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La non notizia della vittoria di Assad

Assad ha vinto le elezioni in Siria. Non varrebbe nemmeno la pena di prenderci lo spazio di un pezzo – tanto era scontato.

Almeno per tre ragioni. 1) Si è votato solo nelle aree controllate dal regime (che rappresentano il 40% del territorio nazionale, concentrando il 60% degli abitanti), è dunque del tutto legittimo pensare che in questi territori Assad sia benvoluto. 2) Gli altri due nomi sulle schede, Maher Hajjar e Hasan Nuri, erano contendenti solo sulla carta, in quanto entrambi avevano avuto rapporti con il governo. 3) Tra i sorrisi di quelli che stavano ai seggi, ce n’erano diversi forzati, come quelli per esempio delle persone portate a votare con la forza (un giornalista di Sana s’è fatto sfuggire un fuori onda, mentre intimava alle persone riprese davanti alle urne di dire che “è tutto molto bello”); in diversi si sarebbero presentati con sul cellulare le foto di documenti d’identità, spedite tramite Whatsapp, da chi non poteva recarsi ai seggi, in apparente violazione di qualsiasi norma anche di buon senso; altra gente, poi, va detto, resta ancora convinta che il regime sia davvero la cosa migliore per la Siria (vedere per credere il selfie elettorale della foto), anche in contrapposizione delle violente realtà che si stanno facendo largo tra i gruppi delle opposizioni armate.

Tuttavia, dal clima generale in cui si è votato, emergono un paio di cose che vanno sottolineate. La prima, racconta di come sono state condotte le elezioni, e la dice lunga sulla credibilità della consultazione e sulle condizioni del paese. La commissione indipendente di supervisione internazionale, era formata da deputati russi, iraniani, ugandesi, filippini, libanesi, boliviani, venezuelani e dello Zimbabwe. (Evidentemente il senso della parola “indipendente” per Assad è diverso dal comune). E ovviamente, i supervisori hanno tutti espresso giudizio positivo sulla consultazione elettorale: «I siriani hanno votato in piena libertà», ha detto il delegato ugandese, mentre l’iraniano ha parlato di «elezioni libere e regolari».

Altro aspetto, invece, riguarda la percentuale di voto: sebbene altissima, è scesa leggermente rispetto al referendum confermativo che si era tenuto nel 2007. Quella volta Assad raggiunse il 97,6%; stavolta si è fermato poco sopra l’88%. Non un segnale incoraggiante, certamente: ma a guardarla tutta, ci sono quasi dieci punti in meno di consenso – che per un regime che ha fatto votare solo i propri fidi, non sono pochi.

Resta comunque, che in Siria sarà ancora lunga: e gli strascichi della guerra ce li porteremo avanti per lungo tempo, tutti quanti.

Il regime, secondo molti osservatori sta inasprendo gli attacchi e incrementando l’uso delle armi chimiche al cloro anche contro i civili, ora rafforzato anche dal consenso politico. Diversi analisti incolpano per questa escalation, anche la disponibilità trovata in una narrazione sballata che una parte di Occidente (debole e complottista, va detto, fuori dalle testate autorevoli e lontano dai luoghi di pensiero seri) sta diffondendo basandosi sulle demenziali idee paranoiche del giornalista Sy Hersh (per capire di più, una bella lettura sulla Los Angeles Review of Books che quelle paranoie le smonta, ponendo l’attenzione sulla possibilità di cui si diceva, e cioè che questa confusione abbia creato il presupposto per la continuazione degli attacchi chimici da parte del regime).

(A tal proposito, un breve inciso per segnalare il particolare “plauso” che va a Repubblica, che ha pubblicato una paio di mesi fa un editoriale in cui Barbara Spinelli riprendeva i deliri di Hersh come Vangelo, ingannando i lettori italiani e arrivando a chiedere lo scioglimento della Nato, perché – in linea Hersh – uno stato membro, la Turchia, aveva ordito una trama per effettuare gli attacchi al sarin dell’agosto scorso a Damasco, veicolati da Istanbul attraverso il gruppo qaedista al-Nusra. Ambulanza, e presto: nota a latere, la Turchia è talmente complice della Jabhat al-Nusra che l’ha inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche: ma questo è un dettaglio per Spinelli &Co, o un gomblotto. Chiuso l’inciso).

Come è ovvio, all’inasprirsi dell’azione dell’esercito e dei gruppi lealisti, va da sé che sta corrispondendo l’attività delle opposizioni, e soprattutto dei gruppi legati al mondo islamista combattente.

La Siria è un bacino colturale per certi gruppi. Negli Stati Uniti c’è grande fermento per l’incremento di queste realtà jihadiste: incremento che secondo diverse analisi, sarebbe strettamente legato proprio al conflitto siriano. Istituti, think thank, accademie, sono impegnate a studiare il fenomeno. Si teme il terrorismo di ritorno (come ci ha ricordato da poco il caso di Nemmouche): si teme che l’esperienza di al-Qaeda nell’Afghanistan degli anni Ottanta, possa ripetersi.

Secondo alcuni dati pubblicati mercoledì dal Wall Street Journal, la guerra civile siriana, avrebbe fatto registrare un aumento del 50% dei gruppi jihadisti. A questo seguirebbe il raddoppiamento dei combattenti.

@danemblog

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