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Come la guerra ha cambiato le priorità della Conferenza di Monaco (e degli italiani)

Diritti umani, infrastrutture globali, cooperazione allo sviluppo, energia, ordine strategico e nucleare e, sullo sfondo, la faglia sempre più evidente tra democrazie e autocrazie. Questi i temi al centro della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza. La percezione del rischio internazionale da parte degli italiani

Il Munich Security Report 2023 è un rapporto che viene stilato annualmente e pubblicato poco prima dell’omonima Conferenza, il più grande raduno mondiale sul tema delle politiche di sicurezza internazionali che si riunisce in Germania dal 1963. Quest’anno il report si concentra su cinque macro-temi che influenzano l’ordine internazionale, oltre a elaborare alcuni sondaggi sulle percezioni di rischio nelle opinioni pubbliche.

Il primo tema è quello dei diritti umani, “principale punto di rottura della crescente competizione sistemica”. Sono ormai evidenti gli sforzi della Repubblica Popolare Cinese per costruire un sistema internazionale sicuro per le autocrazie. Un’idea di realtà in cui i diritti collettivi abbiano la precedenza su quelli individuali tipici dell’ordinamento attuale (perlomeno nei Paesi occidentali).

È interessante ricordare che molte democrazie non occidentali siano scarsamente interessate a sostenere azioni a favore dei diritti umani individuali, preferendo invece valori quali la sovranità e la non ingerenza esterna. Un fattore che si spiega guardando alla storia del colonialismo e dell’imperialismo passato e presente.

Le infrastrutture globali sono il secondo tema analizzato dal rapporto. I Paesi, soprattutto in coalizioni transnazionali, competono apertamente per raccontare i programmi di sviluppo infrastrutturale come parte di una visione di governance. La cosa si riflette anche nel dominio digitale, dove la Cina è alla testa di un movimento di Paesi che propone una visione autoritaria e di controllo politico delle infrastrutture digitali. Le infrastrutture commerciali, poi, sono un aspetto importante della competizione, con le grandi potenze che utilizzano le rotte commerciali come leva geopolitica e una crescente quota di Stati che adotta misure protezionistiche.

Terzo tema, che si lega a quello infrastrutturale, è la cooperazione allo sviluppo. Pechino promuove il proprio modello enfatizzandone l’assenza di condizionalità (salvo poi far cadere i Paesi target nelle trappole del debito), a differenza dei programmi statunitensi ed europei che vincolano i propri investimenti alla trasparenza e allo sviluppo democratico. Esempi di questo fenomeno sono i programmi come il cinese Belt and Road Initiative o l’americano Build Back Better World o l’europeo Global Gateway.

L’invasione russa dell’Ucraina ha ricordato quanto le considerazioni geopolitiche si riflettano nel mercato energetico. L’energia è oggi una delle principali preoccupazioni delle democrazie liberali che devono assicurarsi che i loro sforzi per liberarsi dal petrolio e dal gas russi non portino a nuove dipendenze da altre autocrazie.

“Le autocrazie revisioniste rappresentano diverse sfide all’ordine nucleare e alla stabilità strategica”. Questo è l’ultimo tema toccato dal rapporto. Le minacce russe di usare armi nucleari nella guerra contro l’Ucraina hanno risollevato il tema. La Cina ha investito in modo significativo in ulteriori capacità nucleari, e similmente la Corea del Nord e l’Iran rappresentano una sfida per l’ordine nucleare. Al contempo, le prospettive di iniziative di controllo degli armamenti si sono affievolite.

Il Munich Security Index contenuto nel report misura le percezioni dei rischi internazionali nelle opinioni pubbliche, tra cui quella italiana. Il cambiamento climatico in generale è in cima alla lista delle preoccupazioni degli italiani: fenomeni metereologici estremi, incendi e distruzione degli habitat naturali. In secondo luogo si trova la paura per una nuova crisi finanziaria, in aumento rispetto allo scorso anno. In terza posizione è la Russia come potenza destabilizzatrice, con un punteggio di rischio tra i più bassi del G7 ma cresciuto di 22 punti rispetto all’indice dell’anno scorso.

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