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Il politico non si può nascondere dietro ai tecnici

Di Nicola Contessi

Il dualismo tra chi ha ruoli politici ed è dunque responsabile delle scelte davanti agli elettori e chi invece ha fatto un cursus honorum nella pubblica amministrazione (grazie alle sue competenze specifiche) serve ad assicurare decisioni che siano al contempo responsabili e competenti, nella normale distinzione dei ruoli. Non dobbiamo rinunciare a questo schema su cui si basano le democrazie moderne, scrive Nicola Contessi

In questo periodo reso cupo e incerto dal perdurare della pandemia, il pubblico dibattito rischia di cadere inavvertitamente in un equivoco. Si tratta dell’idea, ricorrente quanto mal riposta, della superiorità della tecnica sulla politica, nonché quella—che poi è una variante della prima— secondo cui il politico (probabilmente inteso nel senso di ministro) deve avere una competenza tecnica.

Ciò è infondato. In una democrazia parlamentare, il politico è responsabile; il burocrate è competente.

In tale ordinamento, la dottrina della responsabilità ministeriale stabilisce che il governo è un organo collegiale in cui ogni ministro è responsabile sia individualmente che solidarmente in quanto membro del Consiglio dei Ministri. I ministri sono responsabili davanti al parlamento, cui l’esecutivo, che ne è emanazione, è vincolato da un obbligo di rendicontazione. Infatti, poiché esso è l’organo di aggregazione e rappresentazione della volontà del popolo sovrano, il parlamento è il perno della vita politica e istituzionale con funzioni di controllo e trasparenza, oltre alla potestà legislativa.

Pertanto l’esecutivo e/o i singoli ministri sono tenuti a riferire al Parlamento in merito a decisioni e orientamenti intrapresi tempestivamente. Alla base di ciò sta l’idea semplice che nessuna autorità può essere delegata in assenza di un corrispondente esercizio di rendicontazione. Il principio è quello dei pesi e contrappesi che è corollario a quello della separazione dei poteri che è fondamento della governanza democratica.

Viceversa, la sfera della competenza risiede nella burocrazia indipendente che deve dispiegarla in maniera neutrale, leale e professionale. É ruolo precipuo del funzionario quello di fornire pareri esperti fondati su evidenze, sottoponendo ai governanti opzioni politiche diversificate. È sulla base della valutazione di obiettivi, costi, benefici e rischi condotta in consultazione col corpo funzionariale (anche di più dicasteri) che il decisore politico decide, nel pieno esercizio della propria responsabilità. Ogni decisione è poi imputabile davanti al parlamento e, in ultima, davanti all’elettorato. Questo dualismo serve ad assicurare decisioni che siano al contempo responsabili e competenti, nella normale distinzione dei ruoli. Certo, poi i politici devono decidere e non lasciar giacere i fascicoli nei cassetti.

Se la responsabilità del politico è scritta nella costituzione, l’ultimo ventennio dimostra ormai che questo non è una garanzia. Ecco perché la competenza che si richiede a un politico è di natura politica. Quella tecnica, piuttosto, è un accessorio bello da avere. La competenza tecnica del ministro non certifica la sua responsabilità, al contrario. E d’altro canto, il ricorso a soggetti esterni all’apparato burocratico quali “stati generali”, unità operative (task force) o società di consulenza, è una deviazione dalle norme e consuetudini del parlamentarismo. Non foss’altro perché questi soggetti si pongono interamente al di fuori della catena di rendicontazione e del vincolo deontologico che ne deriva.

In cosa constano quindi i requisiti dello statista responsabile? Se l’interesse pubblico dev’essere stella polare, per quanto inevitabilmente interpretato e declinato secondo convinzioni di parte e di coscienza, val la pena sottolineare alcuni tratti. L’interiorizzazione delle regole e delle istituzioni, la comprensione del proprio ruolo e mandato; la credibilità (da misurarsi in base alla capacità di tener fede alla parola data e agli impegni presi con gli elettori –e non già ad astratti criteri esogeni); l’autorevolezza; l’integrità; il giudizio; la produttività; la comprensione e la consapevolezza dei rapporti di forza interni ed esterni; la schiena dritta; lo sguardo sul mondo. Se questa lista è chiaramente parziale e incompleta, in realtà non occorre inventare nulla. Sarà utile, più in generale, fare riferimento a concetti noti alla civiltà. Gli antichi lo chiamavano mos maiorum; Machiavelli la virtù; Weber l’etica dell’equilibrio. L’elevata volatilità del periodo attuale rende tali attributi tanto più pertinenti.

Se per alcune tipologie umane queste doti sono innate, altre le acquisiscono attraverso un cursus honorum.  Si ripropone pertanto il problema della selezione delle classi dirigenti sollevato dal naufragio della “prima repubblica”. Se i partiti devono nuovamente dotarsi di meccanismi di formazione e socializzazione politica; l’istituzione deve dotarsi di un sistema elettorale che ripristini il legame tra elettori ed eletti. Un simile problema, peraltro, riguarda in parte anche la pubblica amministrazione.

L’equivoco di conflare tecnica e politica è insidioso. Nessuna tecnica è un campo monolitico, quale che sia la sfera disciplinare. Infatti tutte le aree del sapere sono solcate da divisioni e dibattiti tra approcci ontologici, teorici ed epistemologici. Questioni che con l’applicazione al mondo reale producono effetti squisitamente politici. Il mantello della tecnica tende quindi a velare e sottrarre alla deliberazione problematiche che devono invece essere esplicitate e risolte a livello politico. Nel migliore dei casi, ciò può aprire la porta a conflitti di interesse, siano essi di natura ideologica o materiale.

Se va male, il rischio è duplice: da un lato quello di decisioni scellerate; dall’altro, quello di estendere la crisi della democrazia in nome di uno scientismo che non è altro che un’illusione astuta. Fa il paio con l’invocazione di fantasmagorici governi degli ottimati, degli elevati, o similari, espressione di un’ulteriore deviazione dalla tradizione democratica liberale che si vuole interclassista e riflesso della società.

Pertanto, lo ripetiamo, il politico deve essere responsabile.

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