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F-35, perché i tagli italiani contrastano con i numeri internazionali

Il dossier F-35 continua a tenere banco nella politica italiana. Seppure non citato, le parole pronunciate oggi dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sono vieppiù significative viste le intenzioni dell’esecutivo Renzi: “Soddisfare le esigenze di rigore e di crescente produttività nella spesa per la difesa senza indulgere a decisioni sommarie che possono riflettere incomprensioni di fondo e persino anacronistiche diffidenze verso lo strumento militare, vecchie e nuove pulsioni antimilitariste”, ha detto Napolitano nel corso della celebrazione del 69° anniversario del 25 aprile.

Ma mentre il governo italiano medita di ridurre ulteriormente il proprio impegno nel programma Joint Strike Fighter per coprire le misure economiche, nel resto del mondo gli ordini aumentano.

È il caso dell’Australia, che ha deciso di acquistare altri 58 caccia di Lockheed Martin, portando a 72 il numero totale dei velivoli in dotazione della propria forza aerea. O del Regno Unito, che proprio in virtù della sua partecipazione come partner di primo livello ospiterà questa estate il debutto internazionale del velivolo. Altri Paesi, anche europei, come la Norvegia, sono in procinto di indicare la propria adesione (e altri nel Vecchio continente, e al di fuori, lo hanno già fatto).

Agli antipodi invece il clima nella Penisola che già nel prossimo Libro Bianco della Difesa del ministro Roberta Pinotti potrebbe decidere di tagliare del 50% – da 90 a 45 – il numero dei caccia opzionati dall’Italia, mettendo così a repentaglio anche i riverberi che il programma potrebbe avere nel Paese – sintetizzati in un report di PricewaterhouseCoopers.

Anche l’Italia partecipa infatti al programma Jsf con lo stabilimento di Cameri, e il contributo di molte aziende, tra le quali Finmeccanica; ma alcune fonti (come l’ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare Leonardo Tricarico) indicano che le ricadute positive potrebbero non essere più così elevate a fronte di un’ulteriore diminuzione dei velivoli acquistati, vista di cattivo occhio anche dalla Casa Bianca, che chiede agli alleati Nato di non ridimensionare ulteriormente i propri apparati di difesa (gli Usa devolvono il 4,35% del Pil in Difesa, mentre la media negli Stati europei si attesta intorno all’1,7%.

Ancora peggiori i numeri italiani, con un taglio alla spesa militare del 26% rispetto al 2004, secondo un recentissimo rapporto Sipri. Numeri preoccupanti secondo gli esperti, che avvertono: in gioco non c’è solo il bilancio, ma anche la capacità di difesa del Paese.

Ecco alcuni degli approfondimenti recenti dedicati da Formiche.net al dossier F-35:

F-35, l’Australia aumenta gli ordini del caccia di Lockheed Martin di Michele Pierri

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