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Vi spiego perché l’Ocse ha tirato le orecchie all’Italia. L’analisi di Rossi

Di Emilio Rossi

Come nella tradizione dei suoi report, l’Ocse non si limita a mettere genericamente in guardia sulle più rilevanti problematiche di medio termine del Paese, ma indica i sentieri da seguire per sfruttarne le potenzialità. E per l’Italia, non seguire tali sentieri significa implicitamente rischiare di trovarsi di fronte a un’altra pesante crisi in un futuro non tanto lontano. Il commento di Emilio Rossi, Oxford Economics e Osservatorio del Terziario di Manageritalia e membro del Gruppo dei 20

Una tirata d’orecchie al governo e al Paese tutto. Questa è la sintesi del report sull’economia italiana pubblicato due giorni fa dall’Ocse. Anzi, più precisamente una lista di tirate d’orecchie. Come nella tradizione dei suoi report sui Paesi aderenti, l’Ocse non si limita a mettere genericamente in guardia sulle più rilevanti problematiche di medio termine del paese ma indica i sentieri da seguire per sfruttarne le potenzialità.

Per un Paese come l’Italia, in declino ormai da tre decenni e con nodi strutturali irrisolti che la collocano tra i Paesi a minor crescita sia economica che demografica e con il debito pubblico tra i più alti del pianeta, non seguire tali sentieri significa implicitamente rischiare di trovarsi di fronte a un’altra pesante crisi in un futuro non tanto lontano. Dopo aver ricordato la buona performance dell’Italia durante la pandemia prima e in reazione alla crisi energetica e all’inflazione poi, l’Ocse fa presente che la crescita attesa è molto debole e sostanzialmente in linea con quella pre-pandemica.

Per allontanare il paese da altri anni di crescita asfittica, l’Ocse mette innanzitutto in guardia sulla situazione delle finanze pubbliche del nostro Belpaese, peggiorata proprio per far fronte alle due crisi. Un richiamo già espresso da molti esperti e messo in risalto dalla proposta del Consiglio Europeo approvata a fine dicembre che chiama l’Italia ad un surplus primario significativo per molti anni a venire e con una traiettoria del debito molto più impegnativa (eufemismo) di quanto indicato nella legge di bilancio e nella Nadef.

Le raccomandazioni dell’Ocse per raggiungere gli obiettivi (da considerarsi minimi) includono una serie di punti su cui il governo appare riluttante a muoversi o sta addirittura andando in direzione opposta: eliminazione degli schemi di pensionamento anticipato e introduzione di una tassa di solidarietà per le pensioni che erano state calcolate con il sistema retributivo, abbassamento del limite ai pagamenti in contanti, effettuazione di una spending review con obiettivi ambiziosi, promozione dei pagamenti digitali, riduzione dei vari regimi di flat tax, taglio delle tax expenditures, revisione del catasto, spostamento della tassazione dal lavoro alla proprietà e all’eredità, gli eventuali successi su questi fronti dovrebbero poi essere utilizzati per la riduzione del deficit e non per aumentare spese improduttive.

Su questi temi non sembra esserci convergenza sia nel governo sia di una parte importante dell’opposizione e di molti analisti che non sembrano afferrare l’importanza del riequilibrio della finanza pubblica in chiave di sostenibilità della crescita economica e degli investimenti. Quello che il report dell’Ocse non sottolinea è che in realtà, ove non dovessimo mettere a posto i nostri conti, dovremmo preoccuparci delle reazioni dei mercati prima ancora che delle eventuali procedure di infrazione provenienti dalla Ue.

L’Ocse non si limita alle raccomandazioni riguardanti le finanze pubbliche e delinea un vero e proprio percorso di ammodernamento del paese al fine di incrementarne la crescita potenziale e l’occupazione. Su questi temi l’Ocse si ispira al buon senso, suggerendo misure che aprano l’accesso ai mercati, compreso il mercato del lavoro. Tra queste è messa in risalto la necessità di rilanciare la produttività dei servizi, sulla quale l’Italia presenta notevoli ritardi rispetto agli altri paesi europei e Ocse. Effettivamente il dibattito su questo tema in Italia langue e se ne sottovaluta l’importanza.

Il terziario di mercato oggi rappresenta circa il 60% del Pil del paese e ne rappresenta il settore più dinamico negli ultimi 25 anni, con una crescita dal 1995 al 2023 – inclusa quindi pandemia e crisi energetica – di circa il 40% (contro il 2% del resto dell’economia). Numeri simili si riscontrano sull’occupazione. Intervenire sulla produttività dei servizi di mercato è quindi elemento cruciale per il recupero della produttività dell’intero paese e su questo l’Ocse propone varie misure (la maggior parte già segnalate da Manageritalia, da Oxford Economics Italia e dalla Fondazione Tor Vergata – così come da altri policy analyst).

 

Tra queste misure (peraltro non ad alto costo) indica in particolare:

a) l’applicazione della legge sulla concorrenza, con riferimento particolare alla necessità di sottoporre le concessioni in scadenza a gare d’appalto pubbliche (la questione riguarda l’intero mondo delle partecipate e non solo i balneari e i taxi di cui invece sono piene le pagine dei giornali e i talk show);

b) la riduzione dell’area di applicazione dell’equo compenso per i servizi professionali, in quanto di fatto esso diventa un compenso minimo che ostacola l’entrata di nuovi player. Il terziario sarebbe peraltro il primo beneficiario di una serie di misure che l’Ocse propone per l’intero Paese Italia. Tra queste il miglioramento del sistema di formazione e di competenze, con un nuovo programma di life-long learning integrato da un rigoroso controllo di qualità per gli enti di formazione, finanziabile con fondi Pnrr.

E a proposito di Pnrr, l’Ocse esorta a concentrare l’utilizzo dei fondi su grossi progetti gestiti centralmente, al contrario di quella che risulta essere la polverizzazione in tanti piccoli investimenti locali che poco impatteranno sulla produttività del sistema paese. Qui la tirata d’orecchie evidentemente non è solo al governo attuale. Così come non è solo indirizzata al governo attuale la disamina delle problematiche relative alla decarbonizzazione del sistema economico italiano.

In questo ambito, il ventaglio di misure proposte è lungo. L’accento è sulla necessità di spostare la tassazione e gli incentivi dai combustibili fossili alle rinnovabili, insieme all’ampliamento massiccio del trasporto pubblico. In sintesi, suggerimenti di buon senso che però possono incontrare ostacoli politici notevoli. Quello di cui invece non si dibatte in Italia e che invece l’Ocse indica come primo punto della lista è la creazione di un ente indipendente per il monitoraggio e la valutazione dei progressi sull’abbattimento delle emissioni.

Occorre dire che l’Ocse non sembra voler tenere conto di alcuni elementi di forza del nostro paese, quali la elevata ricchezza privata e la presenza di un forte tessuto di imprese di media dimensione, ma i report Ocse sono tradizionalmente orientati a dare indicazioni su misure rivolte a migliorare i punti deboli di un Paese. Ed essendo tali punti deboli numerosi ma affrontati dal governo attuale con un approccio spesso diverso da quello indicato dall’Ocse, la tirata d’orecchie è altrettanto evidente (e speriamo utile).

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