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La città dei sogni

L’Italia schiacciata dal debito e dagli impietosi declassamenti, sembra avere un sussulto. Non l’Italia della casta o della cresta… quella delle città, del territorio. Non a caso l’Anci sembra diventare l’asse di equilibrio strategico fra pubblico e privato, economia e territorio. In ballo ci sono poco meno di cento miliardi di euro da qui al 2020. Per essere smart, secondo la Ue, le città devono diventare “efficienti e sostenibili dal punto di vista dell’energia, dei trasporti, dell’informazione, delle tecnologie di comunicazione, dello sviluppo economico e delle politiche sociali”. Viene da chiedersi perché non ci abbiamo pensato prima, come hanno fatto in Olanda, Danimarca e Belgio.
 
Ci vuole testa e resistenza per ripensare tempi e modi nel trasferimento delle persone (e delle merci) nella maniera più veloce, sicura, confortevole, economica e meno inquinante possibile. Ci spostiamo con troppa lentezza e a costi, in tutti i sensi, esageratamente alti. Bisogna valutare le contromisure attraverso la visione d’insieme e in prospettiva. Alla Pubblica amministrazione locale spetta un coordinamento tecnico che parta dall’indagine sugli stili di vita legati alla mobilità: capire i flussi per dare poi al progetto di mobilità una risposta di efficienza, economicità. Magari, anche, di originalità. A cominciare dagli orari di apertura dei negozi e degli uffici. Ma perché tutti insieme, alla stessa ora, accalcati davanti agli stessi semafori? Quindi una politica chiara sulle tariffe e sistemi di pagamento. E ancora: spingere su telelavoro, telemedicina, e-government e servizi on-line per scoraggiare gli spostamenti di automobili che vanno e che vengono da una parte all’altra. Digitalizzare le città, più smart appunto. Una politica di mobilità sostenibile, nella prima ora, avrebbe consentito di risparmiare ingenti risorse finanziarie pubbliche solo con un accorgimento: inserire la pianificazione dei trasporti, a pieno titolo, in quella urbanistica.
 
Non è andata così. Adesso le città-croce però, possono diventare delizia e avere un ruolo chiave nella exit strategy dalla crisi: più delle banche, più della politica. Ora la strada è obbligata, oltre che lastricata di linee-guida. Come trasformare le buone intenzioni in un piano di interventi? Si comincia con la radiografia delle emissioni di base per misurare l’impatto ambientale della città. Si chiama Bei e quantifica la globalità delle emissioni collegate al consumo di energia nel territorio dell’Ente locale. Quindi, e di conseguenza, si elabora il Piano di azione per l’energia sostenibile (Seap) che serve a individuare i sistemi più efficaci per puntare alla riduzione del CO2 agendo ciascuno nel proprio ambito. Piccoli interventi, che nell’insieme contribuiscono al raggiungimento di risultati decisivi.
 
Poi c’è il recupero e la messa a regime del patrimonio edilizio riconcepito con fabbisogno energetico, e quindi emissioni, molto ridotte o pari a zero grazie a materiali e tecnologie che consentono altissimi livelli di efficienza. Quindi si lavora sul fabbisogno energetico: dalla produzione (biomasse, solare termico, cogenerazione, eolica e fotovoltaica) al teleriscaldamento, sulle smart grid, al controllo e razionalizzazione dell’illuminazione pubblica. Si amalgama il tutto con suggerimenti spinti sugli stili di vita: spiegare alla gente che si può consumare, muoversi, lavorare meglio. Oltre che partecipare di più alla gestione della cosa pubblica grazie alla banda larga e ai sistemi wifi alla portata di tutti: si chiama crowdsourcing ed è made in web 2.0 – già che ci siamo – 3.0. Comunità virtuali di cittadini in grado di influenzare le decisioni del palazzo. Ed ecco la smart city dei sogni europei.
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