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Tutto sul summit Biden-Moon, con un po’ di Cina e molti semiconduttori

Di Emanuele Rossi e Otto Lanzavecchia

Il vertice tra il presidente americano e quello sudcoreano simboleggia un avvicinamento strategico, in chiave di contenimento cinese. Il pivot americano in Asia passa anche da Seul, alleato storico e pedina essenziale nella battaglia all’ultimo semiconduttore

La visita alla Casa Bianca del presidente sudcoreano, Moon Jae-in, è un passaggio cruciale per le relazioni tra Washington e Seul e per il futuro della Casa Blu – con il mandato di Moon che termina nel maggio 2022. Temi sul tavolo diversi, perché la Corea del Sud è un nodo della presenza americana nell’Indo Pacifico. Network articolato che l’amministrazione di Joe Biden sta coltivando rafforzando i legami coi grandi alleati, dall’Australia all’India, dal Giappone alla Sudcorea appunto. L’obiettivo è contenere la Cina, all’interno del suo diretto bacino di influenza.

Nucleare nordcoreano, libera navigazione su tutti i passaggi talassocratici nevralgici (Mar Arabico, Stretto di Malacca, Corridoio di Taiwan, Mar Cinese), presenza militare nella regione (la USFK, le forze armate presenti sul territorio sudcoreano, sono uno dei più ampi contingenti americani all’estero). La visita di Moon è la seconda ospitata alla Casa Bianca — prima di lui era passato dallo Studio Ovale il premier giapponese Yoshihide Suga.

Due partner strategici per Washington, con problemi di relazioni reciproche ancora da risolvere e ignorati dal predecessore di Biden. Tuttavia, il doppio meeting – che arriva molto prima del viaggio europeo del presidente – testimonia come questa Casa Bianca stia, ancora una volta, tentando di orientare un pivot verso l’Asia, sebbene i problemi apparentemente intrattabili in Medio Oriente stiano ancora distogliendo l’attenzione Usa dalle questioni dell’Indo-Pacifico.

Ma la Corea del Sud è anche un tassello fondamentale sul fronte strategico dei semiconduttori. La carenza globale del momento sta facendo risaltare l’acuta necessità di microchip per applicazioni civili (dai cellulari alle auto) e militari, dove i “cervelli” elettronici sono indispensabili per il progresso (e il vantaggio) tecnologico. Lo sa bene la Cina, che al pari degli Usa dipende da Paesi terzi per i propri fabbisogni in fatto di chip e ha adottato una strategia di boicottaggio per mettere pressione su Seul.

Al pari di Cina, Usa, Ue e Taiwan, anche la Corea del Sud ha in programma di potenziare le proprie industrie di semiconduttori. Già oggi il settore rappresenta la fetta più consistente dell’export del Paese, ma secondo il ministero del commercio locale questa raddoppierà entro il 2030. Merito del piano decennale di investimenti messo a punto dall’amministrazione Moon e sostenuto dalle industrie locali; i colossi Samsung Electronics e SK Hynix capeggiano un esercito di 153 industrie sudcoreane che hanno promesso di investire circa 371 miliardi di euro nella produzione di microchip.

A livello globale Samsung e Hynix producono la maggior parte dei chip di memoria, i semiconduttori basici che gestiscono l’archiviazione digitale, ma le compagnie sudcoreane ancora zoppicano sul terreno dei chip avanzati, essenziali per i supercomputer moderni e i processi alla base dell’intelligenza artificiale. La spinta del piano di Moon, che prevede anche più di un miliardo di euro in ricerca e sviluppo, vantaggi fiscali e incentivi per compagnie estere, serve appunto per traghettare le industrie locali nel futuro. E visto l’impegno promesso dalle compagnie, la spinta non si esaurirà con la fine del mandato del presidente.

Perciò gli Usa hanno tutto l’interesse a convincere Seoul (come anche Taipei) a rinforzare i rapporti commerciali, portando le compagnie locali più vicine alla propria orbita e allontanandole da quella cinese. Le premesse sono ottime: durante il summit Biden e Moon  hanno annunciato una serie di investimenti sudcoreani negli Stati Uniti, mirati a potenziare l’alleanza tecnologica sul terreno dei semiconduttori e delle batterie per auto elettriche.

Assicurandosi la vicinanza della Corea del Sud, Biden sta scommettendo su una potenza tecnologica dotata di piani ambiziosi, una filiera di produzione rodata ed efficace e autorità disposte a sostenere questo slancio. L’alleanza tecnologica ben si sposa con le volontà delle due parti, impegnate a non farsi lasciare indietro da Pechino. E il pivot americano in Asia sta già ponendo le basi degli equilibri geostrategici dei prossimi decenni.

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