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L’Europa sui dati non può perdere tempo. E deve mostrarsi compatta

Di Cristiano Zagari e Patrizio Caligiuri

Mentre Ue e Stati Uniti provano a riscrivere il Privacy Shield, il Regno Unito stringe accordi sul trasferimento dei dati con Usa e Singapore. Nei prossimi sei mesi del “processo di ratifica” l’Europa non può permettersi di presentarsi frammentata (come avvenuto in questi ultimi due anni) e dovrà canalizzare le energie sul consolidare la propria natura di potenza regolatoria e commerciale a livello globale. L’intervento di Patrizio Caligiuri, direttore Affari Istituzionali e Comunicazione PagoPA e Cristiano Zagari, International Affairs Specialist PagoPA

Al terzo tentativo in pochi anni Stati Uniti e Unione europea sembrerebbero finalmente essere sulla strada giusta per il raggiungimento di un accordo stabile sulla circolazione dei dati a livello transatlantico. Visti i due precedenti negativi, suggellati dalle bocciature degli accordi passati da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), il condizionale rimane d’obbligo. Tuttavia, la metodologia adottata questa volta da Bruxelles e Washington sembrerebbe presagire un’intesa capace di individuare punti di equilibrio soddisfacenti per entrambe le parti.

A supporto di questa affermazione diverse motivazioni; innanzitutto l’incipit: l’accordo nasce da una stretta di mano ai massimi livelli (tra il presidente americano, Joe Biden, e la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen). Un’intesa suggellata dall’impegno da parte statunitense di fornire agli europei e ai loro dati concrete garanzie in merito ad eventuali ingerenze da parte delle agenzie di sicurezza americane. Un particolare, questo, non di poco conto dal momento che l’assenza di garanzie in passato era stata all’origine della doppia battuta d’arresto tra le due sponde atlantiche.

Il 7 ottobre, e qui arriviamo al secondo motivo, a sei mesi dalla storica stretta di mano il Presidente Biden mediante ordine esecutivo ha formalizzato le garanzie promesse.

In sostanza:

  • L’ordine esecutivo darà vita ad un nuovo organismo all’interno del Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti che supervisionerà il modo in cui le agenzie di sicurezza nazionale americane accederanno ed utilizzeranno le informazioni dei cittadini europei e statunitensi;
  • L’ordine conferirà inoltre nuovi poteri ai funzionari della protezione delle libertà civili all’interno dell’Ufficio del Direttore dell’intelligence nazionale degli Stati Uniti, un organismo che sovrintende al lavoro delle agenzie, per indagare su possibili violazioni dei diritti alla privacy delle persone;
  • Infine sempre attraverso tale ordine verrà istituito all’interno del Dipartimento di giustizia statunitense una sorta di Tribunale di riesame della protezione dei dati (Data Protection Review Court) con il compito di consentire agli europei di avviare azioni legali tramite un cosiddetto “avvocato speciale” per contestare il modo in cui i loro dati verrebbero utilizzati dalle agenzie,di sicurezza.

Da qui in poi la palla torna nel campo degli europei che dovranno, attraverso la Commissione europea, produrre una bozza di valutazione dell’accordo, veicolarla per un parere non vincolante ai Garanti della privacy e poi decidere a maggioranza in ambito di Consiglio Ue.

Un percorso senz’altro lungo (si prevede la chiusura per la primavera 2023) e articolato, ma inevitabile e che, in caso di esito positivo, segnerebbe un punto di svolta decisivo per chi in questi anni si è trovato ad operare in un quadro di forte incertezza normativa e di indirizzo, a cominciare dalle imprese.

Come dicevamo, l’assenza di riferimenti certi ha gravato sul sistema produttivo, col passare del tempo sempre più in difficoltà nel poter agire, programmare e investire nel potenziale di crescita che l’utilizzo dei dati fornisce.

A livello italiano ad esempio una ricerca di Anitec-Assinform insieme a Netcomm ha stimato che il flusso transfrontaliero di dati permetterebbe all’Europa di conseguire 720 miliardi di crescita in più entro il 2030, di generare 60 miliardi di esportazioni all’anno (oltre la metà provenienti dal settore manifatturiero) e di creare 700.000 posti di lavoro.

Sulla stessa linea la Commissione europea che,  in occasione del lancio della proposta regolamentare del Data Act, ha più volte enfatizzato come il sottoutilizzo dei dati a livello europeo generi conseguenze negative per tutto il sistema produttivo e non.

Inoltre tale situazione d’indeterminatezza ha pesato sull’applicazione e sulla verifica dell’applicazione delle norme, incidendo anche sul check and balance istituzionale europeo, generando in particolare alcuni disallineamenti tra le stesse istituzioni nazionali ed europee.

Ciò ha penalizzato infine anche gli stessi cittadini, designati sulla carta come primi beneficiari della transizione digitale, ma troppo spesso in questi anni incapaci di fatto di coglierne i frutti e di avere piena consapevolezza dei propri diritti e del loro esercizio.

Questo accordo in ambito transatlantico è ancor più rilevante in considerazione  della delicata triangolazione con il Regno Unito; accade infatti  che lo stesso giorno in cui il Presidente degli Stati Uniti ha firmato l’ordine esecutivo sui dati il segretario al digitale britannico Michelle Donelan e il segretario al Commercio degli Stati Uniti Gina Raimondo hanno annunciato l’imminenza di  un nuovo patto sui flussi di dati Stati Uniti-Regno Unito.

A tal proposito Donelan dopo aver promesso pochi giorni prima di sostituire il “pazzo”quadro di protezione dei dati che la Gran Bretagna ha ereditato dall’Ue ha affermato a margine dell’incontro con la Raimondo: “Gli Stati Uniti condividono i nostri valori democratici, le priorità digitali e l’impegno per standard elevati di privacy dei dati”.

Il nuovo patto sui dati annunciato dal tandem Donelan-Raimondo dovrebbe far parte di un  dialogo completo Regno Unito-Stati Uniti su tecnologia e dati che mira ad allineare gli interessi britannici e americani su questioni tecnologiche come flussi di dati e semiconduttori.

Come se non bastasse, tale annuncio è arrivato lo stesso giorno in cui Londra ha predisposto un calendario per un accordo sui dati simile con Singapore, vero e proprio crocevia economico, finanziario e tecnologico di tutto il Sud-est asiatico.

Alla luce di tutti questi alea s’intuisce facilmente, quindi, quanto sia importante per l’Unione europea restare protagonista e non perdere terreno in ambito di determinazione regolatoria globale.

La riuscita dell’intesa tra Bruxelles e Washington  rappresenta infatti per l’Europa un’ opportunità  rilevante per diversi ordini di motivi:

  • rileva sotto il profilo del peso geopolitico, in termini di conferma di peso regolatorio capace di incidere sugli equilibri economici;
  • rileva per la competitività del sistema produttivo, consegnando alle imprese un quadro di regole più certe che consenta loro programmazione e investimenti sulla leva dell’utilizzo dei dati;
  • rileva, non da ultimo, per i cittadini e per il consolidamento di un rapporto fiduciario con le Istituzioni che devono offrire un quadro regolatorio capace di tutelare le libertà individuali in modo pragmatico e trasparente.

In conclusione, per tutte le ragioni enunciate, l’Europa dovrà nei prossimi sei mesi che riguarderanno il “processo di ratifica” evitare di mostrarsi frammentata (come avvenuto in questi ultimi due anni) e al tempo stesso canalizzare le proprie energie sul consolidare la propria natura di potenza regolatoria e commerciale a livello globale.

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