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Più Difesa contro la Cina. Ecco la new vision targata Lloyd Austin

Dalle Hawaii, nella sede del Pacific Command, il capo del Pentagono Lloyd Austin ha lanciato la “new vision” per la Difesa americana. Più cyber e spazio, e maggiore attenzione alla competizione sulle tecnologie disruptive. Vale il primato della diplomazia: l’hard power è a servizio della politica estera

Una “new vision” per la Difesa degli Stati Uniti, calibrata sul nuovo confronto tra potenze, concentrata sull’innovazione tecnologica e a servizio della politica estera. È la linea di Lloyd Austin, il capo del Pentagono fortemente voluto da Joe Biden, che venerdì scorso ha dettagliato la sua visione della politica militare. Lo ha fatto in un contesto non casuale, in occasione dell’avvicendamento tra l’uscente ammiraglio Philip Davidson e il subentrante ammiraglio John Aquilino nel ruolo di comandante dello US Pacific Command. La cerimonia si è tenuta a Pearl Harbor, nelle Hawaii, alle spalle dei memoriali per la USS Arizona e la USS Missouri.

LA DIPLOMACY FIRST

Non ha mai menzionato la Cina, né la Corea del Nord, nel corso del suo lungo intervento il generale Lloyd Austin. Eppure, i riferimenti non sono mancati, al ritmo della nuovo confronto tra superpotenze certificato nei documenti strategici e nelle precedenti uscite del capo del Pentagono. Alla base, la certificazione del concetto di “diplomacy first”, pronunciato dallo stesso Biden nella sua prima visita di gennaio al dipartimento di Stato guidato da Tony Blinken. “Non si intende che le Forze armate siano messe da parte – ha chiarito Austin – ma che piuttosto rafforzino la diplomazia e promuovano una politica estera che coinvolge tutti gli strumenti del potere nazionale”.

LA NEW VISION

Come nota Military times, il discorso dalle Hawaii è stato il primo di ampio respiro degli ultimi quattro mesi dall’insediamento al dipartimento della Difesa. Finora, Austin è intervenuto soprattutto su alcuni temi specifici, come il ritiro dall’Afghanistan o le preoccupazioni per l’estremismo tra i militari. C’è stato il lancio della “Global posture review”, cioè la revisione che riguarderà la postura militare americana nel suo complesso. Ci sono stati la partecipazione a due riunioni ministeriali della Nato, l’annuncio del rafforzamento della presenza Usa in Germania e il consolidamento delle partnership nell’Indo-pacifico. Venerdì, Austin ha messo insieme i vari pezzi, in quella che ha definito una “new vision” per la Difesa a stelle e strisce.

LE NUOVE GUERRE…

Una visione “nuova” rispetto a una “vecchia”, e Austin ha utilizzato l’aggettivo “old” per descrivere gli impegni militari a cui lui stesso ha preso parte nella sua quarantennale carriera militare, dall’Iraq all’Afghanistan. Ecco, questi impegni sono “gli ultimi delle vecchie guerre”, destinati a lasciare il campo a nuovi confronti militari. Il riferimento è per i nuovi scenari operativi, cyber e spazio, e per una corsa che vede gli “avversari” impegnati a erodere il vantaggio tecnologico accumulato negli ultimi decenni dagli Stati Uniti.

…E LE NUOVE TECNOLOGIE

Superfluo dunque citare espressamente la Cina, da anni al centro delle preoccupazioni del Pentagono proprio sul fronte delle tecnologie disruptive. Austin ha parlato di intelligenza artificiale e quantum computing, spiegando che sarà in vantaggio chi riuscirà a collezionare, lavorare e diffondere la maggior quantità di dati nel minore tempo possibile. È il vantaggio informativo che fa la differenza sui moderni campi di battaglia, tra “sistemi di sistemi”, sciami di droni, 5G e Big data. Ci ha pensato l’ammiraglio Davidson a citare la Cina e il suo comportamento “pericoloso”. L’ormai ex numero uno del Pacific Command è stato dal 2018 tra i più determinati rappresentanti delle forze militari americani a denunciare le attività di Pechino, le strategie per erodere l’influenza americana e il potenziamento militare corredato da minacce su Taiwan e altri alleati strategici.

E LA DETERRENZA?

Per questo, Austin ha fatto capire che la “new vision” conserverà il tradizionale concetto di deterrenza. Si tratta di “fissare una verità fondamentale nelle menti dei nostri potenziali nemici – ha spiegato – e cioè che i costi e i rischi di un’aggressione sarebbero ben maggiori di qualsiasi vantaggio immaginabile”. Per poter essere valida, però, tale deterrenza deve dispiegarsi su tutti i fronti di potenziale confronto, e dunque anche quelli più moderni, legati all’innovazione tecnologica in campo militare. Inoltre, dev’essere condivisa “spalla a spalla” con alleati e partner, sempre “in linea con gli obiettivi e gli sforzi diplomatici”.

IL BUDGET DEL PENTAGONO

Tutto questo è confluito in una richiesta di budget per il Pentagono pari a 715 miliardi di euro, undici in più rispetto all’anno in corso, sette in meno rispetto alle previsioni formulate da Donald Trump. L’aumento annuale è dell’1,6%, pressoché pari all’inflazione, con un aggiustamento che ha trovato l’apprezzamento dei primi commenti degli esperti oltreoceano, in linea con le aspettative per un bilancio “piatto”. Mancano ancora i dettagli di spesa, ma l’amministrazione ha già dato molti segnali in direzione di un accento più forte alla corsa tecnologica, nonché una strutturazione più rilevante delle tante iniziative improntate all’innovazione e alle tecnologie disruptive. Riguarda anche il campo del procurement, alla prese con una riforma dei processi di acquisizione per adattare le pratiche burocratiche alla rapidità dell’innovazione. Nella sua prima visita al Pentagono, un paio di mesi fa, Joe Biden ha annunciato la creazione della “task force China”, affidata a Ely Ratner per studiare un approccio comprensivo all’ascesa del Dragone.

IL CONFRONTO

Non a caso, nella richiesta di budget targata Biden-Austin, la Cina resta “top challenge”. Per questo, si attende conferma delle dotazioni della “Pacific Deterrence Initiative”, che nel budget relativo al 2021 vale 6,9 miliardi per due anni, addirittura rimpolpata nel percorso al Congresso rispetto alla richiesta iniziale avanzata dal Pentagono. Per quanto riguarda i programmi, inoltre, tra le priorità figura il potenziamento navale, in linea con un quadro di rafforzamento della presenza nell’Indo-pacifico. L’attesa in tal senso riguarda i numeri, considerando che anche Trump era sceso rispetto alle iniziali dichiarazioni. La richiesta di Biden parla di “investimenti responsabili”, nonché di “ricapitalizzazione” della flotta di sottomarini dotati di missili balistici e di “investire” in nuovi sistemi autonomi e nel programma per il nuovo sommergibile d’attacco.

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