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E’giunta l’ora dell’unione Casini-Montezemolo

Ormai le primarie sono un fatto politico, una notizia archiviata. Quello che abbiamo adesso è qualcosa di molto semplice, cioè di molto verace.

La situazione nel centrosinistra è chiara, limpida. Pierluigi Bersani è diventato indiscusso leader di coalizione, e la sua vittoria è derivata non tanto dalla confluenza dei grandi elettori di Tabacci e Puppato, ma di Vendola. Ciò pone all’istante la questione in termini differenti rispetto al 2006, quando Romano Prodi si apprestava a governare con l’Unione la medesima compagine. Bersani, insomma, non è Prodi; e l’attuale centrosinistra non è quello di allora. Oltretutto Vendola è notoriamente un politico raffinato e popolare, in grado di dare connotazione politica alla sua granitica forza radicale, non un veterocomunista alla ricerca di un’inutile riscossa.

Bersani è felicissimo, da questo punto di vista, non soltanto per la vittoria delle primarie, ma per il modo in cui si è configurato il sistema con lui e per lui. Ha il suo partito unito a sé e ha un’alleanza con il miglior socio che potesse sperare. La sconfitta bella di Renzi allontana l’incombenza di una leadership democristiana, espressione di altri tempi storici, non allontanando gli elettori riformisti che possono sperare nel suo futuro.

Bersani, uomo di sinistra, si candida a presidente del Consiglio con una maggioranza di sinistra e un’opposizione interna di destra, benevola perché sconfitta, che sottrae voti al Pdl.

Fin qui, tutto bene. In realtà quello che si apre, fuori da quest’omogenea rimpatriata, è la grande partita al centro. Uno spazio enorme si è aperto, infatti, tra i democratici, soprattutto se Berlusconi scenderà nuovamente in campo, raccogliendo attorno a sé i conservatori irriducibili. In ogni caso, anche se non lo farà, il Pdl non è tenuto a coprire il centro, vista la situazione, giacché la sclerosi leghista lascia libero spazio a una base sociale identitaria, che del centro non ne vuol proprio sapere.

Il punto politico non sono, dunque, le primarie del centrodestra e neanche il destino del Pdl, con o senza una nuova Forza Italia, ma se Montezemolo e Casini faranno una lista per l’Italia, se funzionerà elettoralmente e se intenderà agganciarsi o no a Bersani.

Si tratta di una scelta indecidibile oggi. Bisognerà vedere il risultato delle elezioni e stabilire prima i caratteri politici di quest’area di mezzo, senza scegliere prima ciò che non è necessario. Mi spiego. Certamente Monti ha aperto nuovamente, non per ragioni geometriche ma politiche, il valore di una linea centrista, indipendente dalla sinistra e dalla destra. Perciò a livello elettorale, a prescindere dalle alleanze funzionali che probabilmente dovranno essere fatte, è più importante di tutto tradurre in offerta politica comprensibile e opzionabile per gli elettori la pratica del governo inaugurata da Monti: una sorta di stile comportamentale e di sobrietà contenutistica. Lo sforzo di Casini e Montezemolo dovrebbe essere quello di raccogliere dall’alto questo testimone, rafforzandolo dal basso con un certo consenso popolare, ripetendo che la peculiarità del centro è la governabilità, non gli slogan e la pervicace demonizzazione del nemico. In soldoni questo vuol dire: votate qui se volete essere bene governati, lasciando perdere gli altri.

Un’operazione politica di questo genere è possibile, è concretamente attuabile, ma a una condizione: la sua riuscita riposa nella qualità dei candidati, ossia nella capacità che la lista o le liste siano veramente espressione del meglio che la società civile può offrire, evitando ricicli e figuri impresentabili. Ci vuole coraggio a lasciare a casa il vecchio puntando sul nuovo. Non farlo, però, è una follia. Non basta, infatti, avere notorietà per essere lungimirante. Ci vogliono qualità specifiche che garantiscano capacità di governo. Che cos’altro può essere altrimenti la continuamente evocata continuità con l’Agenda Monti che si vuol garantire? Come dargli credito diversamente?

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