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Rimedi all’energy divide

Il 2012 è stato dichiarato dal direttore generale delle Nazioni Unite “l’anno internazionale dell’energia sostenibile per tutti”.
Già da alcuni anni molti attori della scena internazionale come il World energy council, la Banca mondiale, varie agenzie delle Nazioni Unite, la commissione per lo Sviluppo sociale del Consiglio economico e sociale (Ecosoc), si stanno interrogando sulle implicazioni tra povertà energetica e sviluppo. Anche in Italia si è assistito a un rinnovato interesse sul tema dell’accesso all’energia, a partire dall’iniziativa della Fondazione Energylab del 2009, per arrivare al Festival dell’Energia di questo 2011 e al ruolo che un evento come l’Expo 2015 potrebbe giocare su due temi sfidanti e interconnessi come alimentazione ed energia. Perché questo interesse crescente?
 
Il problema energetico mondiale è complesso e presenta situazioni differenti nei vari contesti economici nei quali lo si analizza. Esso appare sempre più connesso a una rivisitazione del tema dello sviluppo che abbia l’uomo come centro della vita economica e sociale. Lo sviluppo integrale deve andare di pari passo con un’attenta rivisitazione delle tematiche ambientali come una nuova ecologia umana, che sappia riproporre un sano rapporto tra gli individui, assicuri il rispetto della vita, propria e altrui, e permetta il recupero di un sistema di valori morali in grado di portare nel tempo a un equo accesso alle risorse.
La disponibilità di energia per l’individuo, come risorsa essenziale per l’accesso a servizi di vario genere, diviene una precondizione necessaria per la promozione umana e sociale, da gestire nel rispetto dell’ecosistema del pianeta. Senza energia diviene, infatti, più complesso depurare e sanificare le acque, conservare i farmaci e far funzionare gli ospedali, migliorare la produzione agricola e supportare la filiera agroalimentare, incrementare le opportunità di scolarizzazione e di educazione, accedere al mondo dell’informazione e della comunicazione.
 
La mancanza di accesso per vastissime fasce della popolazione mondiale è causa del development divide che impedisce di rompere il ciclo della povertà e di perseguire efficacemente gli obiettivi del millennio. I numeri lo confermano: 1,6 miliardi di persone non hanno accesso all’energia elettrica, un altro miliardo di persone ha accesso a reti elettriche non affidabili e tre miliardi di persone si affidano alle biomasse tradizionali per la cottura dei cibi e l’illuminazione.
La maggior parte della popolazione mondiale che non ha accesso alle energie commerciali moderne (gas, energia elettrica e nuove rinnovabili) vive nei Paesi a basso reddito (99%), e la maggioranza (80%) vive nelle zone rurali.
Inoltre, l’uso massiccio di biomassa, che caratterizza questi Paesi, presenta alcune criticità in materia di sostenibilità.
 
Per l’aspetto ambientale, infatti, i bassi rendimenti e l’elevato inquinamento delle tecnologie locali producono emissioni nocive; a questo si aggiunge il fatto che il processo di raccolta del legno avviene in modo incontrollato, contribuendo grandemente al processo di deforestazione e all’impoverimento dei terreni agricoli.
Per quanto riguarda l’aspetto sociale, nelle zone rurali sono spesso i bambini e le donne ad avere il compito di provvedere su base giornaliera all’approvvigionamento energetico, così come di cibo e di acqua, della famiglia. Le conseguenze di questo fenomeno vincolano inevitabilmente le prospettive di sviluppo del Paese, andando a limitare le potenzialità delle risorse umane più importanti per il futuro.
Inoltre il problema dell’accesso all’energia non è solo un problema di “accessibilità”, intesa come disponibilità della risorsa, e dunque non può essere declinato in relazione alla sola disponibilità tecnologica, ma coinvolge anche il piano politico, culturale ed economico.
 
In particolare, la scarsa disponibilità finanziaria vincola questi Paesi nelle scelte: le possibilità di investire in grandi infrastrutture sono scarse e le tecnologie energetiche ad alti costi di investimento devono dunque essere analizzate con grande attenzione.
La comunità internazionale è concorde nel dichiarare che nei Paesi del sud del mondo sia necessario promuovere uno spostamento dei consumi energetici dalle energie tradizionali (biomasse) alle energie moderne (favorendo cioè la penetrazione elettrica e l’uso del gas). Ma in quale direzione?
Le considerazioni sono certamente molteplici, ma è bene tenere presente che: puntare solo sulle rinnovabili penalizzerebbe in modo significativo la sicurezza dell’approvvigionamento, consentendo un maggior accesso all’energia alla popolazione, ma imponendo vincoli allo sviluppo del settore industriale; puntare esclusivamente sulle fonti fossili penalizzerebbe ancora la sicurezza e certamente l’economicità del sistema, anche se non si potrà prescindere dal loro uso per lo sviluppo industriale.
 
Come per il nord del mondo, anche se per motivi differenti, è dunque difficile pensare che un’unica soluzione (fonte, tecnologia o processo) possa da sola risolvere il problema dell’energia. La strada di ricerca passa, con ogni probabilità, per un insieme di soluzioni appropriate ai contesti specifici che possa includere un mix di fonti energetiche e di tecnologie, e che siano supportate da politiche adeguate. Ad esempio, i sistemi integrati che accoppiano tecnologie tradizionali, fonti rinnovabili e smart grid, si possono presentare oggi come una strada da perseguire per garantire nei contesti dei Paesi a economia critica, con particolare riguardo alle zone rurali, uno sviluppo energetico in grado di rispondere alle esigenze e ai bisogni della persona e della società.
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