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Il conservatorismo italiano è saldamente atlantista. Parola di Alli

Conversazione con il segretario generale della Fondazione De Gasperi: “La politica estera dei Paesi democratici e dei sistemi democratici, a partire dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, deve essere sempre di più basata sulla necessità di difendere il nostro modello, ovunque e comunque. In gioco non c’è più una competizione basata su contiguità territoriali o su fatti economici e commerciali, ma una competizione basata su modelli di governo”

“Abbiamo in casa nostra un modello di conservatorismo incarnato da Giorgia Meloni che non ha dato nessun segnale di cedimento sull’atlantismo”, dice a Formiche.net il segretario generale della Fondazione De Gasperi, Paolo Alli, già presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato. Il conservatorismo europeo, osserva, in questo momento non è un problema dal punto di vista dell’atlantismo e neanche dal punto di vista dell’europeismo. Di contro la tradizione anglosassone è una tradizione storicamente bipolare, dove anche il sistema dell’alternanza aiuta a liberarsi in fretta delle leadership. “Il ricordo svanisce abbastanza rapidamente, perché è un sistema collaudato ormai da decenni negli Stati Uniti, che comunque garantisce, attraverso un sistema di pesi e contrappesi, che quello che prevalga non sia il leaderismo, ma i contenuti”.

Il tradizionale internazionalismo conservatore americano rimane il modo migliore per proteggere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e amministrare l’economia, come ha spiegato Kori Schake dello storico think tank conservatore “American Enterprise Institute”? E in che modo potrà traslarsi verso la politica estera nel dibattito europeo ed italiano?

Dopo il combinato disposto di pandemia e guerre noi siamo di fronte a una rapida evoluzione verso una nuova forma di bipolarismo mondiale, che è fondata sul confronto non amichevole tra democrazie e grandi o piccoli regimi autocrati. Significa che in gioco non c’è più una competizione basata su contiguità territoriali o su fatti economici e commerciali, ma una competizione basata su modelli di governo.

Quali gli anticorpi possibili?

È chiaro che le democrazie hanno una responsabilità diretta in questo momento sui temi della sicurezza globale che è sempre più interconnessa con gli aspetti economici: ovvero se noi lasciamo che prevalga il modello autocratico, che significa economie statali centralizzate o sistemi di sicurezza in mano al controllo di una sola persona e non al controllo democratico, è ovvio poi che sia la sicurezza commerciale, la sicurezza dell’integrità e l’incolumità dei nostri Paesi vengono messe a rischio. È ovvio che i grandi regimi autocratici, a partire dalla Cina, vincono facilmente il confronto perché sono più efficienti delle democrazie. Quindi il tema è che la politica estera dei Paesi democratici e dei sistemi democratici, a partire dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, deve essere sempre di più basata sulla necessità di difendere il nostro modello ovunque e comunque. Non mi riferisco solo alla difesa di un modello di stato, ma anche un modello di sistema economico liberale e comunque basato sul confronto e sulla libertà di scambio.

Il conservatorismo europeo sta vivendo una fase sì nuova, data da interpreti diversi come Giorgia Meloni dopo il ventennio merkeliano e circostanze del tutto eccezionali (Ucraina e Gaza): è ben ancorato alla sua tradizione atlantista?

Io credo che credo di sì perché, innanzitutto, già abbiamo in casa nostra un modello di conservatorismo incarnato da Giorgia Meloni che non ha dato nessun segnale di cedimento sull’atlantismo. Altro è un conservatorismo populista come può essere quello di Paesi basati su un certo ultra nazionalismo che sfocia nell’isolazionismo, che è antistorico. Il conservatorismo europeo secondo me in questo momento non è un problema dal punto di vista dell’atlantismo e neanche dal punto di vista dell’europeismo, pur avendo i conservatori in mente un modello di Europa diverso da quello dei popolari.

Anche in Europa così come in Usa, gli elettori potranno aver bisogno di una visione conservatrice che non assecondi il leaderismo? E come i partiti dovranno soddisfarli?

Penso che dovremmo provare a fare due ragionamenti diversi tra il mondo nordamericano e il mondo europeo, cioè il sistema anglosassone, includendo anche il Regno Unito e la tradizione europea. La tradizione anglosassone è una tradizione storicamente bipolare, dove anche il sistema dell’alternanza aiuta a liberarsi in fretta delle leadership. Il ricordo svanisce abbastanza rapidamente, perché è un sistema collaudato ormai da decenni negli Stati Uniti, che comunque garantisce, attraverso un sistema di pesi e contrappesi, che quello che prevalga non sia il leaderismo, ma i contenuti. Dopodiché vediamo anche negli Stati Uniti che le differenze ideologiche tra conservatori, repubblicani e democratici alla fine non sono poi così enormi come potrebbero essere le differenze in Europa tra l’estrema destra, l’estrema sinistra e il centro.

Ovvero?

Per quanto riguarda l’Europa il ragionamento è un po’ più articolato nel senso che in fondo in Europa c’è sempre stata più la cultura del leader che la cultura del partito. Merkel è durata vent’anni, Kohl 16 anni, in Italia Andreotti e Fanfani sono durati tanto. Noi non abbiamo avuto, come negli Usa, il leaderismo trumpiano, ma comunque abbiamo avuto delle leadership molto durature nel tempo, come Berlusconi e Prodi stando agli ultimi decenni. Mentre negli Stati Uniti Obama è arrivato dopo ed è sparito dalla circolazione dopo gli otto anni di governo. Cioè credo che siano proprio i sistemi diversi ad avere anche delle conseguenze diverse. Ricordo quel bellissimo libro scritto una quindicina di anni fa da Jeremy Rifkin che si intitola “Il sogno europeo” dove confronta il sogno americano basato sull’individualismo con il sogno europeo, che è basato sulla vittoria della comunità. Ciò ha anche conseguenze diverse sull’atteggiamento dell’elettore, l’economia sociale di mercato contro il liberismo: in sostanza sono sistemi diversi.

Se riusciranno in questa impresa i conservatori potrebbero aprire un ciclo duraturo, come è stato quello merkeliano?

Ma cosa intendiamo per conservatori? In fondo anche i popolari sono dei conservatori: il popolarismo è un conservatorismo dei valori, magari più flessibile rispetto al conservatorismo tradizionale che è più rigido su alcuni aspetti, però alla fine i valori di riferimento sono simili. Farei fatica a definire un confine tra conservatorismo e popolarismo, mentre mi è più semplice definire un confine tra popolarismo e socialismo perché sono visioni diverse della società e della vita.

@FDepalo

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