora in versione minimal) ed, in particolare, alla rivitalizzazione del legame transatlantico (seppure in forma rivisitata).
Il nuovo vento proveniente da Washington ha infatti avuto tra i suoi effetti quello di dare slancio e gambe alla felice intuizione europea di puntare con anticipo alla transizione ecologica.

In particolare, quanto portato in dote da Bruxelles è un lavoro di diversi anni capace di produrre:

  • Un ambizioso Action Plan (in cui vengono delineate la strategia e le misure da adottare per la realizzazione di un sistema finanziario in grado di promuovere uno sviluppo autenticamente sostenibile sotto il profilo economico, sociale e ambientale, contribuendo ad attuare l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile);
  • Una tassonomia volta a scindere tra chi nel mondo economico crede veramente alla transizione ecologica e chi invece fa solo “greenwashing”;
  • Un autorevole cornice regolatoria capace di “irreggimentare” i grandi gruppi del risparmio gestito internazionale (in particolare statunitensi ed asiatici) rispetto agli standard green europei (in teoria limitatamente al Vecchio continente, in pratica, vista la leadership europea nel settore, su tutto il globo).

Che l’impianto costruito a Bruxelles non rifletta le ambizioni di una tigre sdentata, lo dimostra il fatto che alla corsa all’istituzione di Green Bond oltre agli europei e agli statunitensi si stanno iscrivendo altri importanti player internazionali desiderosi di posizionarsi al meglio intorno al nuovo tavolo internazionale del business verde.
In tal senso, un interessante caso di studio è costituito dalla Russia.

La scelta da parte di Mosca d’incaricare VEB RF (Banca di Sviluppo controllata dallo Stato) di creare le condizioni per un mercato russo dei green bond lascia trasparire la volontà da parte di un Paese per tradizione fortemente correlato ai combustibili fossili, di non restare marginalizzato rispetto a quelle che potrebbero diventare le future basi di un nuovo ordine mondiale sia politico che finanziario.

E l’Italia in tutto ciò?

Ad oggi luci ed ombre.

Di positivo c’è il fatto che Il Belpaese ha contribuito fattivamente in fase ascendente alla predisposizione del lavoro europeo citato in precedenza, guadagnandosi per questo motivo da parte degli investitori internazionali un’apertura di credito prontamente dimostrata pochi giorni fa in occasione dell’emissione del primo BTp green (record di domanda per una singola emissione di green).

Purtuttavia molte cose restano da fare…

Primo, manca ancora empatia tra la classe politica nostrana e la sfida in atto.

Al fine di misurare lo “spread empatico” tra noi ed i nostri partner europei si pensi ad esempio al fatto che il dibattito nella politica e nella società tedesca di questi giorni ruota sulla proposta di legge relativa alle “catene di approvvigionamento per la difesa dei diritti umani e per la protezione dell’ambiente”…

Secondo, manca una condivisione di obiettivi tra istituzioni centrali, stakeholder e territori con il risultato che molti progetti vengono bloccati dai vari TAR (si pensi ai 160 impianti di bio-metano fermi in Italia) e altri non decollano per la paura degli stessi imprenditori di restare bloccati (aste Gse in ambito di rinnovabili rimaste deserte o Bando governativo sull’economia circolare fermo dopo quattro mesi a solo un terzo di risorse richieste).

Terzo , manca fluidità all’interno del telaio istituzionale italiano (si pensi ad esempio che il 60% delle richieste di Valutazione d’impatto ambientale e il 76% delle valutazioni integrate ambientali attendono da più un anno).

Quarto, manca una presa in carico da parte delle istituzioni rispetto alla narrazione di questa transizione.
La vicenda che riguarda il Regolamento (UE) 2019/2088 insegna: abbiamo accompagnato la formazione del provvedimento in fase ascendente a Bruxelles negoziandolo con gli altre partner europei ma poco abbiamo fatto poi (ad eccezione della CONSOB e di un po’ di stampa specializzata) per raccontare agli stakeholder nostrani in che modo ciò influirà nelle loro vite.
Questo regolamento che entrerà in vigore (in parte) già il 10 marzo prossimo vincolerà le società di gestione del risparmio, fondi pensione, consulenti finanziari, banche e assicurazioni

  • sia a spiegare nei loro siti web e nell’informativa pre-contrattuale cosa vendono;
  • sia ad informare con una certa frequenza il risparmiatore su cosa sta producendo in concreto il denaro affidato.

Alla luce di ciò risulta del tutto pacifico sostenere che attraverso questo regolamento si iniziano ad intravedere quali saranno i riferimenti imprescindibili della transizione in atto: trasparenza e reputazione.e soprattutto chi sarà il giudice rispetto all’effettiva sostenibilità dell’investimento ovvero il mercato.

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