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Salviamo il dialogo con Varsavia, whatever it takes

Secondo l’establishment europeo la Polonia merita una punizione esemplare, ma al contempo risulta impossibile tagliare i ponti con Varsavia. Far saltare in aria il rapporto con l’alleato polacco, equivale a rinunciare ad un satellite strategico nel confronto con le potenze dell’est, e ad indebolire il fronte atlantico

Frau Merkel avrebbe, certamente, disinnescato l’ordigno polacco con la minuziosità propria dei dirigenti teutonici. Una sponda che Bruxelles rimpiange nel momento in cui uno Stato membro inizia a scalciare più del dovuto.

Ma a rimpiazzare la voce ferma della cancelliera tedesca, ci pensa Mario Draghi.

“Non è stata messa in discussione la legge secondaria dell’Unione, come i casi citati a difesa dell’iniziativa polacca”, afferma il Presidente del Consiglio. “È stato messo in discussione il Trattato, ovvero la legge primaria. Quindi non ci sono alternative, le regole son chiare: la Commissione deve andare avanti”.

Venerdì il vertice del Consiglio europeo sembrava prendere una piega positiva, nonostante il concitato dibattito che ha animato il confronto parlamentare a Strasburgo.

Purtroppo, Mateusz Morawiecki appare incapace di discernere la propaganda elettorale dall’indirizzo politico per la tutela dell’interesse nazionale e del ruolo strategico detenuto dalla Polonia nel ventaglio europeo.

Il Consiglio ha rilasciato svariate chance al governo polacco per risolvere la controversia con l’Ue in merito allo stato di diritto, senza riscontrare nel suo interlocutore la volontà di concludere un’operazione compromissoria.

Tutt’altro. Quattro giorni fa, Morawiecki ha rilasciato un’intervista al Financial Times, a dir poco discutibile.

“Se la Commissione europea avvierà la terza guerra mondiale sul tema del rispetto dello stato di diritto, ci difenderemo con tutte le armi a nostra disposizione”.

Un linguaggio duro che contraddistingue la “Destra Unita” nel metodo e nelle modalità d’approccio a situazioni complesse. Una retorica evocativa, funzionale alla mobilitazione di una parte dell’elettorato in prossimità dell’apertura delle urne, ma inadatta a sostenere le trattative e le dinamiche imposte dalla real politik.

In poche parole, alle sentenze della Cgue non si può rispondere coniando il drammatico appello del 1939 di Sławoj Składkowski. C’è un tempo per il revisionismo e un tempo in cui bisogna tentare di gestire le vicende storiche, adeguandosi ai cambiamenti imposti dal realismo e dal contesto attuale. Meno toni apocalittici per scongiurare l’apocalisse.

A seguito della mancata sospensione, da parte del governo polacco, della Camera disciplinare della Corte suprema (Izba Dyscyplinarna), un organo che secondo le istituzioni europee influenza e limita l’autonomia della magistratura, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha condannato Varsavia al pagamento di una sanzione pari ad un milione di euro al giorno.

Un esito quasi scontato, considerate le anticipazioni di Ursula von der Leyen nell’ultima settimana. La minaccia dell’applicazione del meccanismo di condizionalità, che consente all’Ue di sospendere, ridurre o limitare l’accesso ai finanziamenti comunitari, non ha influito sulla “riflessione” e sul dibattito interno al PiS. Durante un’assemblea generale straordinaria a Vilnius, la Rete europea dei Consigli di giustizia ha approvato, attraverso una proposta proveniente dal Comitato esecutivo dell’European work of Councils for the Judiciary, l’espulsione del Consiglio nazionale della magistratura polacco. Eppure, tutto questo non è sufficiente a determinare un cambio di rotta. La Polonia di “Diritto e Giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość), procede imperterrita sul mantenimento delle posizioni assunte in materia di aborto, nel sostegno alle “LGBT free zones”, nella difesa delle disposizioni relative alla Camera disciplinare; senza tralasciare la liquidazione di TVN e il caso Tomasz Greniuch legato all’Istituto della Memoria Nazionale (Instytut Pamięci Narodowej).

Ma cosa spinge Jarosław Kaczyński a mettere in pericolo i fondi per la ricostruzione nazionale?

La tenuta e la sopravvivenza dell’esecutivo. Il PiS non può cedere la fascia più radicale ed euroscettica del proprio elettorato, innervato dal voivodato della Bassa Slesia a quello della Podlachia, a Solidarna Polska. Zbigniew Ziobro, il ministro della Giustizia, pretende dai suoi alleati di governo, una lotta senza quartiere contro i “tecnocrati di Bruxelles”. Infatti, all’indomani della decisione della Cgue, Ziobro tuona: “Sia nel caso di sanzioni illegittime riguardanti la miniera di carbone di Turow sia nel caso della multa per le modifiche del sistema giudiziario, la Polonia non pagherà un solo złoty all’Unione Europea”.

Una presa di posizione che il suo vice-ministro, Marcin Romanowski, sposa immediatamente tramite un commento su Twitter: “Le sentenze della Cgue che interferiscono con le competenze delle autorità polacche devono essere ignorate. Gli organi non eletti dell’Ue non si metteranno al di sopra della società polacca e bloccheranno le riforme contro la sua volontà democratica. Forse trattenere i contributi farà ragionare gli eurocrati?”.

Anche Julia Przyłębska, presidente del Tribunale Costituzionale, non intende darsi per vinta. A seguito della sua visita al presidente del Sejm Elżbieta Witek, accusa: “La Cgue ignora completamente la costituzione polacca e le sentenze del Tribunale Costituzionale. Agisce al di là delle sue competenze e abusa dell’istituto delle multe e delle misure provvisorie”.

È come se Ziobro, Morawiecki e i rispettivi “fedelissimi”, fossero impegnati in un agone contro Bruxelles, in cui la vittoria spetta a chi la spara più grossa.

“Bruxelles ha puntato una pistola alla testa della nostra nazione”, esordisce il premier polacco, “usurpano poteri che nessuno ha mai concesso loro nei trattati. Questa è una vera e propria estorsione” ribatte il guardasigilli.

Ovviamente, la diatriba sul suolo europeo ha prodotto delle ripercussioni in casa PiS, provocando un rimpasto del governo. Due deputati hanno abbandonato il campo liberale per calcare il red carpet del castello sovranista.

Henryk Kowalczyk è il nuovo vice-premier e ministro dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale, Kamil Bortniczuk (ex braccio destro di Gowin) ha aderito al percorso governativo occupando il dicastero dello Sport e del Turismo, mentre all’ormai ex centrista di Polskie Stronnictwo Ludowe, Łukasz Mejza, è stato affidato il ruolo di vice-ministro dello Sport.

Se da una parte, Morawiecki ha tentato di convincere Bruxelles che l’inadempienza delle disposizioni europee erano strettamente connesse all’assenza di una maggioranza nel Sejm per l’abolizione della Camera Disciplinare, Ziobro alza la posta.

Il leader di Solidarna Polska si dice pronto a sacrificare l’organo in questione, a condizione di una rivoluzione radicale nei tribunali ad ogni livello.

Non c’è via di fuga. Secondo l’establishment europeo la Polonia merita una punizione esemplare, ma al contempo risulta impossibile tagliare i ponti con Varsavia. Far saltare in aria il rapporto con l’alleato polacco, equivale a rinunciare ad un satellite strategico nel confronto con le potenze dell’est, e ad indebolire il fronte atlantico. E certamente, il PiS non è lo specchio dei valori, delle spinte e delle sensibilità culturali che animano l’intera società, come dimostrano le proteste che esplodono nei centri polacchi contro l’anti-europeismo della Destra Unita.

Quindi, avallando la tesi di Mario Draghi, è opinione condivisa che il dialogo con la Polonia deve proseguire, senza lasciare nulla di intentato.

Il percorso comune va salvaguardato. Whatever it takes.

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