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Il valore della reciprocità tra Islam e Occidente

La tragedia che nelle scorse settimane ha colpito la diplomazia americana con la morte di Christopher Stevens, ambasciatore statunitense di stanza a Bengasi, è solo l’ultimo capitolo di una degenerazione che affonda le radici in una serie di contraddizioni mai risolte.
Deceduto per asfissia a seguito di un incendio appiccato alla propria sede da un organizzato manipolo di manifestanti, Stevens era considerato un amico leale della Libia e dei popoli della regione, ma ciò non è bastato a salvarlo dalla furia che è poi rapidamente dilagata in molti paesi del Medio Oriente ponendo fine, almeno per ora, allo slancio democratico e innovatore della “primavera araba”.
 
Per l’occasione, l’ira delle masse è stata scatenata dalla diffusione di immagini tratte da un film anti-islamico, “L’innocenza dei musulmani”, ma la violenta crisi politica, sociale e religiosa che vede contrapposti Occidente e Islam ha origini non recenti, che possono essere ben ripercorse senza ricorrere al pur utile ausilio dei libri di Storia.
 
In principio fu il contrasto tra diverse idee di società: al principio volterriano di relativismo etico e tolleranza assoluta, l’Islam – anche il più dialogante – pone come contraltare la gravità del reato non negoziabile di blasfemia; da tempo una risoluzione che tramite l’Onu impegni quasi tutti i Paesi del globo a inserire nei propri codici tale reato, rientra nei sogni neppure tanto segreti del mondo islamico.
Un richiamo, quello al rispetto dei simboli di culto, al quale il mondo cattolico non è sordo. Bene ha fatto Papa Ratzinger in queste ore così concitate, a definire irresponsabile la diffusione del film incriminato e a sconsigliare senza fortuna l’annunciata e poi avvenuta pubblicazione di nuove vignette satiriche rappresentanti il profeta Maometto ad opera del settimanale francese Charlie Hebdo.
 
Un atteggiamento, quello del Pontefice, tutt’altro che censorio, che se non è servito a buttare sufficiente acqua sul fuoco quantomeno è stato apprezzato trasversalmente in tutti i Paesi islamici ed è stato lodato da uno dei principali partiti panarabi, i moderati Fratelli Musulmani, principale interlocutore democratico per chi voglia affacciarsi sul complesso universo islamico.
Perché, dunque, la politica di integrazione e pacifica convivenza tra Occidente e Islam in Medio Oriente continua a non produrre risultati significativi?
 
Troppo spesso negli ultimi anni e con frequenza sempre maggiore da quando il mondo ha teso ad identificarsi giorno dopo giorno con il cosiddetto “villaggio globale”, alle rivolte causate da deficit di libertà e a quelle mosse da episodi considerati lesivi della dignità religiosa, si sono susseguiti episodi di violenza nei confronti di fedeli cristiano-cattolici. Eventi in contrasto tra loro? Solo apparentemente. Tutto nasce da un “corto circuito”, che se da un lato vede cattolicesimo e islamismo marciare di pari passo verso la richiesta di maggiore riparo da episodi che ne minano la dignità, dall’altro le vede scontrarsi, come evidente, rispetto al principio del ricorso alla violenza per esercitare tale diritto.
 
Al di là di una scontata difformità valoriale, che vede contrapposti il trionfo ideologico di una società liberale e laica a modelli economici e politici fondati quasi sempre sulla legge coranica – senza contare una base di popolazione estremamente differente per scolarità e tenore di vita – emerge in tutta la sua limpidezza un aspetto innegabile: la totale assenza, nelle politiche estere e nelle agende diplomatiche dei paesi occidentali, di un progetto teso a favorire politiche di reciprocità.
 
Se la libertà di espressione è ancora una chimera per molti paesi islamici, al contrario il valore della professione della fede è un elemento vivo, comprensibile non solo dalla società, ma anche dalle elite di governo; da questo punto di contatto bisognerebbe partire per far crescere rapporti politici che vedano riconosciuto una volta per tutte il principio della “reciproca libertà di culto”, tanto nei paesi islamici quanto altrove. Chi ambisce a governare i paesi islamici deve avere da oggi il coraggio di porre un freno una volta per tutte a sequestri coatti di testi sacri, all’impossibilità di edificare luoghi di culto, a violenze tollerate in nome della difesa da un non meglio identificato proselitismo.
 
Il rovescio della medaglia è un isolazionismo al quale neppure il più conservatore stato islamico potrebbe soggiacere in tempi di economia globalizzata come quella che viviamo. Tale orientamento produrrebbe risultati positivi anche nei paesi occidentali, dove la scarsa comprensione di questi concetti provoca una mancata accettazione dei modelli ai quali i numerosi immigrati provenienti dal mondo arabo vengono sottoposti, che spesso sfocia in episodi di ghettizzazione, o ancor peggio di terrorismo.
 
Troppo spesso le masse che assaltano le ambasciate occidentali conoscono solo la versione che il proprio Imam fornisce loro.
È nella natura umana – anche se lungi dall’essere tollerabile – provare risentimento a fronte di anni di propaganda subita passivamente; lo è meno, oltre che improbabile, essere intolleranti quando si conosce l’Altro e se ne è verificata precedentemente la natura.
Questa è la vera scommessa diplomatica che i governi occidentali dovranno vincere nei prossimi mesi, se vorranno assicurare la necessaria stabilità alla regione, con tutto ciò che ne consegue.
Occidente e Islam, contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, non sono mondi inconciliabili: tanti sono i punti di contatto che possono essere scoperti, ma che necessitano di un grande patto tra Governi e ancor prima tra culti, che possa traghettare il mondo ad una nuova stagione che metta al bando per sempre lo spettro e l’orrore delle guerre di religione.
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