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F-35, ecco perché non si può fare marcia indietro

La bagarre politica sui caccia F-35 rischia di essere non solo l’ennesima dimostrazione di inaffidabilità del nostro Paese, ma di diventare il classico pasticcio “all’italiana” che vanificherebbe oltre 3,5 miliardi di euro di investimenti già sostenuti. Ad avvertire dei possibili rischi che comporterebbe una rinuncia al programma d’arma di Lockheed Martin partecipato da Finmeccanica è il ministro della Difesa Mario Mauro (nella foto).

L’AVVERTIMENTO DI MAURO
Si dice che se ci ritiriamo dal programma degli F35 non avremo penali”, ha spiegato nel corso della sua audizione al Senato davanti alle commissioni congiunte di Difesa, Esteri e Politiche europee in vista del consiglio europeo della difesa di dicembre 2013. “Ma – ha continuato il titolare del dicastero – abbiamo già speso 3 miliardi e mezzo di euro per la portaerei Cavour che dovrebbe ospitare gli F-35 a decollo verticale. Allora non capiremmo per quale ragione abbiamo speso quei soldi”.

RAZIONALIZZARE LA SPESA
Dopo aver sottolineato l’importanza di non cedere all’irragionevolezza, Mauro ha però ricordato come sia necessario quanto prima razionalizzare la spesa militare europea secondo i più moderni criteri di efficienza rinnovando strutture militari, già indebolite dai tagli al budget dei governi nazionali.
Un’esigenza della quale pare essersi convinta anche la Commissione europea, che ha reso noto un piano d’azione apposito, che sarà sottoposto all’attenzione del Consiglio europeo sulla Difesa previsto per il prossimo dicembre. Una mossa che, pur mirata genericamente a sostenere il settore, potrebbe rappresentare un assist alla ripresa dei colloqui tra i big della difesa Ue per possibili aggregazioni, dopo il fallito matrimonio tra Bae System ed Eads. Processo al quale questa volta vorrebbe prendere parte anche l’italiana Finmeccanica.

UNIRE GLI SFORZI
Il ministro Mauro ha inoltre ricordato come in Europa le portaerei in servizio sono rimaste due, la nostra Cavour e la francese Charles de Gaulle. La spesa per la difesa in Europa “non è né unica”, né “coordinata” fra i 27 Stati membri” e questo crea “una pluralità di eserciti nazionali più piccoli e meno capaci”, ha affermato.
Ciascuno va sostanzialmente per la sua strada – ha sottolineato il ministro – sia in termini di sviluppi futuri, sia anche di tagli che vengono apportati alle proprie forze armate”.
La spesa per la difesa in Europa – ha aggiunto Mauro – è in leggero declino, da alcuni anni a questa parte, rimane certamente significativa a livello globale, ma solo a condizione di poterla immaginare come una realtà unica“. Per il responsabile della Difesa in futuro “la Nato (per la cui segreteria generale è in pole position l’italiano Franco Frattini) dovrà rimanere un vitale pilastro della sicurezza collettiva” ma è altresì indispensabile che l’Europa – come più volte invocato dagli Usa che stanno spostando il loro baricentro geopolitico in Asia – sappia assumere “più ampie responsabilità in materia di sicurezza internazionale” e non svolgere solo un ruolo di “crocerossina” giungendo solo “a sostegno di operazioni, contribuendo sul piano umanitario o economico”.

LUCI E OMBRE DI UNA DIFESA EUROPEA
La prospettiva di una Difesa unica europea non convince però tutti. Da un lato vi è la linea dell’Unione europea, sintetizzata in un intervento sul Sole 24 ore del vicepresidente della Commissione europea, responsabile per l’Industria e l’imprenditoria, Antonio Tajani, e del commissario europeo per il Mercato interno e i servizi, Michel Barnier, che come Mauro ritengono che “l’industria europea della difesa” sia “troppo frammentata, con le aziende che spesso sviluppano prodotti simili mentre sono in ritardo in tecnologie-chiave“. E per questo bisognerebbe “favorire la collaborazione tra aziende del comparto, spingendo anche la standardizzazione ed evitando la duplicazione di programmi e prototipi”, come nel caso del sistema satellitare Galileo. C’è chi invece, come lo storico ed economista Giulio Sapelli, considera un indebolimento delle industrie della Difesa di ciascun Paese europeo come l’ennesimo regalo di Bruxelles alle imprese tedesche – tra le leader europee nel panorama bellico – le uniche che si avvantaggerebbero di uno spostamento delle partnership di Paesi come l’Italia, oggi maggiormente improntate a una collaborazione strategica col mondo anglosassone (AgustaWestland e Alenia e Boeing, per citare qualche esempio).

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