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Un Piano Mattei europeo. La rivoluzione Global Gateway verso l’Africa

Il maxi-progetto strategico dell’Ue per investire e contare nel continente africano passa da un’evoluzione nell’approccio verso di esso. Gli interventi di Bagnasco, Bettella, Corazza, De Andreis, Mistretta, Parenti, Pizzi, Procopio, Varvelli e Zaurrini a “Global Gateway Africa: Geopolitica, investimenti e prospettive per l’Italia”

A dicembre 2021 la Commissione europea di Ursula von der Leyen presentò il Global Gateway, una strategia tutta europea volta a convogliare miliardi da investire nei Paesi del Sud globale e offrire un’alternativa all’influenza cinese. Si parlava di cooperazione multisettore – energia e materie prime, sanità, sistemi alimentari, infrastrutture – e 300 miliardi, di cui la metà sarebbero andati in Africa. Ma il progetto è ancora da definire; un po’ come il Piano Mattei del governo italiano, come ha commentato mercoledì il direttore della rivista Africa e Affari Massimo Zaurrini.

UN CAMBIO DI PASSO (MENTALE)

L’esperto stava aprendo l’evento che avrebbe moderato, “Global Gateway Africa: Geopolitica, investimenti e prospettive per l’Italia”, svoltosi allo Spazio Europa di Roma in contemporanea all’apertura del primo Global Gateway Business Forum di Bruxelles (a cui ha partecipato anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, nella giornata di giovedì). Si dialoga, dunque, per dare forma e sostanza al progetto, che per adesso non dispone di fondi propri e tratta di incanalare e veicolare progetti che erano già in divenire. “Probabilmente i fondi dedicati arriveranno nel prossimo bilancio europeo, ma il punto vero è un altro”, ha spiegato Zaurrini: come anche il Piano Mattei, il Global Gateway è soprattutto un passaggio mentale. Vale a dire: smettere di pensare all’Africa come a un continente da aiutare, e costruire un dialogo paritetico basato sulla cooperazione.

RISPOSTE GEOPOLITICHE

Lo strumento era stato lanciato prima dell’aggressione russa all’Ucraina, prima della crisi in Medioriente e prima che diversi Paesi saheliani vivessero “un’ondata anticolonialista di ritorno” nei confronti delle potenze europee, ha ricordato il direttore dell’ufficio romano dell’European Council on Foreign Relations Arturo Varvelli. Naturale, dunque, che il piano si adegui alle necessità odierne. Ma il principio non cambia: serve “ristrutturare la proiezione europea verso sud”. Da Bruxelles, dove seguiva i lavori, Maddalena Procopio (Senior Policy Fellow, Programma Africa, Ecfr) ha spiegato che l’attenzione è rivolta al coinvolgimento di settore privato e Stati membri. L’obiettivo comune è chiaro: serve mettere a terra le iniziative che danno risposta a problemi geopolitici – dalla sicurezza energetica ed economica al near-shoring delle catene di approvvigionamento.

TEAM EUROPE

Queste direttrici emergono dalla consapevolezza che spesso l’Ue non è stata in grado di rispondere alle sfide globali e i Paesi si sono mossi in ordine sparso. “La posizione europea è fortemente indebolita in Africa, America Latina e Asia”, ha evidenziato Antonio Parenti, direttore della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia. Non a caso il Global Gateway è nato in parallelo ai fondi Next Generation Eu, una risposta alla pandemia ma anche il primo tentativo di creare una politica industriale europea con la transizione verde e digitale. In questo senso il Global Gateway vuole essere il “volto esterno” dell’Ue: per i temi che tratta è speculare al sistema economico verso cui lavora Bruxelles. Ma a monte c’è la creazione di “Team Europe”, e il piano non funzionerà se gli Stati membri continueranno a competere tra loro.

ISTITUZIONI E RIDUZIONE DI RISCHIO

Carlo Corazza, direttore dell’Ufficio italiano del Parlamento europeo, ha identificato tre urgenze: affrontare la migrazione, ridimensionare il peso cinese e russo per quanto riguarda l’accesso alle materie prime, e lenire gli effetti “devastanti” del cambiamento climatico nel continente. Come? “Servono soldi veri e garanzie per i privati che investono”, perché il Global Gateway “si basa soprattutto sull’effetto-leva delle garanzie pubbliche” e funziona solo se le istituzioni aiutano le aziende a ridurre il rischio di operare in Africa. Anche per questo le realtà industriali che già ci lavorano guardano alla formazione del Global Gateway “con grande attenzione”, ha rimarcato Letizia Pizzi, direttrice di Confindustria Assafrica & Mediterraneo: “Il supporto istituzionale è importante, non si può lavorare da soli” nel continente.

IL RUOLO DELL’ITALIA

Sia con che senza Global Gateway, l’Ue è già il maggior provider di investimenti e impegni sul territorio africano, ha ricordato Giuseppe Mistretta, direttore per la divisione Africa Sub-Sahariana al ministero degli Affari Esteri. “Il singolo stato europeo difficilmente può rivaleggiare con la Cina, ma in ventisette siamo molto forti. E anche esportatori di valori”, perché da parte dei nuovi attori come Cina e Russia non c’è sensibilità per temi come stato di diritto e buon governo. La battaglia si gioca anche sul livello di informazione: sta all’Ue far arrivare agli africani il senso della sua offerta. Dal lato dell’Italia sono già sul piatto i tre miliardi di euro del Climate Fund che verranno indirizzati verso l’Africa attraverso il Piano Mattei. Ma dal Belpaese già arrivano 330 milioni di euro all’anno per progetti tradizionali, rivolti all’industria oltre che alla sanità e alle reti idriche, ha ricordato Mistretta: l’Italia rimane un grande attore in Africa, e “può vantare un rapporto people-to-people come non ce l’ha nessun altro Paese”.

CONNESSIONI DIGITALI…

Tra gli attori italiani impegnati nel continente africano spicca Sparkle, operatore globale del Gruppo Tim e unica realtà italiana che siede nel Global Gateway Advisory Group. L’azienda ha guardato anche all’Africa nel progetto Blue Raman, che collegherà Italia e India passando per Israele e Giordania. “Fin dall’inizio della progettazione della sezione mediterranea, BlueMed, abbiamo identificato un percorso che ci consentisse di raccordare il più possibile i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove abbiamo rapporti stabili e infrastrutture funzionanti da molti anni”, ha detto l’ad Enrico Maria Bagnasco a Formiche.net ai margini dell’evento. Le altre due aree d’interesse per Sparkle sono la componente atlantica – in particolare Nigeria e Sudafrica, i due Paesi a più alto tasso di crescita industriale e demografico – e l’area del Corno d’Africa per via della sua posizione strategica a cavallo tra Medioriente e Far East. Questa la ratio dietro la presenza consolidata dell’azienda in Nigeria e dei recenti accordi con Kush Investment per potenziare la digitalizzazione di Gibuti, che sarà fondamentale per la proiezione verso oriente.

… E LOGISTICHE

Il futuro corridoio economico India-Europa evocato da Bagnasco (e funzionale al Global Gateway come alternativa alla Via della Seta cinese) vale tanto per i dati quanto per la logistica. La spinta globale verso regionalizzazione e near-shoring sta accorciando le rotte commerciali, ha spiegato Massimo Deandreis, direttore generale di Srm (centro studi collegato al Gruppo Intesa San Paolo). Ne consegue che il Mediterraneo, storico mare di passaggio, sia sempre più centrale per il commercio. Anche perché il Mare Nostrum collega Europa, Nordafrica e Medioriente, che prese insieme sono l’area più importante al mondo in termini di pil. L’Italia è al centro, ma la geografia non basta, ha avvertito Deandreis: nel facilitare la cooperazione e il commercio tra Africa e Ue, il Global Gateway dovrà potenziare l’aspetto logistico, che significa porti e trasporti di merci. In parallelo sarà essenziale lavorare sulla fluidità doganale, ha concluso Eugenio Bettella, partner fondatore di Bergs & More, per non lasciare il progetto sulla carta.

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