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Caro Di Maio, la difesa va affrontata senza pregiudizi. Parla Scotti

Sull’attuale dibattito relativo alle spese militari, pesa l’eredità di una campagna elettorale densa di annunci figli di una tradizione pacifista sempre esistita nel nostro Paese. Eppure, il governo dovrà prima o poi fare i conti con le responsabilità che derivano dalle alleanze internazionali e con il realismo (“privo di pregiudiziali ideologiche”) necessario a valutare un settore che contribuisce all’innovazione e alla crescita nazionale. Parola di Vincenzo Scotti, presidente della Link Campus University e più volte ministro democristiano, che Formiche.net ha raggiunto per capire come potrebbe sciogliersi il complicato nodo delle spese per la difesa, soggette negli ultimi giorni a uscite non proprio rassicuranti per un comparto uscito da anni di budget e investimenti pubblici risicati.

Presidente, tra annunci di tagli, smentite e indiscrezioni, cosa sta succedendo nel governo sul fronte della spesa per la difesa?

La discussione è totalmente aperta e richiede, a questo punto, la necessità di trovare un’intesa dopo il periodo elettorale e dopo il successivo avvio del governo. Se, da una parte, c’è una eredità che arriva dalla campagna elettorale e dagli annunci di quel periodo, dall’altra c’è il realismo necessario soprattutto per un Paese come il nostro, all’interno di un sistema di difesa transatlantica e di cooperazione tra gli Stati che vi partecipano. Poi, c’è un altro problema, e cioè l’esigenza di considerare come industria e ricerca diano un contributo importante allo sviluppo e all’innovazione nel sistema produttivo italiano nel suo complessa.

Non intravede, all’interno della compagine governativa, una frattura tra chi vuole tagliare (l’ala dura dell’M5S) e chi invece cerca di difendere un settore considerato strategico (la Lega)?

Spero che non sia una frattura, ma che si possa arrivare a ragionare con la necessaria responsabilità di un Movimento che non è più fuori dal sistema di governo (e con questo intendo anche la relazione tra il Paese e gli alleati).

Quanto sono conciliabili queste due anime? Come andrà a finire nella prossima Legge di bilancio?

Penso che si dovrà arrivare a una soluzione di “compromesso”. In tal senso, è bene ricordare che non si tratta di un problema di oggi. Nella storia del nostro Paese, dalla fine della Seconda guerra mondiale, abbiamo sempre avuto il manifestarsi di due anime fondamentale: una a favore della limitazione e della riduzione della spesa militare; e una incline a sottolineare l’importanza strategica del settore oltre la stessa esigenza di tutela e difesa. Non è una novità. In fondo, questo confronto è sempre stato vivo, anche in momenti accessi, quando l’anima pacifista interna alla sinistra ha avuto forza e peso nelle decisioni finali del Paese. In tal senso, i vari governi che si sono succeduti hanno sempre mantenuto attenzione sia all’anima pacifista, sia a quella più realistica, che ha continuato ad alimentare la presenza all’interno di un sistema internazionale di alleanza difensiva.

Eppure, l’impressione è che sia sempre il settore della difesa ad essere sacrificato.

Purtroppo non è solo la difesa, ma anche la ricerca e gli investimenti infrastrutturali. Sono questi settori a essere toccati quando le riduzioni sono lineari, quando cioè avvengono senza affrontare singole priorità. Si tratta di un confronto da evitare se non in momenti di crisi che richiedono un’attenzione maggiore al tema della disuguaglianza e della povertà. Occorre infatti valutare quali sono gli effetti di riduzioni della spesa in infrastrutture, ricerca e difesa sulla crescita del reddito. Ed è evidente che investimenti militari “intelligenti” abbiano effetti sulla dinamica dell’innovazione e, quindi ,sulla ricchezza del nostro Paese.

Rispetto a Paesi come Francia, Stati Uniti (su cui certamente pesa un’eredità storica differente) perché in Italia è difficile parlare di investimenti in campo militare? Esiste una questione culturale sulla difesa?

Certamente. E questo pone il problema di avere un rapporto con i cittadini più trasparente e più capace di convincerli e coinvolgerli sulla necessità di un efficace sistema di difesa. In altre parole, occorre evitare di portare la discussione e il dibattito nel campo della reticenza. È bene che si sviluppi un confronto senza pregiudiziali ideologiche, che valuti ogni aspetto e che consenta ai cittadini di avere chiare le ragioni per cui un Paese come il nostro ha una responsabilità non più limitata al suo ambito tradizionale. Se vogliamo contare nel contesto internazionale, dobbiamo anche assumerci responsabilità che vanno oltre i limiti della difesa interna e che attengono alla sicurezza globale.

A quali programmi si riferisce quando fa riferimento alla credibilità e al peso strategico del Paese nel sistema internazionale di alleanza?

A tutti quelli che sono stati portati avanti nel passato e che hanno proiezioni nel futuro. Tra questi, è bene però considerare il tema specifico della difesa contro gli attacchi cyber, una questione vitale per il nostro sistema non solo sotto il profilo della libertà, ma anche in termini economici. Le reti virtuali sono ormai fondamentali per la tenuta dell’interno sistema. Il problema è capire come l’evoluzione tecnologica stia spostando sempre più l’asse dalla guerra che si sviluppava in cielo, in terra, in mare e nello spazio, alla guerra che si sviluppa nel cyberspace. Anche per questo, occorre discutere con realismo sullo sviluppo delle tecnologie, cercando di capire quali siano diventate di maggiore o mino interesse.

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