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Marmolada, i perché del crollo e il sentiero da seguire secondo Maggi

Marmolada ghiacciaio

Quanto avvenuto era imponderabile ma non inimmaginabile. Anzi, in linea con i trend globali. Il presidente del Comitato Glaciologico Italiano analizza il distacco del ghiacciaio e lancia un appello: è tempo di un sistema di monitoraggio diffuso

A tre giorni dal distacco di un seracco dal ghiacciaio della Marmolada e a seguito di ricerche in condizioni avverse, il bilancio del dramma si assesta a sette morti, otto feriti e cinque dispersi. Nel frattempo il dibattito pubblico continua ad avvilupparsi sulle cause, sul cambiamento climatico, sui rischi della montagna e sulla risposta politica da dare alla tragedia. Un coro cacofonico, spesso dissonante, che rischia di confondere le acque di una materia complessa come la glaciologia.

Per fare chiarezza Formiche.net ha raggiunto Valter Maggi, presidente del Comitato Glaciologico Italiano e professore ordinario di geografia fisica e geomorfologia all’Università Bicocca di Milano. Una voce di estrema autorità nel campo che da oltre tre decenni studia e racconta la vita dei ghiacciai nell’epoca del riscaldamento globale. Interrogato sul crollo della Marmolada, l’esperto lo ha definito un evento “estremo” e “molto particolare” che va comunque ricondotto nel solco del cambiamento climatico.

La tragedia era evitabile? Questa la domanda diffusa che Formiche.net ha rigirato a Maggi. “Noi non facciamo proiezioni per il futuro. Quello che osserviamo è che i ghiacciai in tutto il mondo si stanno ritirando in modo abbastanza veloce. Soprattutto nella zona alpina, dove la temperatura media aumenta 2 volte più velocemente rispetto alla media del pianeta”. E la statistica dice che molto probabilmente le ondate di calore aumenteranno ancora, come confermato dal sesto rapporto dell’Ipcc: “È evidente che i trend vanno in questa direzione”.

Il ghiacciaio della Marmolada non fa eccezione. Si stanno riscontrando crepacci abbastanza ampi su tutti i ghiacciai alpini che monitoriamo, continua Maggi, e quanto avvenuto, per quanto imprevedibile, non era fuori dall’immaginabile. Può capitare che si stacchi un seracco, ma magari scivola in una valle vuota e nessuno se ne accorge. Stavolta, però, è avvenuto in una zona molto turistica, dove le conseguenze sono state drammatiche.

Osservando le immagini amatoriali del ghiacciaio fratturato, l’esperto sospetta che ci fosse una bolla d’acqua all’interno, che premendo sulle pareti di ghiaccio abbia causato il distacco. Il ghiaccio era già fratturato perché le parti esterne del ghiacciaio si rompono per via delle contrazioni e delle espansioni. Di solito i crepacci si fermano a una certa profondità, ma se c’è una bolla d’acqua il peso può contribuire alla rottura definitiva. “Ma finché non andiamo a vedere, queste sono solo ipotesi”, ha chiarito Maggi.

Che significa per il turismo montano? “È chiaro che i ghiacciai sono posti meravigliosi, ma vanno affrontati con conoscenza, con competenza, e nel modo adeguato”. Quando si va in queste aree è sempre meglio avere il supporto di professionisti, ha detto il glaciologo specificando che “in Italia abbiamo tra le migliori guide alpine al mondo – che non portano la gente dove c’è sentore di rischio. Tuttavia occorre sempre ricordare che questi sono eventi imponderabili: non era prevedibile il distacco di quel pezzo di ghiaccio”.

Ciò detto, ha continuato l’esperto, “non sarebbe male se ci fosse un servizio di monitoraggio dei ghiacciai, specie in aree popolate o frequentate”. Senza un sistema di controllo e allerta è impossibile pensare di poter disporre anche delle informazioni più basilari. E le soluzioni pratiche? “Le coperte vanno bene per preservare la neve per sciare, ma non servono: il ghiacciaio è un ecosistema vivo e completamente integrato nella montagna. Si può solo stimare il livello di rischio e intervenire in queste situazioni, ma tappezzare le Alpi di coperture per i ghiacciai sarebbe come cementificare tutti i fiumi per evitare che esondino”.

Quanto avvenuto sulla Marmolada non si presta a palliativi: il sistema-ghiacciaio è fragile, dove c’è gente può fare danni. “Casomai serve cominciare a ragionare”, ha concluso l’esperto, “forse ora è più evidente che il climate change è un problema vero, non è solo una paturnia di chi fa ricerca. Peraltro lo si osserva tutti i giorni, non solo sui ghiacciai. Ma va affrontato a livello internazionale. Insisto sul monitoraggio perché è l’unica materia su cui possiamo intervenire qui e ora”.

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