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Pandemia climatica, effetti e possibili soluzioni. L’analisi di D’Angelis

Ci vuole poco a capire che il trend climatico in corso sta creando un nuovo set di emergenze del global warming sempre più ordinarie e sempre più frequenti. E l’Italia? Siamo tra le aree mondiali destinate a interagire di più con il dissesto atmosferico e con le bolle di calore dal Mediterraneo…

Ai primi allarmanti Report dei climatologi degli anni Settanta sugli effetti delle temperature globali in risalita e alimentate dal fuoco della C02, lo scettico che assicurava che gli scenari di eventi previsti da noi comunque non avrebbero mai superato la soglia estrema. La climatologia, disciplina ignorata o sottovalutata, invece, sta aggiungendo al lungo elenco di estremizzazioni che da allora ci hanno colpito e a quelle in corso fosche previsioni per la nostra Penisola-pontile in mezzo al mare con una scala di pericolosità di impatti sempre peggiori che sta avviando la nostra Next Generation verso un futuro di complicazioni e rivalse nei confronti loro padri e dei loro nonni per la sostanziale indifferenza verso il futuro.

L’Italia – come il Canada, gli Usa o il Pakistan – subisce ormai le stesse “gabbie di calore” premature. Basterebbe analizzare l’inverno meteorologico più siccitoso degli ultimi 30 anni con fiumi in secca e emergenze che durano da mesi soprattutto nei bacini del Centro-Nord con crolli di disponibilità d’acqua per usi civili e per l’agricoltura e nuovi ettari di terreni desertificati, o i cicloni tropicalizzati con il corredo di frane che hanno devastato dalla Sicilia al Piemonte. Ma basterebbero anche le ultime due settimane che dicono tutto: un maggio mai visto e sottoposto a un’ondata di caldo molto persistente come se fosse luglio e agosto, con temperature insolite oltre i 32 gradi e giornate afose e tipicamente estive e allerte della Protezione Civile e del ministero della salute.

Le temperature medie aumentate stabilmente provocano drammi persino sulle vette alpine come dimostrano i 2 alpinisti morti e i 9 feriti per il crollo di alcuni seracchi, blocchi di ghiaccio instabili, sul Grand Combin, dal massiccio tra Val d’Aosta e cantone Vallese. La perdita costante di acqua ghiacciata, l’unico collante dei ghiacciai, aumenta i fronti di frane lente e i distacchi improvvisi per la combinazione di caldo, siccità e scarsità di neve ormai ai minimi storici e non più in grado di proteggere i ghiacci dalle radiazioni solari.

Ci vuole poco a capire che il trend climatico in corso, sta creando un nuovo set di emergenze del global warming sempre più ordinarie e sempre più frequenti. Del resto da anni il Copernicus Climate Change Service dell’Ue segnala ogni anno, compreso quello in corso, come il più caldo. Tutti i modelli climatici, a partire da quelli elaborati dal Centro Euromediterraneo sui cambiamenti climatici, l’interfaccia scientifico italiano dell’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu, sono concordi nel valutare un aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050 (rispetto a 1981-2010) che, nello scenario peggiore, potrebbe raggiungere a fine secolo persino i 5°C. E già sono evidenti i nuovi scenari di fenomeni attesi con l’aumento del numero di giorni molto caldi e dei periodi senza pioggia, diminuzioni di precipitazioni estive nelle regioni del Centro e del Sud, e l’aumento di precipitazioni al Nord a carattere esplosivo.

Lo sanno ormai anche i bambini che o riduciamo le emissioni di carbonio, contenendo l’incremento della temperatura globale entro i 2°C, e noi italiani ci diamo una mossa con piani di adattamento climatico oppure faremo fronte a impatti a cascata e sempre più ingestibili mettendo a rischio aree urbane e anche la nostra sicurezza alimentare per cali di produzione agricola, perdite di redditi agricoli e mezzi di sussistenza. Mentre il dibattito pubblico e politico è lontano anni luce dal dramma climatico in corso, l’Italia sta riassumendo in sé tutte le peggiori conseguenze dell’evoluzione climatica per geografia, orografia e morfologia e per stato di dissesto dei territori. Siamo tra le aree mondiali destinate a interagire di più con il dissesto atmosferico e con le bolle di calore dal Mediterraneo, condizionato dall’aumento di 1 grado di temperatura. Dovremmo tutti preoccuparci e provare seriamente a frenare la velocità con cui cambia il clima tenendo l’aumento sotto i 2 gradi con una consistente riduzione delle emissioni di CO2.

Ci sono due clamorosi effetti nazionali delle modifiche climatiche globali che ci riguardano direttamente. Il primo è ciò che accade nell’area climatica del Mediterraneo, il mare-lago che fa da confine climatico tra le aree tropicali e quelle delle medie latitudini, ma che sta perdendo la sua caratteristica molto invidiata dovuta all’azione marina termoregolatrice che garantiva quel “clima temperato”, gradevole, dolce e leggendario, termoregolato da acque meno fredde di altri mari, in grado di trattenere il calore estivo e rilasciarlo durante il periodo invernale. Un privilegio ormai messo in discussione. Il Mediterraneo, infatti, è uno dei “laboratori” degli impatti del riscaldamento globale, tra i principali hotspot di effetti del Pianeta, l’area dove le temperature stanno correndo a una velocità del 20% superiori alla media globale. Si è poi molto indebolito l’effetto-cuscinetto sulla nostra penisola dell’anticiclone delle Azzorre, l’area di alta pressione che soprattutto d’inverno favoriva condizioni di tempo stabile e soleggiato e poi, con le masse d’aria temperate, scongiurava d’estate le ondate di calore eccessive, tenendo il clima in equilibrio e mitigando le basse pressioni del Nord Europa o quelle troppo calde dell’Africa.

Il clima cambiato fa sì che l’anticiclone africano penetri con maggior frequenza e con diverse ondate di calore, e i deficit pluviometrici prolungati determinano effetti su acque e ambienti naturali, agricoltura e aree urbane. Insomma, la fortuna del mare stabilizzatore del clima, ora vede quasi invertire la sua funzione: da stabilizzatore si è trasformato in “propulsore” di catastrofi e se tutto resta come è, dovremo far fronte a circa 250 milioni di persone in scarsità idrica prima della metà del secolo e ad aree costiere condizionate dal rapido innalzamento del livello del mare, sufficienti a salinizzare le acque di falda della maggior parte delle terre agricole di pianura. Problemi da affrontare con politiche di difese e adattamento, con tecnologie di monitoraggio e allerta, e investimenti.

La seconda cartina climatica di tornasole è l’assottigliamento continuo dei nostri ghiacciai e nevai. Da fine Ottocento ad oggi, oltre 200 ghiacciai alpini sono scomparsi lasciando il posto a detriti e rocce. Il confronto con le foto in bianco e nero del secolo scorso non lascia dubbi. Il Comitato Glaciologico Italiano, nato nel 1914, nel suo primo censimento effettuato dal 1925 al 1927 catalogò 832 ghiacciai italiani che brillavano al sole tra l’Aiguille Blanche du Peutérey e il Grand Pilier d’Angle sul versante della Brenva nel cuore del Monte Bianco e in tantissime altre cime ricoperte di candide visioni di bellezza e compattezza, che allora neanche lontanamente facevano immaginare la perdita areale del 50%, il 70% sciolti negli ultimi 30 anni. Tra il 1957 e il 1958, quando i glaciologi misurarono nuovamente i nostri ghiacci con più precise strumentazioni, la loro superficie totale risultò ancora abbondante, di 530 km2. Ma nel terzo censimento di fine Novecento identificarono 706 ghiacciai e la misura della superficie totale era scesa a 482 km2.

Il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani elenca oggi un totale di 369 km2 di ghiacci. Uno dei problemi da fronteggiare è proprio il rischio di crolli di blocchi come nel 1998 dal Coolidge sul Monviso, o nella zona di Courmayeur dove pendono porzioni del ghiacciaio di Planpincieux e sono stati predisposti 11 scenari di possibili rischi da prevenire e da gestire. Ma nel mondo lo scioglimento di ghiacciai e nevai ha già fuso oltre 9.000 giga-tonnellate di ghiacci dal 1961 che hanno contribuito all’aumento del livello di oceani e mari di 0,74 mm all’anno. Con il superamento della soglia limite di +1,5°C di temperatura, gli estremi di calore intensificherebbero lo scioglimento del permafrost, dei ghiacciai della calotta polare, dei ghiacciai montuosi, delle coperture nevose.

Ecco perché, mai come oggi, bisognerebbe sudare non solo per il caldo che fa ma soprattutto per innescare una reazione corale come contro la pandemia sanitaria anche per proteggerci e contrastare la “pandemia climatica”.

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