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Watergate polacco o lotta alla corruzione? Cosa scuote la Polonia

Kaczynski, del partito al governo Diritto e Giustizia, ha affermato che il software è utilizzato dai servizi segreti in molti Paesi per combattere il crimine e la corruzione. “Sarebbe un male se i servizi polacchi non disponessero di questo tipo di strumento”. Ma secondo Citizen Lab, i telefoni di tre critici del governo polacco sono stati hackerati con lo spyware Pegasus

Facile, per le testate europee, rintracciare un nesso tra lo scandalo politico scoppiato nel 1972 presso il Comitato nazionale democratico, legato alle intercettazioni illegali effettuate dai repubblicani di Nixon, e il caso Pegasus che sembra paralizzare il dibattito parlamentare e la rassegna stampa in Polonia.

I media esteri snocciolano i fatti in maniera approssimativa, limitandosi ad elencarne la sequenza: i servizi polacchi tramite lo spyware israeliano Pegasus, in vista delle elezioni politiche del 2019, hanno hackerato il telefono di Krzysztof Brejza, senatore del partito di opposizione Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska), nonché figlio di Ryszard Brejza, attuale sindaco di Inowroclaw. Presto, capiremo l’importanza della parentela.

Secondo un’analisi rivelata da CitizenLab, società di tecnologia che opera nel campo del data-driven, lo smartphone di Brejza ha subìto 33 attacchi dal 26 aprile al 23 ottobre 2019, proprio nel periodo in cui i polacchi erano chiamati alle urne per il voto europeo e per il rinnovo dei rappresentanti al Sejm. La vicenda, però, ingloba processi di varia natura, incespicando in tematiche come lo stato di diritto, l’autonomia del sistema giudiziario, il perenne contenzioso con Bruxelles, fino ad immergersi nei fondali oscuri del deep-state.

Partiamo dalle dichiarazioni di Anna Blaszczak, direttrice di Amnesty International Polska, riassumibili in una filippica contro il governo guidato da Mateusz Morawiecki, sotto accusa per esser entrato a gamba tesa nella sfera privata dei cittadini polacchi, ledendo i diritti di libertà, di espressione e di riunione pacifica. Senza contare che, nel frattempo, “i giudici e i procuratori che hanno sollevato timori in merito alla mancanza di indipendenza della magistratura, affrontano indagini disciplinari e persino penali”.

Per l’acquisto di Pegasus, il governo polacco ha sottratto 5,4 milioni di euro dal Fondo per la giustizia, destinato alle vittime dei crimini, emulando l’Ungheria di Orbàn. Oltre a Brejza, secondo l’agenzia di stampa americana Associated Press, Pegasus ha sorvegliato l’avvocato Roman Giertych e il pubblico ministero Ewa Wrzosek.

Uno strumento di spionaggio che ha allarmato il Garante europeo per la protezione dei dati, il quale ha manifestato l’esigenza sia di un impegno da parte dei governi per bloccare qualsiasi forma di sorveglianza che viola i diritti individuali, sia la necessità di introdurre una moratoria globale sulla vendita e l’uso indiscriminato di apparecchiature di monitoraggio, fino a quando non verrà redatto un solido quadro normativo che tenga conto della tutela dei diritti umani.

I risultati di Citizen Lab sono stati confermati da Donncha O’Cearbhaill della cellula Security Lab di Amnesty International, a cui i canadesi hanno inoltrato i backup non elaborati dello smartphone di Brejza. Un uso improprio esercitato dai servizi, dimostrato dalla violazione dell’utilizzo esclusivo per sventare attacchi terroristici e azioni criminali. In più, Security Lab ha rilevato tracce di infezioni spyware sui telefoni dei giornalisti ungheresi sotto sorveglianza del governo Orbán, senza contare le prove fornite dai ricercatori di SL riguardo un caso giudiziario contro il produttore di Pegasus, NSO Group, che ha usufruito del software per attacchi di hacking contro attivisti in Messico, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Il primo dubbio sorge spontaneo: Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość), il partito di governo controllato da Jarosław Kaczyński, ha veramente utilizzato il software israeliano per spiare giornalisti, militanti e politici dell’opposizione, come sostengono gli esperti di Citizen Lab e Amnesty International?

Nei giorni scorsi, il deus ex machina del Pis ha rilasciato un’intervista al Sieci, il settimanale filo-governativo, in cui cerca di scansare il caso Pegasus soppiantandolo con emergenze più impellenti. Cita la pandemia da Covid-19, l’instabilità della maggioranza parlamentare, l’inflazione alle stelle, i danni provocati dal suo ex vice premier Jarosław Gowin, il pericolo di un’Unione europea germanocentrica, l’ultimatum lanciato da Mosca agli interlocutori atlantisti riguardo l’assurda richiesta di restituzione dell’Ucraina e la riduzione della presenza Nato sul fronte orientale.

Ma sull’acquisizione di Pegasus, da parte dell’Autorità centrale anticorruzione (Centralne Biuro Antykorupcyjne), Kaczyński riduce l’attività di spionaggio ad uno “scandalo basato sul nulla” architettato dai progressisti. Inoltre, afferma che il possesso di un software avanzato, capace di sviluppare sistemi di comunicazione criptati, è una manna dal cielo per i servizi polacchi, messi in condizione di fronteggiare i gruppi criminali che minacciano la sicurezza nazionale. Poco importa se l’acquisto derivi dall’utilizzo di fondi pubblici, la portata dell’obiettivo che Pegasus è destinato a realizzare è di inestimabile valore. Insomma, secondo Kaczyński, niente a che vedere con strumentalizzazioni politiche e tentativi di criminalizzare e screditare gli avversari, facendo leva sulla diffusione di materiale privato. Il team elettorale del Pis non ha mai utilizzato le informazioni, prelevate segretamente, per influenzare la campagna del 2019. “Ancora oggi” sostiene il presidente del partito di maggioranza “circolano sondaggi da cui risulta che ben il 64% di polacchi è del parere che l’opposizione non è pronta per salire al potere. Tutte queste storie del sig. Brejza sono vuote. Desidero ricordare che egli stesso spunta nel caso di Inowroclaw in un contesto grave, ci sono sospetti di reati importanti. Questo non aveva niente a che fare con le elezioni”.

Eccolo qui, il nodo della disputa, soggetto ad interpretazioni politiche e giuridiche. Perché, se l’opposizione afferma che Brejza è stato vittima di un attacco hacker per azzoppare il fronte progressista a campagna elettorale in corso, i sostenitori dell’esecutivo dichiarano che la procedura di sorveglianza è stata avviata nel 2017, al fine di intercettare informazioni e prove da inserire nel dossier sull’affare delle fatture. Un caso che copre il biennio 2015-2017, dove si sarebbero registrati episodi di corruzione e diversi reati di abuso d’ufficio, ad opera di funzionari pubblici, dipendenti del Dipartimento di Cultura, Promozione e Comunicazione Sociale del Municipio di Inowrocław e del Centro di Cultura e Sport Ziemowit a Kruszwica, con l’estorsione di diverse centinaia di migliaia di złoty dai fondi pubblici per servizi che non sono stati erogati. Due unità che hanno una persona in comune: Agnieszka Chrząszcz-Stajszczak, addetto stampa del comune e principale sospettata. Tesi sostenuta anche da Grażyna Wawryniuk, portavoce della Procura Regionale di Danzica, che sta conducendo l’indagine in merito ai 300.000 złoty di “fatture sinistre”.

Ma cosa c’entra Krzysztof Brejza in questa vicenda?

Il caso vuole che il sindaco di Inowrocław sia Ryszard Brejza, il padre del senatore, che ha tempestivamente denunciato lo scandalo delle fatture convocando una conferenza stampa chiarificatrice, e provvedendo al licenziamento in tronco dell’indagata e alla sua immediata sostituzione con la nomina di Magdalena Klimek.

Dunque, il Pis tenta di giustificare l’hackeraggio ai danni del senatore Brejza rispolverando “l’affare delle fatture” e sottolineando la necessità di assumere nuove fonti ai fini dell’attività investigativa.

Dopo cinque anni di indagini e decine di persone sospettate del caso, l’indagine non ha mostrato caratteri evolutivi. Ma nel 2019, la CBA fa irruzione nell’appartamento di Magdalena Łośko, collaboratrice di lunga data di Brejza, allora candidata nella lista di Coalizione Civica al Sejm. “La CBA è entrata alle 6 del mattino, ha preso il mio computer, i telefoni, compresi quelli delle mie figlie. È ancora un mistero come tutto questo abbia potuto ottenere un’autorizzazione legale”, dice la deputata, “sono sempre stata convinta che si trattasse di un’azione politica per colpire l’onorevole Brejza, un pretesto per legittimare il controllo operativo”.

Ergo, è lecito chiedersi quali sono gli elementi che appurano la natura politica dell’operazione Pegasus ai danni di un deputato dell’opposizione centrista. Tanto per cominciare, né Lośko né Brejza sono stati mai convocati nell’ ufficio del procuratore, e nessuna prova incriminatrice ha accertato la colpevolezza dei due.

A seguire, durante la campagna parlamentare del 2019, TVP ( Telewizja Polska) la tv di Stato, ha divulgato alcuni messaggi privati di Brejza, estrapolati da Pegasus, senza che i suoi giornalisti subissero sanzioni e procedimenti penali per l’evidente violazione della privacy.

Tuttavia, il consigliere presidenziale Andrzej Zybertowicz, smentisce l’accusa di utilizzo strumentale delle intercettazioni, in onda su TVN24, facendo notare che il software israeliano viene utilizzato “per la sorveglianza a campione”. I funzionari dei servizi polacchi aggiungono che le tracce di Pegasus usate contro Brejza sono state distrutte da tempo. La legge stabilisce, infatti, che i materiali raccolti nell’applicazione del controllo operativo, che non costituiscono ipotesi di reato, sono soggetti a distruzione immediata, in virtù del protocollo e su ordine del capo della CBA.

Ora, prima che l’impatto mediatico della vicenda si assottigli e tramonti al di là dell’orizzonte polacco, bisogna sbrogliare il groviglio di dubbi e riflessioni innescate dall’intervista al ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro e la richiesta di istituire una commissione d’inchiesta promossa dai gruppi di opposizione.

Sostanzialmente Ziobro, noto per l’euroscetticismo e per la radicalità delle sue riforme, fa coincidere la vicenda Pegasus con l’abitudine di Bruxelles nel “mettere i bastoni tra le ruote alla Polonia”. I primi colpi sono per l’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, conosciuto in terra natìa come “il re d’Europa”.

“È stato durante il suo mandato che le istituzioni europee hanno lanciato un attacco senza precedenti al governo polacco democraticamente eletto”, accusa il guardasigilli, “sono stati gli eurodeputati della Piattaforma, che hanno agito per avviare risoluzioni contro la Polonia e a chiedere che fossimo multati e privati del denaro. Hanno approvato leggi contrarie ai trattati europei e alla costituzione polacca, e che ora permettono di bloccare i fondi dovuti al nostro Paese”. Non risparmia neanche il premier Morawiecki, reo di non aver posto il famoso veto.

“Ho sostenuto che il meccanismo della condizionalità sarebbe stato usato strumentalmente nella lotta contro il nostro governo. Sfortunatamente, il primo ministro era di un’altra opinione. Ha agito in modo diverso. Si è fidato della cancelliera Merkel e stiamo vedendo i risultati”.

E per quanto concerne alla “stampella tedesca”, Ziobro ricorda che “le dinastie dei Piast, in lotta tra loro per il potere, più di una volta cercarono l’appoggio germanico. E questo andava bene per i tedeschi. È nel loro interesse avere una Polonia debole, politicamente ed economicamente subordinata a Berlino. L’establishment di sinistra a Bruxelles, che sogna di abolire 27 Stati nazionali in favore di un unico superstato Ue, si sta solo sfregando le mani”.

Prosegue con la difesa a spada tratta della riforma sulla giustizia e della camera disciplinare, schivando le sentenze della CGUE: “Tutte le obiezioni riguardanti la magistratura polacca, compresa la Camera disciplinare, depongono le loro radici nell’elezione dei membri del Consiglio nazionale della magistratura (le cui storture sono state segnalate anche dalla corrente di Magistratura Democratica), che seleziona i candidati giudici. In precedenza, i giudici del Consiglio erano eletti dalla corporazione delle toghe, la quale agiva come uno stato dentro lo stato. Abbiamo democratizzato questi principi, concedendo al Sejm una maggioranza di 3/5 per eleggere il Consiglio, in modo che un accordo trasversale possa essere applicato. I candidati, tra l’altro, sono proposti dagli stessi giudici. Questo, secondo la Commissione europea, è il nostro crimine. Ma cosa accade se i politici eleggono direttamente i giudici? Questo è esattamente il caso della Germania. I giudici federali sono scelti dai ministri insieme ai rappresentanti del Bundestag. E la CE dice che la democrazia sta fiorendo in Germania. Questo è puro cinismo, pura ipocrisia! I tribunali disciplinari sono stati per anni un esempio lampante della patologia del sistema giudiziario. Nel 2004, il professor Andrzej Rzepliński, l’ex presidente del Tribunale Costituzionale, oggi un oppositore della riforma, ha sostenuto in un’intervista a Gazeta Wyborcza che il Consiglio Nazionale della Magistratura era diventato ‘un sindacato statale che preserva interessi estranei a quelli del sistema giudiziario nazionale’”.

Però Ziobro, mette in risalto una necessità emersa dal caso Pegasus, ovvero la creazione di un’istituzione indipendente per il controllo dei sistemi di sorveglianza e di spionaggio. “Sono a favore della creazione di un organismo indipendente per controllare i servizi segreti e ricevere le denunce dei cittadini. Questo è lo standard internazionale ed è mio dovere chiedere la sua applicazione nell’ordinamento giuridico polacco”.

Si aggancia la richiesta presentata dalle opposizioni in Senato, dove il Pis non vanta una maggioranza, per far luce sul sistema Pegasus, attraverso l’istituzione di una commissione straordinaria d’inchiesta (che non avrà gli stessi poteri di quella parlamentare), il cui scopo sarà il mantenimento del caso al centro del dibattito pubblico. Il deputato Marcin Bosacki, senatore della Koalicja Obywatelska, ha garantito che la commissione indagherà sull’impatto dei casi di spionaggio sulle elezioni parlamentari del 2019 e svilupperà un’iniziativa legislativa per riformare i servizi segreti, precisando che l’organismo sarà composto da circa 10 membri.

“Sebbene il Senato non abbia poteri investigativi, la commissione convocherà i rappresentanti statali che si occupano dei servizi segreti. Vogliamo concludere il lavoro della commissione con un’azione legislativa che definisca il quadro entro cui i servizi possono effettuare la sorveglianza, in particolare con sistemi invasivi come Pegasus”.

Non abbiamo gli strumenti per prevedere il finale della spy-story, certo è che le reazioni dei partiti di opposizione e dei gruppi di pressione non basteranno a sfondare il cancello dell’acqua, watergate appunto. Ci sono capitoli della storia strettamente riservati, affidati alla custodia del fondale, dell’abisso, che verranno riportati in superficie al momento opportuno. Perché, come i padri della real politik insegnano, per garantire la stabilità dello Stato è necessario che talune vicende vengano relegate nell’ombra. E la Polonia ha molti relitti da celare. Soprattutto ai fari di Bruxelles.

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