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Non danneggia la salute

Quando si analizzano i pro e i contro di una scelta importante come quella che riguarda la principale fonte di energia per un Paese, uno dei fattori determinanti è quello dei rischi per la salute. Ma occorre innanzi tutto chiarire la portata di questi rischi e collocarli al loro posto nel quadro complessivo del rischio sanitario generale. È percezione diffusa che la scelta nucleare costituisca un pericolo anche per i suoi potenziali effetti cancerogeni. Se guardiamo alle cause che provocano i tumori, osserviamo che i fattori genetici sono responsabili solo del 3% dei tumori, i fattori riproduttivi ed endocrini lo sono per il 12%, mentre i fattori ambientali – intendendo con questa parola l’ambiente interno ed esterno alla cellula – sono la causa dell’85% di tutti i tumori. Di questi la ricerca ne ha individuati con certezza alcuni che sicuramente incidono sulla formazione della malattia: prima di tutto l’alimentazione, che è all’origine del 30-35% dei casi di tumore, poi il fumo (un fattore assolutamente controllabile, anzi eliminabile, che paradossalmente è responsabile addirittura del 30% delle morti per cancro nel mondo), alcuni virus (responsabili di un altro 10%, ecco perché già si stanno diffondendo le vaccinazioni contro virus cancerogeni conosciuti, come l’HPV o l’epatite B) e infine, in percentuale di circa il 4%, l’esposizione a sostanze cancerogene, soprattutto sul luogo di lavoro. Esiste dunque una minima parte di tumori dovuti all´inquinamento atmosferico, i cui principali responsabili sono i combustibili fossili. In questo panorama il rischio cancerogeno dell´energia nucleare con i moderni reattori è di fatto vicino allo zero.
Parlando di energia abbiamo una duplice necessità: produrne quanta è necessaria allo sviluppo, tenendo presente che secondo le ultime stime il fabbisogno mondiale aumenterà di oltre il 50% entro il 2030; e farlo proteggendo l’uomo e l’ambiente. Ci troviamo di fronte a tre opzioni. La prima è continuare a utilizzare l’energia che proviene da combustibile fossile (carbone, petrolio e i suoi derivati) che è relativamente sostenibile, ha una produzione ricca, un’organizzazione distributiva collaudata, ma è inquinante e, come abbiamo visto, dannosa per la salute perché sappiamo per certo che molti prodotti della combustione causano il cancro e altre malattie. Inoltre c’è un pericolo dal punto di vista geopolitico: le sue sorgenti sono infatti concentrate in un piccolo numero di Paesi che possono fare dell’energia strumento di ricatto economico e politico.
La seconda opzione è l’utilizzo delle fonti rinnovabili, come quella solare, che ha grandi potenzialità nei Paesi esposti al sole, come il nostro, e va sfruttata in modo più deciso perché è pulita, inesauribile e abbondante. Tuttavia ancora non abbiamo le tecnologie che ne rendano accessibili i costi di trasformazione, e resta ancora molto da investire in ricerca tecnologica per il suo pieno sfruttamento.
La terza opzione è utilizzare altre fonti non inquinanti, come la eolica, la geotermica, le biomasse, l’ idroelettrica e il nucleare, che non comportano pericoli per la salute ma hanno altre criticità. L’energia idroelettrica purtroppo è già sfruttata quasi al massimo del suo potenziale, mentre l’energia eolica è una soluzione parziale e ottenibile solo nei Paesi molto esposti ai venti, come quelli del Nord Europa. L’energia geotermica, che è inesauribile, ha processi di estrazione troppo lunghi e costosi. Le biomasse, cioè la coltivazione delle piante per produrre energia, sono interessanti e promettenti; tuttavia vanno utilizzate con raziocinio, perché dobbiamo fare i conti con le estensioni di terreno che sottraiamo all’agricoltura e di conseguenza all’alimentazione.
Tra tutte le varie fonti di energia, il nucleare – quella maggiormente utilizzata dalla natura stessa: il sole è un’immensa centrale nucleare – appare come una fonte potente, per la quale già disponiamo della tecnologia di sfruttamento. Si tratta di una fonte di energia pulita: non produce l’anidride solforosa responsabile delle piogge acide, né gli altri gas che producono l’effetto serra (in primis l’anidride carbonica) e non disperde nell’ambiente le famigerate polveri sottili, pericolose per la salute e per il clima. Il fatto che l’energia nucleare abbia un impatto minimo sull’ambiente è testimoniato per esempio dal fatto che la Francia, che produce il 75% della sua elettricità con 58 centrali nucleari e il 15% con dighe idroelettriche, è il paese europeo con la più bassa emissione di anidride carbonica, insieme a Svezia e Norvegia. Ogni anno il 17% dell’elettricità mondiale proviene dall’energia nucleare e l’International Atomic Energy, organismo promosso dall’Onu, ha dimostrato che l’uso delle fonti nucleari, unito a quelle idroelettriche, ha finora ridotto del 20% le emissioni di anidride carbonica.
Il nucleare, come abbiamo detto, è anche una fonte di energia che non comporta rischi per la salute. Ognuno di noi nel corso della vita assorbe una piccola quantità di radiazioni ionizzanti (cancerogene), che provengono per il 30% dal radon naturale presente nell’atmosfera, per il 20% dagli esami medici radiologici, per il 30 % dalla radiazione naturale emessa dal nostro pianeta Terra e per il 10% dalla radiazione cosmica (che può aumentare con l’altitudine sopra il livello del mare). Il nostro stesso corpo emette una sua radiazione naturale, pari al 9% del totale assorbito. Dopo le radiazioni emesse dall’industria (2%) e quelle emesse dai test sulle armi nucleari (0,4%) e dai viaggi in aereo (0,3%), la percentuale di radiazioni assorbite provenienti dalle centrali nucleari è vicina allo 0. Il timore più diffuso, riguardo all’energia nucleare, è quello legato agli incidenti, e infatti il grande movimento antinucleare è nato essenzialmente sulla scorta della paura dei disastri delle centrali nucleare. Va ricordato che in Italia il referendum in cui il Paese ha detto no al nucleare, avvenne nel 1987, vale a dire un anno dopo il disastro di Chernobyl, quando l’opinione pubblica era – più che comprensibilmente – in preda al panico. Ma la centrale di Chernobyl era un impianto obsoleto e carente di sistemi di scurezza. Oltretutto l’incidente fu causato da un tragico e incredibile errore umano, che oggi non potrebbe più occorrere perché, grazie alla ricerca tecnologica, i processi sono altamente automatizzati e dunque il rischio di incidente si è fortemente ridotto. Le moderne centrali nucleari sono dotate di sofisticati sistemi di sicurezza e di parecchi strati di contenimento che impediscono – o limitano, in caso di incidente grave – la diffusione di materiale radioattivo. Complessivamente i rischi dell’industria nucleare moderna sono molto inferiori a quelli di altre attività industriali, in particolare quella dei trasporti.
Rimangono quindi due problemi: lo smaltimento delle scorie radioattive e lo smantellamento delle centrali quando diventano obsolete. Sono però punti sui quali la ricerca scientifica può essere di grande aiuto. Già oggi disponiamo di molte soluzioni e a costi accettabili. Per le scorie, ad esempio, sono state a messe a punto tecniche di stoccaggio ad altissima sicurezza; vengono trattate per renderle inerti e quanto rimane viene sotterrato a una profondità di 600 o 800 metri, in luoghi geologicamente stabili, o conservato in blocchi di cemento e vetro all’interno di depositi isolati. Prendiamo ancora il caso emblematico della Francia: qui ogni anno vengono prodotte circa 3 tonnellate pro-capite di rifiuti, di cui circa 100 chilogrammi in materiali tossici (prodotti chimici, metalli pesanti, ecc.). Di questi 100 chili uno è costituito da scorie radioattive nucleari per lo più a bassa attività. Il volume globale delle scorie radioattive prodotte in un anno in Francia è pari a 1500 metri cubi, mentre quello delle sostanze chimiche tossiche è pari a un milione di metri cubi. Le scorie radioattive, quando non vengono riprocessate, vengono imprigionate in blocchi di cemento, vetrificate se molto radioattive e collocate in siti isolati e profondi. Infine, come ha rilevato uno studio patrocinato dalla Commissione Europea svolto in collaborazione con il Dipartimento per l’energia degli Stati Uniti, l’energia nucleare è economicamente competitiva; lo è anche considerando i costi cosiddetti “esterni”, come il costo della gestione delle scorie, dello smantellamento degli impianti e degli eventuali incidenti. È vero che per costruire un reattore nucleare occorre un notevole investimento, tuttavia, una volta ultimato, può funzionare per 40 anni e più a un costo di esercizio minimo. Il prezzo del combustibile nucleare infatti è molto inferiore al prezzo per chilowattora di energia elettrica. Inoltre, a differenza di quello del petrolio, si tratta di un prezzo stabile e non manipolato per scopi politici. In un mondo come quello di oggi, dove l’acquisizione delle sorgenti di energia è un potenziale elemento generatore di conflitti, l’energia nucleare appare anche come un fattore di stabilità politica.
Se dunque è vero che la fonte ottimale in termini di produzione, efficienza, sostenibilità per l’ambiente e per l’uomo (come la fusione nucleare) ancora non è disponibile, aspettando i risultati della ricerca, sembra che l’opzione nucleare sia quella da considerare concretamente e subito.
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