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A ciascuno il suo

Mentre l’economia mondiale ha ripreso a marciare, l’Italia procede ancora con il freno a mano tirato allontanandosi dagli standard di competitività dei Paesi avanzati. Tirando le somme, a dieci anni dalla Legge obiettivo, è evidente che poche delle opere programmate sono giunte a completamento. La realizzazione di strade e ferrovie è in ritardo e costa troppo, tra contenziosi e continui stop-and-go, e il sistema logistico è insufficiente per dare all’Italia quel ruolo centrale di piattaforma sul Mediterraneo che riterrei naturale, data la nostra fortunata collocazione geografica. Trainati dalla crescita dei Paesi emergenti, i flussi di traffico nord-sud ed est-ovest raggiungono l’Europa ma solo in minima parte sono intercettati dai nostri porti. Le merci sbarcate in Italia vengono poi trasportate su strada, con maggiori costi e impatti ambientali rispetto alla ferrovia, che è il sistema prevalente in altri Paesi a noi vicini.
 
Il livello degli investimenti in infrastrutture è in continua decrescita e comunque insufficiente a coprire il fabbisogno. La causa principale di questa situazione, denunciata da più parti, viene ricondotta ai vincoli di finanza pubblica. Si corre così il rischio di rimanere avviluppati in un circolo vizioso: se dall’eccessivo debito conseguono investimenti pari a zero, avremo un’economia cronicamente depressa e come effetto finale ancor più debito. Bisogna allora restituire al capitale privato la fiducia per investire massicciamente in infrastrutture che sono le gambe su cui corre l’economia.
Qualche tempo fa avevo stimato in circa 250 miliardi di euro l’ordine di grandezza delle risorse da reperire, in un arco di cinque anni, per rilanciare lo sviluppo delle nostre infrastrutture. Ampliando l’orizzonte, se pensiamo alla realizzazione dei grandi Corridoi europei di trasporto di cui siamo parte integrante, il calcolo del fabbisogno cresce, per raggiungere cifre da capogiro se facciamo un ulteriore salto, considerando gli investimenti necessari, in un’ottica globale, a sostenere la corsa dei Paesi emergenti.
 
Cifre simili superano di gran lunga le possibilità dei singoli Stati, anche quelli più virtuosi: pertanto, il coinvolgimento del settore privato nel finanziamento dei progetti di pubblico interesse è diventato un percorso quasi “obbligato” per colmare il gap infrastrutturale di qualunque Paese, a maggior ragione quello che fa soffrire l’Italia.
E poiché questa è una sfida che ho raccolto e mi appassiona, vorrei evidenziare gli aspetti positivi che intravedo, convinto che possiamo farcela, mettendo a sistema le migliori energie politiche, imprenditoriali e finanziarie del Paese.
Innanzitutto, registro una crescente sensibilità rispetto a queste tematiche da parte delle istituzioni, che hanno intensificato il dialogo con tutti gli operatori del settore, per individuare insieme azioni concrete da avviare con urgenza. Mi sembra peraltro che sia stato metabolizzato il principio di fondo, ovvero la necessità di favorire quanto più possibile la diffusione del Partenariato pubblico privato. Sostanzialmente, il privato richiede solo certezze. Certezze nelle regole e nei tempi, perché sono queste le condizioni che in estrema sintesi determinano la legittima remunerazione del suo investimento.
 
In secondo luogo, va smascherato l’alibi secondo cui le infrastrutture non si fanno per mancanza di risorse, come dimostra la disponibilità che il settore bancario italiano ha assicurato anche durante le fasi più acute della crisi. Penso anche ai grandi investitori istituzionali, fondi pensione e fondi sovrani, le cui risorse potrebbero essere utilmente impiegate in investimenti “virtuosi” quali le infrastrutture; il fatto che le infrastrutture siano un asset non delocalizzabile si traduce in un’opportunità per i Paesi che riescono a creare il contesto idoneo a catturare questo flusso di risorse.
 
La terza leva di cui disponiamo, senza gravare sul bilancio pubblico, è quella delle “riforme a costo zero” necessarie per rimuovere le lungaggini e le incertezze che disincentivano l’investitore privato. Come ho sottolineato in altre occasioni, occorre focalizzare le energie su un numero ristretto – e realisticamente finanziabile – di opere assolutamente prioritarie per lo sviluppo del Paese, da avviare subito e da realizzare “per legge”, con un preciso cronoprogramma e l’esatta quantificazione del contributo privato richiesto; individuare poi un responsabile unico per ciascuna opera (l’ufficio dirigenziale del Ministero di riferimento); ridisegnare in modo più preciso ed efficace i compiti dei commissari straordinari delegati; semplificare le procedure di approvazione del progetto definitivo; istituire un fondo per il rilascio delle garanzie alle imprese che realizzano le opere; ridurre i tempi per la formalizzazione delle delibere, la pubblicazione ed il controllo. Un segnale positivo in tal senso è giunto dall’inclusione nel Decreto sviluppo, appena convertito in legge, di altri due importanti provvedimenti a costo zero, quali l’anticipazione della Conferenza dei servizi alla fase del progetto preliminare e l’imposizione di un tetto del 2% alle opere compensative.
 
Veniamo quindi al ruolo che può giocare una banca come quella di cui sono alla guida. Biis è l’unica interamente dedicata alle infrastrutture e al settore pubblico “allargato”: abbiamo scelto come simbolo un ponte, proprio perché collega le due sponde dell’interesse pubblico e privato. La nostra mission è fornire consulenza specialistica con questo obiettivo, oltre, naturalmente, a finanziare i progetti. In alcuni casi partecipiamo all’equity: l’obiettivo non è diventare “proprietari” delle infrastrutture ma, coordinandoci con le istituzioni centrali e sul territorio, facilitare l’intervento di altri investitori. I progetti infrastrutturali nei quali Biis è coinvolta ammontano oggi ad un valore complessivo di oltre 34 miliardi di euro, 26 in Italia e 8 all’estero. Alcune tra le principali opere strategiche nel settore autostradale, in cui Biis ha un ruolo guida, stanno cominciando a marciare. Mi riferisco a Brebemi, Tem, Pedemontana lombarda, Serenissima, ma sono molti i “sogni” che vorremmo contribuire a realizzare: penso al Terzo valico dei Giovi, all’Alta velocità nel nord est, ai porti liguri e quelli dell’alto Adriatico… Noi ci siamo e come sempre siamo pronti a fare la nostra parte, insieme ai partner finanziari, alle imprese costruttrici, alle pubbliche amministrazioni.
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