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Perché Putin ha sbagliato i suoi calcoli. Scrive Gualmini

Di Elisabetta Gualmini

L’Europa, forse proprio a causa dello shock della pandemia, è stata in grado di non farsi trovare impreparata di fronte alla guerra e di reagire con prontezza. Un estratto dal libro dell’europarlamentare Elisabetta Gualmini, “Mamma Europa” (Il Mulino)

Pubblichiamo un estratto dal libro scritto da Elisabetta Gualmini intitolato “Mamma Europa” (Il Mulino)

Per mesi siamo stati incollati ai video e alla TV per capire come fosse possibile che nel 2022 una guerra così brutale venisse combattuta, senza tregua, sul campo. E non è un caso che le discussioni nei salotti televisivi, a cui anche io ho partecipato, si siano fatte sempre più accese e violente, contrapponendo i difensori del popolo ucraino e coloro che, incredibilmente, hanno provato in tutti i modi a difendere l’autocrate russo e la surreale tesi della guerra per procura, secondo cui il popolo ucraino avrebbe deciso di combattere e dare il proprio sangue per conto della Nato e soprattutto degli Stati Uniti che volevano attaccare la Russia. Due opposte tifoserie, l’una alimentata anche dalla pervasiva propaganda russa, che forse non hanno giovato alla possibilità per gli italiani di comprendere a fondo le ragioni del conflitto, ma che testimoniano in modo plastico lo shock e lo smarrimento generati da quegli eventi in un paese, il nostro, poco propenso a interessarsi di politica estera e perennemente aggrovigliato intorno alle vicende domestiche.

L’aggressione di Putin nei confronti dell’Ucraina, un paese indipendente e sovrano, ha generato l’immediato compattamento dell’Unione europea. La risposta europea è stata rapida nei tempi e univoca nel condannare sin da subito l’invasione russa come un atto illecito e inaccettabile, al di fuori di ogni norma del diritto internazionale. Lo stralcio del principio di integrità territoriale, dell’inviolabilità dei confini, e quindi degli Accordi di Helsinki del 1975 (firmati anche da Usa, Canada e Urss, oltre che dagli Stati europei), ha portato l’Unione a schierarsi senza esitazione dalla parte del popolo ucraino e del suo legittimo diritto di difendersi. D’altro canto, l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite riconosce pienamente il diritto di uno Stato a opporre una reazione armata, anche con l’aiuto di Stati terzi, per difendere la propria indipendenza politica e l’integrità dei confini. La legittima difesa si configura dunque come una deroga al divieto assoluto dell’uso della forza.

Mamma Europa (Il Mulino)

Messe da parte le teorie prive di fondamento, i leader europei si sono subito schierati dalla parte del popolo aggredito, considerando l’attacco di Putin non solo illegittimo ma frutto del desiderio neo-imperialista di ripristinare i fasti e la potenza della Grande Russia e di recuperare sotto la propria orbita i paesi satelliti dell’Unione sovietica. Non è un caso, infatti, che nel corso degli ultimi dieci anni il carattere dispotico e autoritario della leadership di Putin si è accentuato in modo evidente, insieme alle sue mire espansioniste. Nel 2020 Putin decide di cambiare la Costituzione per poter governare sino al 2036, cioè fino all’età di 84 anni (!). E così come nel 2014 aveva invaso la Crimea per prepararsi alla vittoria nelle elezioni presidenziali del 2018, nel 2022 invade l’Ucraina anche per attrezzarsi a trionfare di nuovo alle elezioni del 2024 [Morini 2020].

La repressione di ogni libertà di stampa e di espressione, la chiusura degli organi televisivi e dei media dell’opposizione, l’avvelenamento degli avversari (si veda Navalny, condannato poi a 9 anni di carcere), l’introduzione di leggi liberticide, come quella che prevede sino a 15 anni di carcere per chi pubblica fake news sulla guerra (tra cui pronunciare la parola “guerra” al posto di “operazione militare speciale”) e la continua propaganda sulle TV russe sono tratti sempre più dominanti della guida dispotica di Putin.

Il grande evento di celebrazione del regime, organizzato da Putin durante la guerra, il 18 marzo 2022, nel gigantesco stadio di Mosca (quello che ha ospitato il campionato mondiale di calcio del 2018), è stato il punto più alto della guerra di propaganda del regime. Putin chiede una prova di lealtà e di fiducia ai propri cittadini ribadendo i sogni di grandezza imperialista e zarista della Federazione russa, sulla base della convinzione che la caduta dell’Unione sovietica sia stata la più grande vergogna del XXI secolo. La folla immensa e inneggiante di partecipanti, tutti con la lettera “Z” impressa su maglie, cartelli e striscioni, divenuta simbolo dell’appoggio alla battaglia di Putin e dei suoi giovani soldati, era il tentativo di fornire all’esterno una rappresentazione fastosa della compattezza di un popolo ancora una volta pronto a fidarsi del proprio leader.

E infatti, almeno nei mesi iniziali della guerra, secondo il Levada Center, una delle poche fonti ritenute ancora affidabili a livello internazionale, il consenso della popolazione russa nei confronti di Putin era ancora molto alto (tra il 70 e l’80%), cosa che fa pensare da un lato al fatto che la macchina della propaganda e della demagogia russa abbia ottenuto i risultati sperati, dall’altro che il sogno messianico di Putin di riunire la popolazione russa e russofona sia comunque condiviso anche da una fetta cospicua della popolazione.

Quando tuttavia Vladimir Putin, a fronte del lungo e inatteso protrarsi della guerra, e delle sorprendenti vittorie sul campo dell’Ucraina, anche grazie alle armi inviate dall’Occidente, ha cominciato a costringere giovani e meno giovani ad arruolarsi obbligatoriamente per andare a combattere, la compattezza ha cominciato a sgretolarsi, sono scoppiati i tumulti e le proteste di piazza (e le relative repressioni), e c’è anche chi si è tolto la vita pur di non essere costretto ad andare in guerra.

La trasformazione in senso illiberale della Federazione russa è ancora più evidente se si confrontano alcuni discorsi di Putin dei primi anni Duemila con quelli degli ultimi mesi. A Berlino, il 25 settembre del 2001, davanti al Parlamento tedesco, dopo l’attentato alle Torri gemelle, Putin addirittura elogiava la liberaldemocrazia.

Cosa è successo vent’anni dopo? Come mai Vladimir Putin ha cambiato così radicalmente idea e ha riportato le lancette dell’orologio russo indietro di un secolo? Non è facile rispondere a questa domanda. Non è facile capire chi, tra esercito e apparati di sicurezza, abbia spinto Putin a posizionarsi sempre più contro l’Occidente e a respingere quel disegno di collaborazione tra Europa e Russia che poteva essere alla base della nuova configurazione dell’assetto geopolitico globale. Sta di fatto che l’aggressione violenta dell’Ucraina ha rappresentato il culmine delle ambizioni espansionistiche e antioccidentali dello zar, non più lucido secondo alcuni (Vlad the Mad per Douglas Murray del “New York Post”), secondo altri del tutto consapevole e razionale nel voler perseguire la riunificazione delle repubbliche sovietiche. E di voler dimostrare all’Occidente, all’Europa e agli Stati Uniti che la Russia può ancora esercitare una notevole influenza nel mondo.

Peccato però che Putin abbia sbagliato i suoi calcoli e abbia puntato troppo sulla presunta debolezza e sulle divisioni dell’Europa, certamente uscita stremata dalla ferita della Brexit e dell’emergenza sanitaria creata dal Covid-19, ma comunque in grado di rispondere. Infatti, quell’Europa, forse proprio a causa dello shock della pandemia, è stata in grado di non farsi trovare impreparata di fronte alla guerra e di reagire con prontezza.

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