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Afghanistan, il 62 per cento degli americani sta con Biden

Un sondaggio di Associated Press rivela il già noto: il ritiro dall’Afghanistan è condiviso da una larga maggioranza di americani, e per questo Biden quando passerà la bufera potrà riprendere la sua presidenza. A patto che tutto proceda senza intoppi

Una maggioranza significativa di americani dubita che la guerra in Afghanistan sia stata utile, secondo un sondaggio dell’Associated Press fatto in collaborazione con NORC Center for Public Affairs Research. Circa i due terzi hanno affermato di non ritenere che valesse la pena combattere la guerra più lunga d’America, mentre nel frattempo, il 47 per cento approva la gestione degli affari internazionali di Biden, e il 52  approva Biden sulla sicurezza nazionale.

Il sondaggio è stato condotto dal 12 al 16 agosto, ossia nei giorni in cui la guerra dei due decenni in Afghanistan si è conclusa con il ritorno al potere dei Talebani e la presa della capitale Kabul. Il presidente Joe Biden ha affrontato attacchi politici bipartisan a Washington: viene accusato di aver scatenato una crisi umanitaria avendo mal preparato il rientro e sottovalutando la velocità dell’avanzata dell’organizzazione che ha adesso rifondato l’Emirato islamico talebano d’Afghanistan. Ma al di là delle strumentalizzazioni politiche, molti sono con lui.

I sondaggi sono uno spaccato utile per comprendere la decisone che ha mosso inizialmente Barack Obama, poi definitivamente Donald Trump (firmatario dell’accordo di ritiro coi Talebani lo scorso anno), e infine Biden, autore in modo esecutivo del ritiro anche del modesto contingente ormai rimasto nel Paese. Come ricordava su queste colonne Federica Saini Fasanotti (Brookings/Ispi), il dispiegamento dei 2500 uomini rimasti in Afghanistan aveva costi ridotti (sia in termini economici che di impegno), ma un ruolo importante nel tenere insieme un Paese che ancora non sta in piedi da solo (nonostante venti anni di presenza attiva di Usa e Nato). Tuttavia la cittadinanza americana sentiva il peso del coinvolgimento statunitense, non ne percepiva la necessità, pressa da tempo per un disimpegno.

L’elettorato americano non valuta nemmeno l’effetto di questo disimpegno, ossia l’aver aperto spazi a un anti-americanismo che rivali del modello occidentale come Cina e Russia spingono come vettore strategico per sostenere la propria narrazione, come ricorda Andrea Ghiselli (China Med). I contribuenti statunitensi sembrano più orientati su un interesse interno, magari frutto anche dell’effetto della pandemia e della crisi economica e sociale che si è innescata. “L’America First di Trump, che in fondo è anche quella del nazionalismo progressista di Biden, è anche la come home Americaspiegava Mario Del Pero (SciencesPo). “Si trattava di scegliere: o uscire o aumentare i soldati”, ha detto Biden alla ABC.

Non è più possibile perdere vite di giovani americani in Afghanistan, aveva già spiegato il presidente in una conferenza stampa in cui è apparso quasi infastidito dal dover spiegare al mondo qualcosa che negli Usa è ormai dato per consolidato da anni: “Molti americani saranno d’accordo con me”. E in effetti: AP riporta per esempio l’opinione di Mark Sohl, un 62enne democratico di Topeka, Kansas, che ha detto che “non valeva la pena perdere più vite americane per un pasticcio [da cui] dopo 20 anni, devi liberarti”. Tanti come lui, soprattutto sul lato del progressista dei Dem, ma anche in quello più nazionalista Rep.

Altri si stanno sentendo più combattuti dopo aver visto le scene cupe che arrivano dall’Afghanistan in questi giorni, ma in generale hanno un pensiero d’opposizione agli impegni militari. E quando i video degli afgani aggrappati agli aerei militari statunitensi nel disperato tentativo di fuggire dal paese usciranno dal mainstream, la percentuale di chi continua a considerare il ritiro una buona scelta sarà ancora più alta. Quelle immagini saranno parte della storia dell’umanità, ma nel presente sono destinate a lasciare posto al pensiero di disimpegno provato da molti cittadini americani (e non solo).

Tanto più se saranno contrastate da quelle altrettanto forti degli aerei americani che portano i collaboratori afghani in salvo o dei militari che dai muri dell’aeroporto di Kabul tirano su i bambini, affidategli da genitori che vogliono salvarli dai Talebani. Nelle ultime ventiquattro ore sono state portate fuori dall’Afghanistan 5700 persone tramite 16 C-17 dell’Air Force statunitense, per un totale dal 14 agosto di 12700 a cui Washington sta trovando rifugio secondo quello che la leader democratica Alexandra Ocasio Cortez definisce un “obbligo morale”.

Un dato ulteriore: medie abbondantemente sopra al 50 per cento degli intervistati dal sondaggio indicano la presenza di gruppi estremisti all’interno dei confini degli Stati Uniti come la principale minaccia per la sicurezza. La percentuale è identica  a coloro che vedono arrivare un’eguale minaccia dall’esterno. Questa prima percezione sta aumentando (fatti come l’attacco al Congresso del 6 gennaio sono stati un acceleratore), ed è segno dei tempi e spiega parte del riorientamento di interessi delle recenti amministrazioni statunitensi.

Tutto si regge o finirà per reggersi: l’unico problema se tra quelle immagini ne dovessero arrivare alcune sull’uccisione di americani in Afghanistan. Se gli Stati Uniti subissero attentati collegati a quanto successo a Kabul, Biden si ritroverebbe a pagare l’intero prezzo di un ritiro di cui è stato esecutore finale? Possibile, forse no. Su questo si gioca il consenso interno futuro (primo traguardo le Midterm del 2022) e l’immagine da proiettare all’esterno di un’America più pragmatica e al limite cinica ma comunque forte.

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