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Cosa cambia nella corsa alla Nato dopo le immagini di Kabul

Londra critica Washington sulle modalità di uscita dall’Afghanistan. Boris Johnson rafforza la sua posizione in vista della scelta del successore di Stoltenberg. A giugno Wallace, ministro della Difesa britannico, aveva definito l’ex premier Theresa May una “candidata eccellente” parlando con Formiche.net

Sbigottimento misto alla delusione per quello che viene percepito come un tradimento. Sono questi i sentimenti più diffusi nelle cancellerie europee dopo discorso del presidente Joe Biden sull’Afghanistan che, notavamo su Formiche.net, suonava rivolto più al popolo americano che agli alleati degli Stati Uniti. “Persino quelli che avevano gioito per l’elezione di Biden e credevano che potesse allentare le recenti tensioni nelle relazioni transatlantiche hanno detto di considerare il ritiro dall’Afghanistan come un errore di portata storica”, ha scritto Politico.

Basti pensare che tra i primi a dirlo c’è la Germania di Angela Merkel, probabilmente il leader europeo con il peggior rapporto con il precedente inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Armin Laschet, delfino della cancelliera e candidato cancelliere della Cdu alle elezioni di fine settembre, ha parlato “delle più grande debacle” nella storia della Nato. Il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier ha definito le scene all’aeroporto di Kabul “una vergogna per l’Occidente”, “una tragedia di cui siamo corresponsabili”.

Il presidente Biden non ha detto mezza parola in merito all’Europa nel suo discorso dalla Casa Bianca. Senza dimenticare un altro aspetto: gli alleati europei sono rimasti colpiti dall’unilateralismo della mossa di Biden, nonostante le promesse di quest’ultimo di cambiare passo rispetto al predecessore aprendo a decisioni più collegiali in Occidente.

E così i membri della Nato nel Vecchio continente puntano il dito contro gli Stati Uniti, temendo di essere ora da soli davanti a una crisi umanitaria e migratoria ma anche a una rafforzata minaccia terroristica, come riconosciuto dal Pentagono.

Tra i più critici c’è il governo di Londra. Il primo ministro Boris Johnson (primo leader sentito telefonicamente da Biden dopo i fatti del weekend a Kabul) ha chiesto che “nessuno riconosca a livello bilaterale il governo dei Talebani”, ha messo a punto un programma per l’accoglienza dei 20.000 profughi afgani sul modello di quanto fatto con i siriani in passato e ha inviato il G7 a riunirsi sotto la presidenza britannica.

Il ministro della Difesa Ben Wallace, ex militare, capitano delle Guardie scozzesi negli anni Novanta, in questi giorni ha criticato l’accordo del febbraio 2020 negoziato dall’amministrazione Trump con i Talebani e ha imputato la maggior parte delle colpe per l’ascesa degli “studenti coranici” agli Stati Uniti. L’altro giorno si è commosso in diretta televisiva: non è riuscito a trattenere le lacrime spiegando che non si potranno mettere in salvo tutti gli afgani che in questi anni hanno collaborato: alcune persone “non torneranno”, ha detto con voce rotta.

Molti gli esponenti del Partito conservatore che hanno criticato gli Stati Uniti. Tra questi anche l’ex leader Iain Duncan Smith, secondo cui le responsabilità ricadono su Biden più che su Trump.

Le tensioni tra Regno Unito e Stati Uniti sul dossier Afghanistan difficilmente, però, avranno ricadute sul medio-lungo termine. Anche perché Londra, post Brexit, ha bisogno di Washington quando si parla di temi globali come Russia, Cina e cambiamento climatico (il Regno Unito quest’anno organizza, assieme all’Italia, la conferenza Cop26).

Potrebbero, invece, avere un qualche effetto sulla corsa alla successione di Jens Stoltenberg come segretario generale della Nato, partita in cui il Regno Unito è, assieme a Francia, Germania e ovviamente Stati Uniti, centrale.

A giugno, il ministro Wallace intervistato da Formiche.net aveva finito l’ex primo ministro Theresa May “un candidato eccellente”. Un altro nome che circola è quello di Mark Sedwill, già consigliere per la sicurezza nazionale di May e per qualche tempo anche di Johnson. L’ex premier è una vera atlantista: basti pensare a quando incontrò Trump alla Casa Bianca e gli sottolineo il valore della Nato ma anche dell’Unione europea da cui il Regno Unito stava per uscire. Ma la sua gestione della Brexit, soprattutto per gli aspetti comunicativi, potrebbe rappresentare un ostacolo. Lo stesso si può dire della mancanza di esperienze di governo per Sedwill.

Questo sembra offrire spazio per le speranze di altri Paesi, compresa l’Italia (tra i nomi che si fanno, quelli di Enrico Letta e di Federica Mogherini). Ma con la sua posizione sull’Afghanistan, Londra sembra essersi assicurata quantomeno un ruolo centrale nella scelta del prossimo segretario generale della Nato.

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