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Dma, Dsa e intelligenza artificiale. L’Europa non stritoli l’innovazione

Di Tommaso Edoardo Frosini

Il mercato digitale e la ricerca sull’Intelligenza artificiale rischiano di finire stretti in una morsa giuridica, che può compromettere la crescita economica, occupazionale e sociale. L’opinione del prof. Frosini, ordinario di diritto costituzionale all’Università Suor Orsola Benincasa

Con l’accattivante formula “Plasmare il futuro digitale dell’Europa”, la Commissione Ue sta manifestando un eccesso di protagonismo normativo in materia di regolazione del digitale e suoi derivati. Già nel 2016 venne approvato il regolamento UE 2016/679 (noto come GDPR) relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione degli stessi. Regolamento con il quale sono state introdotte una serie di numerose e complicate regole, che hanno finito per indebolire la privacy anziché rinforzarla.

Ora si accinge a emanare una serie di regolamenti sul Digital Services Act, sul Digital Market Act e sta lavorando alla codifica di una proposta di regolazione sull’Intelligenza Artificiale (A.I., secondo l’acronimo inglese). Al diritto scritto, poi, si deve aggiungere il diritto giurisprudenziale con i numerosi pronunciamenti della Corte di Giustizia UE sul diritto all’obblio, sul (divieto di) trasferimento di dati dalla UE agli USA, su Facebook e altro ancora.

Stretto in una morsa giuridica, il settore del digitale rischia di venire oltremodo compresso e non riuscire più a espandere le sue potenzialità a beneficio di una crescita economica, occupazionale e sociale degli stati e dei loro cittadini. Il paradosso è che proprio la UE ha sempre predicato la semplificazione normativa (“Legiferare Meglio” era il motto) ma poi finisce con il razzolare per la complicazione legislativa.

Sullo sfondo c’è una questione, che andrebbe chiarita: occorre sempre e comunque normare, nell’illusione che soltanto così si possono limitare gli abusi che si manifestano sul web? Oppure, sarebbe conveniente adoperare un diritto minimale, quello che si chiama soft law, per introdurre soltanto dei principi generali evitando norme di dettaglio e di puntigliosa regolazione? Proprio con riguardo al digitale ritengo che sarebbe il caso di assumere la seconda scelta, e quindi poche norme, che dettano principi e che siano in prevalenza promozionali anziché sanzionatorie.

Innanzitutto per un motivo collegato al progresso tecnologico: qualsiasi norma puntuale e circoscritta rischia di essere superata, in breve tempo, dall’evoluzione della tecnologia. Che cambia, si trasforma e si sviluppa rapidamente. Ieri erano i cellulari, oggi sono gli smartphone e domani chissà? C’è poi il motivo che chiamerei della cittadinanza digitale (come titola un bel libro Giovanni Pascuzzi, appena uscito per il Mulino), che si è sempre più assuefatta all’uso del digitale – si pensi soprattutto alle nuove generazioni – e verrebbe a essere repressa attraverso l’imposizione di una serie numerosa di regole e regolette da rispettare per navigare sulle piattaforme digitali oppure per fare acquisiti online.

C’è poi, ultimo ma non per ultimo, il motivo dello sviluppo della ricerca scientifica rivolta a migliorare la salute dei cittadini e più in generale il loro benessere di vita (il “buen vivir”, come dicono i latinoamericani). Mi riferisco, in particolare, all’ultima, almeno a oggi, frontiera del progresso digitale: l’intelligenza artificiale, con le sue enormi potenzialità per diagnosticare e curare le malattie, per consentire di assumere, a tutti i livelli, decisioni imparziali, per guidare le scelte dell’uomo attraverso l’uso degli algoritmi.

L’intelligenza artificiale già condiziona in meglio le nostre vite e lo farà sempre più nel futuro. Certo, è vero che la UE si preoccupa, nella proposta di regolamentazione della A.I. di prevenire i rischi derivanti da un uso distorto e volutamente pericoloso, ma è altrettanto vero che la sottoposizione a norme vuol dire comunque metterla in una sorta di letto di Procuste. Le leggi, si sa, si interpretano per gli amici e si applicano per i nemici.

Una legislazione fatta di principi generali avrebbe altresì il compito, più difficile ma più consono, di provare a disegnare il nuovo modello di società digitale, in cui la componente umana e quella artificiale verrebbero a essere chiamate a convivere in modo sostenibile, secondo un rinnovato principio di sussidiarietà, dove l’uno non dovrebbe prevalere sull’altro. L’umano ha creato l’artificiale con lo scopo di essere aiutato a creare le migliori condizioni per vivere meglio, in una società libera e più giusta. Come vorremmo che fosse l’Europa.

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