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Fuoco sia. I patti violati da Putin

Putin spinge ancora l’acceleratore, chiude le informazioni per controllare completamente la Russia e non rispetta il cessate il fuoco per salvare i civili. E intanto in Ucraina arrivano le armi occidentali

La notizia di giornata sembrava il cessate il fuoco temporaneo a Mariupol, città dell’Ucraina meridionale assediata dal Mar d’Azov e da terra. Dovevano essere estratti quanti più civili possibile (da Mariupol e Volnovakha, poco a Nord) attraverso corridoi umanitari. L’operazione era complessa e improbabile, si parla di circa cinquecentomila persone, e lo stesso sindaco di Mariupol aveva annunciato che sarebbe stato possibile portarne fuori solo qualche migliaia.

Tutto al passato perché la notizia reale è che le forze del Cremlino non hanno mai fermato gli attacchi. I russi non implementano il cessate il fuoco che loro stessi hanno proposto e continuano a martellare una città in cui secondo le organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere mancano acqua (si sta sciogliendo la neve per averne un po’) e cibo. La Russia ha tagliato l’energia elettrica, il riscaldamento e gli acquedotti, ha bombardato i negozi per far scarseggiare gli alimenti e altri generi di prima necessità: una tattica spietata per schiacciare con assedi medioevali le persone che vivono nelle città attaccate.

Tutto già visto in Siria. La pressione serve a mettere davanti alle persone un destino atroce: o la fuga o la morte. Ma serve anche ai russi per posizionarsi, avanzare se possibile, guadagnarne vantaggio tattico. Altrove l’invasione non ha nemmeno questo aspetto falsamente umanitario: a nord-ovest di Kiev, a Irpin, è stata bombardata la ferrovia che i civili stavano usando per fuggire dalla città; Karkhiv e Cernihiv hanno zone completamente distrutte.

Il bilancio dei profughi fin qui parla di oltre un milione di persone che hanno dovuto lasciare il loro Paese. La Polonia ne ha accolte 800.000. Altre 140.000 persone sono arrivate in Ungheria, quasi 200.000 hanno raggiunto la Romania e circa 20.000 persone la Bulgaria. L’aumento delle intensità delle battaglie, delle violenze e dei giorni di guerra porterà questi numeri a crescere.

Intanto, Vladimir Putin ha deciso di dare seguito in casa al crescere della durezza degli attacchi in Ucraina. In Russia è stato bloccato l’accesso a Facebook e Twitter ed è entrata in vigore una legge speciale che fornisce alle autorità potere di repressione ancora più duro contro i media che per il Cremlino raccontano “fake news”, ossia contro coloro che non seguono la narrazione putiana sul corso degli eventi e sulle sue ragioni. La Rai come BBC, CNN e Bloomberg hanno sospeso le loro attività nel Paese per ragioni di sicurezza, il Washington Post ha modificato un articolo che rischiava di mettere in pericolo i corrispondenti da Mosca.

È un aumento della repressione previsto, una forma di securitizzazione che serve per evitare il diffondersi di informazioni realistiche e potenzialmente critiche — visti i tantissimi risvolti negativi dell’attacco — che potrebbero dare luogo a manifestazioni di dissenso. Un aumento del controllo con cui Putin intende togliere spazi a potenziali oppositori di ogni ordine e grado e che potrebbe passare anche dall’attivazione della legge marziale — che però oggi il presidente russo ha negato di voler applixare.

In una conferenza stampa improvvisata oggi Putin ha anche fatto pressioni pesanti sulla Comunità internazionale, annunciando che l’applicazione di una no-fly zone da parte di Paesi terzi significherebbe una “partecipazione” al conflitto. La minaccia è chiara, anche se è la stessa Nato a vedere la chiusura dei cieli ucraini (chiesto da Kiev) allo stesso modo. Non verrà attivata a meno che Putin non muova attacchi contro Paesi dell’Alleanza, oppure (forse) se i russi dovessero mettere a rischio il bene comune globale con azioni spregiudicate contro le centrali nucleari — in quel caso sarebbe eventualmente qualcosa di limitato al raggio degli impianti.

Putin alza la posta sia per ragioni propagandistiche a uso interno, sia per questioni tattiche che riguardano l’invasione. Una dozzina di aerei hanno trasportato missili anticarro Javelin, lanciarazzi, pistole e munizioni in un campo d’aviazione vicino al confine ucraino di un paese europeo non specificato. Il carico è stato sceso ieri, venerdì 4 marzo, mentre gli Stati Uniti e gli alleati europei hanno intensificato i loro sforzi per dare all’esercito ucraino forniture militari contro l’invasione.

L’operazione è stata supervisionata di persona dal capo dello Stato maggiore congiunto americano, il generale Mark Milley, che ha incontrato le truppe e il personale di 22 paesi che stavano lavorando tutto il giorno per scaricare gli armamenti per il trasporto via terra alle forze ucraine. Secondo un funzionario del Pentagono che ha parlato con il New York Times, entro due giorni le consegne arriveranno sul campo di battaglia. Quello che è iniziato come un rivolo — con solo due o tre aerei in arrivo al giorno — è ora un flusso costante, ha detto quel funzionario. Una dimostrazione di capacità di azione che di certo non può tranquillizzare Putin.

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