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Entrando nel merito. La riflessione di Vincenzo Salvatore

Di Vincenzo Salvatore

Come possono le università adempiere al dettato costituzionale che così chiaramente assegna allo Stato il compito di offrire possibilità è supporto agli individui meritevoli, ma privi di messi. L’intervento di Vincenzo Salvatore, presidente della Conferenza dei Collegi Universitari di merito

La recente ridenominazione del ministero dell’Istruzione in ministero dell’Istruzione e del merito ha alimentato un vivace dibattito sul significato e le implicazioni di tale scelta. Numerosi interventi si sono succeduti sui principali organi di informazione che hanno visto interloquire e talora contrapporsi politici, filosofi, giuristi, storici, sociologi e pedagogisti. Il concetto di merito ha così generato una, peraltro prevedibile, novella disputa scolastica, assimilabile nei toni ad una quaestio medievale.

Si è discusso se il merito sia un valore appartenente alla destra conservatrice o alla sinistra progressista, se sia garante dell’eguaglianza sociale o veicolo di discriminazione di classe, se la meritocrazia debba essere perseguita come fattore evolutivo di crescita della società o debba essere osteggiata, determinando una sorta di selezione darwiniana della classe dirigente del nostro Paese.

Sono stati evocati i testi ed il pensiero di Sandel (“La tirannia del merito”), Young (“L’avvento della meritocrazia”) e, fra i più recenti, Santambrogio (“Il complotto contro il merito”) e Boarelli (“Contro l’ideologia del merito”). Non entro qui nel merito di tali analisi. Credo invece si debba piuttosto ripartire dalla considerazione e dal valore che la Costituzione repubblicana assegna a tale termine.

Se ne parla in più di un articolo – primo fra tutti, l’articolo 34, dedicato alla scuola e all’istruzione – dove si afferma che è compito dello Stato rendere effettivo il diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi – inciso che impone particolare considerazione – di raggiungere i gradi più elevati degli studi. Si precisa poi che la Repubblica ha il compito – o, meglio, l’obbligo – di rendere effettivo tale diritto “con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze”, che – e anche quest’ultima precisazione non può essere sottovalutata – “devono essere attribuite per concorso”.

È fuori discussione il valore egualitario che pervade il testo costituzionale. Lo afferma inconfutabilmente l’articolo 3, che assegna alla Repubblica il compito di rimuovere tutti “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Questi obiettivi si rivelano oggi di estrema attualità soprattutto alla luce delle ripercussioni  che due anni di pandemia e la crisi di natura economica (ed il suo impatto sociale) stanno imponendo alle famiglie. Per quanto attiene all’istruzione universitaria, come è stato evidenziato nei giorni scorsi da numerosi organi di stampa, il ritorno delle lezioni in presenza, il notevole incremento dei canoni di locazione, delle utenze energetiche e del costo dei trasporti, ha indotto migliaia di giovani a rinunciare ad iscriversi all’università. In particolare, secondo dati recentemente diffusi dal Censis, l’ente che dal 1964 svolge ricerche in campo economico e sociale, gli iscritti alle università italiane hanno registrato nel 2022 un calo del 2,8%, corrispondente a 9400 studenti in meno, con una netta incidenza nel numero degli studenti c.d. fuori sede, vale a dire coloro che frequentano corsi universitari in una città diversa (spesso molto distante) rispetto a quella di residenza.

Ecco che allora si impone una riflessione sul valore e sulla missione di quelle istituzioni che, come i 54 Collegi universitari di merito italiani che oggi mi onoro di rappresentare, assolvono, in un rapporto di sussidiarietà rispetto al compito assegnato allo Stato, la funzione di promuovere la formazione universitaria di ragazze e ragazzi di talento che, se provenienti da famiglie a basso reddito o in condizioni di disagio sociale, non avrebbero altrimenti nella maggior parte dei casi possibilità di iscriversi a corsi universitari.

Attraverso la concessione di borse di studio, posti a titolo gratuito o costi calmierati – a seconda del reddito Isee delle famiglie di provenienza, i Collegi universitari di merito, ai quali si accede per concorso,  offrono ai ragazzi e alle ragazze meritevoli un percorso di formazione universitaria, in un contesto di comunità caratterizzato altresì dall’acquisizione anche di competenze extracurricolari (le cosiddette soft skills)  e dalla possibilità di fruire di opportunità di mobilità internazionale.

Si tratta di una realtà ancora poco conosciuta ma che assume oggi ancora maggior valore nell’offrire un’opportunità a giovani di talento di proseguire i propri studi ed alleviare se non addirittura azzerare i costi che le famiglie, soprattutto quelle meno abbienti, devono sostenere per mandare i figli all’università.

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