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Un protocollo terapeutico per l’Italia

Siamo un Paese ubriaco di politics, anzi spesso di “politica politicante”. A differenza di quanto avviene in altri Paesi europei, il confronto sulle policies, sui reali contenuti delle politiche pubbliche, è pressoché inesistente, e, nei pochi casi in cui c’è, è di tipo strumentale. Di tanto in tanto qualcuno, premier o capo partito, lancia un programma, o in qualche caso un simulacro di programma, a volte agitandolo come una clava, e poi non se ne sanno gli esiti. Anche lo stesso rapporto perverso tra politica e giornalismo, in un quadro in cui imperversano e trovano spazio gli scontri all’arma bianca, non favorisce certo un confronto aperto sulle politiche pubbliche. Personalmente, non condividendo certo questo andazzo, da molto tempo mi guardo bene dallo scrivere di politics (e tanto meno di politica politicante), e mi dedico invece, nei miei articoli e nei miei libri, ai contenuti delle policies.
Ho appena pubblicato un libro, firmato assieme a Stefano Scabbio, presidente di Manpower, dal titolo La formula. Come passare dallo Stato gassoso allo Stato solido (Rubbettino), in cui, dopo un’attenta diagnosi su sei nodi fondamentali che si sono da tempo intricati sul pettine del Paese (e che impediscono al pettine di avviare l’arruffata chioma italica), indichiamo a conclusione un tracciato, un itinerario, che potrebbe fungere appunto da “formula” idonea a rimettere insieme gli ingredienti stantii della guida del Paese.
Un programma di lavoro che non pretende di essere esaustivo, né tanto meno perfetto, ma che forse meriterebbe qualche attenzione da parte delle forze politiche, a cominciare dalle nuove formazioni in fieri. Mi sia quindi consentito saccheggiare l’epilogo del libro, riproponendone una selezione dei contenuti e delle proposte concrete ai lettori di Formiche. Procediamo dunque nell’ordine dei singoli nodi.
 
Il nodo istituzionale
Si pone in primo luogo un problema di attuazione di alcune norme costituzionali. La prima è l’articolo 39 che riguarda l’organizzazione sindacale. Sarebbe il caso che finalmente i kombinat sindacali assumessero personalità giuridica e fossero quindi davvero dotati, come prescrive il terzo comma dell’articolo 39 della Costituzione di un “ordinamento interno a base democratica”. In tal modo, una volta registrati nell’ordinamento, i contratti collettivi di lavoro dovrebbero essere stipulati sulla base della rappresentanza di iscritti ai singoli sindacati e solo così potrebbero avere efficacia erga omnes.
La seconda norma è quella dettata dall’articolo 49 della Costituzione, che stabilisce che i partiti debbano “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Questo metodo democratico è in parte sparito nella vita interna di vari partiti e ancor meno vige per l’individuazione delle candidature per le varie elezioni. Di qui l’esigenza di uno “Statuto pubblico dei partiti”, che definisca almeno i contenuti minimi dei singoli statuti, sia in quanto a metodo democratico che in quanto a seri controlli sul finanziamento pubblico.
Quanto invece alle riforme costituzionali, il Titolo più vetusto della Costituzione è, in alcune sue parti, quello sui “Rapporti economici”, specie in riferimento agli articoli che vanno dal 41 al 47, ispirati per certi versi ad una logica più da Stato “socialista” che da Stato liberale. C’è poi la questione della riforma della forma di governo, su cui si sono scritti fiumi di inchiostro. Anche per noi, come per tanti, ci si potrebbe riferire alla “Bozza Violante”, varata nella scorsa legislatura dalla commissione Affari costituzionali della Camera e poi impantanatasi. Riduzione del numero dei parlamentari, riforma del bicameralismo perfetto, tramite la distinzione dei poteri tra le due Camere, rafforzamento della figura del presidente del Consiglio, con il potere di revoca dei ministri, sono alcuni dei punti fondamentali della bozza in questione.
Occorrerebbe por mano ad una nuova revisione del Titolo V, creando una cornice di federalismo coerente con il principio del federalismo fiscale e basata su una più appropriata definizione del rapporto tra i poteri dello Stato e i poteri delle Regioni.
 
Il nodo amministrativo
Dovrebbe essere attuato il più possibile il principio costituzionale della sussidiarietà, mettendo così a dieta il corpaccione dello Stato e delle sue articolazioni territoriali e aziendali, tramite la restituzione ai privati, all’associazionismo, al volontariato, di attività che non necessariamente competono a soggetti e imprese pubbliche. Dovrebbe essere poi ripristinata la regola costituzionale del concorso per l’accesso ai pubblici uffici. Per tornare alla regola costituzionale dell’imparzialità dell’amministrazione, occorre anche abolire l’istituto dello spoils system all’italiana, stabilendo procedure efficaci ed imparziali per la scelta e la preposizione agli incarichi dei dirigenti, in un quadro di separazione tra sfera politica e sfera amministrativa.
Ultimo, ma non meno importante, andrebbe finalmente istituita un’Alta Scuola di formazione della dirigenza pubblica, sulla base del modello delle Grandes Ecoles francesi e in particolare dell’Ecole nationale d’administration (Ena).
 
Il nodo dell’etica pubblica e della qualità delle classi dirigenti
Non è facile ripristinare una degna etica pubblica tramite forme normative. Si potrebbe però cominciare da normative più serie sul cumulo degli incarichi, sia nella politica e nel settore pubblico che nel settore privato. Analogamente, occorrerebbe incidere sulle italiche “cariche a vita”, che sono la quintessenza del potere.
Quanto all’etica pubblica, sarebbe opportuno finalmente adeguare e modernizzare la disciplina dei reati contro la Pubblica amministrazione, a cominciare dalla corruzione, ma non può certo bastare il Codice penale a frenare le degenerazioni nell’etica pubblica.
Sulla scia dell’esperienza dei Paesi anglosassoni, chi entra negli organi rappresentativi, nelle banche, nelle imprese dovrebbe firmare ed aderire a precisi codici etici, idonei a fissare adeguate “cinture di castità”, anche per quelle deviazioni non previste dal Codice penale.
 
Il nodo sociale e della disoccupazione giovanile
Come è noto, il Paese soffre da sempre di una profonda discrasia tra mondo della scuola e mondo del lavoro. Occorre pertanto agire su ambo i lati di questi due mondi così lontani. Fondamentale è agire su quella giungla incolta che è la formazione professionale, affidata oggi alle Regioni, che sono state le istituzioni più fallimentari della Repubblica, specie in questa materia. Altrettanto necessario è agire sull’orientamento professionale, oggi malamente gestito, salvo in qualche fortunata enclave del Paese, e rilanciare l’apprendistato. Quanto all’azione sul mercato del lavoro occorre apprestare un sistema di ammortizzatori sociali appropriato rispetto alle realtà differenziate del lavoro e soprattutto rispetto ai lavori flessibili. La via più coraggiosa potrebbe essere quella di:
a) utilizzare parte del Tfr come ammortizzatore sociale nei momenti di disoccupazione;
b) abbassare la contribuzione previdenziale sia per le aziende che assumono, al fine di incentivare l’inserimento dei giovani, sia per i giovani neoassunti perché possano disporre di un netto in busta paga più cospicuo ai fini indicati nel testo del capitolo di riferimento;
c) ipotizzare la riproduzione di uno strumento del tipo del “reddito di cittadinanza” varato in Friuli Venezia Giulia, inteso come ammortizzatore sociale appropriato.
Per le fasi di disoccupazione dovrebbero essere attivati opportuni cicli di formazione o riconversione professionale, idonei a favorire il rientro nel mondo del lavoro.
 
Il nodo della concorrenza
L’obiettivo dovrebbe essere quello di rendere più concorrenziali i mercati delle banche, delle imprese, dei servizi, delle professioni. Cominciando da queste ultime, andrebbero aboliti alcuni ordini professionali e profondamente riformati quelli che si ritiene di mantenere. In tale quadro si dovrebbero abolire le tariffe minime, ridurre ampliamente le barriere all’ingresso, prevedere forme di pubblicità ed eliminare il più possibile le chiusure corporative.
Quanto agli altri settori, sarebbe più che mai necessario rafforzare i poteri ed adeguare seriamente le sanzioni a disposizione dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato e di alcune altre autorità, in qualche modo competenti. Si auspica poi che il nuovo strumento della legge annuale sulla concorrenza non si riveli solo una sorta di adempimento rituale.
 
Il nodo del “mal di merito”
Recentemente, grazie all’azione dei ministri competenti per materia, sono stati introdotti alcuni primi segni di meritocrazia nell’Università e nella Pubblica amministrazione, ma la strada da fare è ancora molto lunga, perché il “mal di merito” è talmente radicato nella società da esigere terapie massicce.
Occorrerebbe, in primo luogo, in una seria democrazia ridurre i privilegi della nascita, per incidere sul nepotismo, che è una delle fonti principali del “mal di merito”.
Occorre incidere su tutte quelle aree in cui il vero criterio di selezione, al posto del merito, è la lottizzazione.
Questo significa restituire al privato molte aziende pubbliche, ridurre al massimo il numero dei consiglieri di amministrazione di queste, e affidare a società certificate di cacciatori di teste la formulazione di terne per le nomine nelle imprese pubbliche e nei vertici delle aziende sanitarie locali.
Si tratta di un protocollo terapeutico aperto a tutti i contributi di idee e di proposte, che speriamo possa favorire un confronto e una seria discussione pubblica.
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