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L’Occidente si allontana. La Cina censura i Simpson e Abc

I casi più recenti di rimozione di  contenuti occidentali da parte del regime cinese dimostrano la linea di controllo di Pechino. Tutti i dettagli

Xi Jinping contro Homer Simpson. Nel palinsesto della piattaforma di streaming Disney+ per Hong Kong è stato censurato un vecchio episodio del famoso cartone animato “The Simpsons”. Nel il 12mo della 16ma stagione dell’anno 2005, la famiglia viaggia in Cina per aiutare Selma Bouvier, una delle due sorelle di Marge, ad adottare un bambino.

All’arrivo a Piazza Tienanmen, a Pechino, il gruppo è accolto da un enorme cartello in cui si legge: “In questo luogo nel 1989 non avvenne nulla”. In un’altra scena, Homer critica direttamente l’ex presidente Mao Zedong, definito “un angioletto che ha ucciso 50 milioni di persone”.

La puntata, che ironizza su uno dei più celebri tentativi di censura del Partito Comunista Cinese sul massacro di studenti, operai e intellettuali il 4 giugno 1989 a mano dell’esercito cinese, è considerata una pungente satira contro il regime cinese, per cui è stata rimossa dalla piattaforma. Ancora non è confermato se Disney+ abbia rimosso l’episodio su ordine delle autorità cinesi, o direttamente dal governo di Hong Kong, giacché nel Paese è entrata in vigore una nuova legge “cosa si può vedere e ascoltare”.

Le autorità cinesi hanno l’ultima parola sui contenuti, che possono essere rimossi in qualsiasi momento, senza un ordine giudiziario. Chi non rispetta le linee guide può essere sanzionato con multe di 110.000 euro e tre anni di carcere.

La normativa vieta i film (e le produzioni audiovisive in generale) che criticano la Cina, la politica cinese e il Partito Comunista Cinese. Edward Yau, segretario di Commercio e Sviluppo Economico di Hong Kong, ha spiegato al Global Times che l’obietto è molto chiaro: “Impedire qualsiasi atto che possa mettere a rischio la sicurezza nazionale […] L’industria cinematografica non si vedrà danneggiata per questo progetto di legge, che aiuterà al settore a seguire meglio le norme ed evitare di oltrepassare le linee rosse per errore”.

Disney+ ovviamente non è l’unica compagnia multinazionale a cedere di fronte alle imposizioni di Pechino, pur di salvare il mercato cinese. L’hanno fatto anche Audi, Tiffany e l’Nba.

Serie, film, romanzi e canzoni sono oggetto della censura cinese da molto tempo. Il controllo del Partito Comunista Cinese sui contenuti dei prodotti di consumo culturale in tv, cinema e libreria non è una sorpresa. Uno dei casi più clamorosi a livello internazionale è stato il tentativo di silenziare la vittoria della regista Chloé Zhao agli Oscar 2021 perché critica alla linea del governo di Xi Jinping.

Il problema è che Pechino conserva la pretesa di gestire tutti i contenuti ai quali accedono i cittadini cinesi per estirpare quelli considerati “immorali”, ostili per i principi del sistema comunista o rischiosi per l’unità nazionale. Sono considerati “depravati” e “viziati” le storie che narrano una vita piena di consumismo, fama, lusso o libertà (soprattutto sessuale). Quasi tutti argomenti presenti nei film, serie e romanzi prodotti nei Paesi occidentali, ma non solo.

Negli ultimi anni, Tencent, Youku, iQIYI o Mango TV, case di produzioni di telefilm cinesi chiamati C-dramas, hanno cercato di conquistare un pubblico più ampio nel mondo attraverso le piattaforme YouTube, Netflix o Amazon Video, raccontando storie di vite più normali, ma si sono scontrati, appunto, con la censura cinese.

Sul piano dell’informazione, è fresca la notizia della censura del sito del quotidiano spagnolo Abc in Cina. Chi vuole accedere alla pagina dal territorio cinese trova da domenica scorsa il messaggio “il serve non risponde”. Un errore che non è casuale perché arriva poche ore dopo che sono stati pubblicati due contenuti critici nei confronti del governo cinese: il primo, un ritratto del presidente Xi Jinping, più come dittatore alla vecchia maniera comunista che un leader internazionale, in cui si critica la mancanza difesa dei diritti umani e la garanzie delle libertà; il secondo, un reportage intitolato “In Cina può sparire chiunque”, sulla scomparsa della scena pubblica di diverse personalità critiche al regime o che hanno denunciato abusi.

In un editoriale, Abc sottolinea come il quotidiano ingrossa la già nutrita lista di media internazionali di prestigio che sono vittime della censura cinese: “Accade con The New York Times, The Washington Post, The Wall Street Journal, The Guardian, The Economist, la Bbc britannica, Der Spiegel o El País […] La Cina dice che vuole avvicinarsi all’Occidente, quando in realtà pretende colonizzarlo. Dice di rispettare le regole del gioco delle democrazie, e di fatto le utilizza per istallarsi e influire su Paesi che necessariamente accolgono investimenti, materie prime e tecnologie, ma alla ora della verità disprezza principi e valori delle società libere. La Cina pretende solo allargare il manto del silenzio su qualsiasi esercizio di libertà, informazione, espressione, opinione e pensiero”.

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