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Gole profonde sull’Isis, via Twitter

C’è qualcuno che sta spifferando informazioni scomode sullo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. Tutto parte dall’account Twitter @wikibaghdady, scritto in arabo.

Sono più di sei mesi che i segreti del gruppo vengono esposti in rete: un migliaio di tweet che mano a mano ne hanno costruito un quadro completo (sicuramente inclinato dal lato anti-Isis) e molto prezioso: a cominciare dal ritratto, e dal nome, del capo – il misterioso Abū Bakr al-Baghdādī.

Chi c’è dietro al profilo è ignoto: probabilmente un disertore, probabilmente si trova in Siria. Oppure, come suggeriscono alcuni analisti, potrebbe essere gestito da uomini della Jabhat al-Nusra, il gruppo affiliazione ufficiale di al-Qaeda in Siria: rivali giurati dell’Isis, contro cui stanno portando avanti da mesi una stremante battaglia nell’area di Deir Ezzor. Molto possibile, ancora, che l’account sia una sorta di avatar da lavoro, dietro cui si nasconde un ampio gruppo di persone, chiunque esse siano, che cumulano e condividono informazioni.

Certo, è chiaro che l’affidabilità dell’account va presa con le pinze: in più il gruppo non è sicuramente troppo chiuso, ma anzi è uso risparmiarsi sui social network nel diffondere informazioni, anche dettagliate, in merito alle proprie attività. In questi giorni, per esempio, è stato messo in rete un documento, “al-Naba“, in cui lo Stato Islamico spiega il proprio business model con l’accuratezza di un report aziendale. Ma qui si parla di segreti, seccanti.

Molto di quello preannunciato da @wikibaghdady – nome molto suggestivo – si è rivelato vero a distanza di qualche tempo. Prendere da esempio l’annunciata “strana” alleanza in Iraq, tra l’Isis e gli ex-baathisti di Saddam, rivelata già da un po’ e raccontata in questi giorni attraverso un (possibile) incontro sul campo tra Baghdadi e la figura mitica dei sunniti iracheni Izzat Ibrahim al-Douri. Sembra difficile che l’alleanza possa reggere nel lungo periodo, visto le distanze ideologiche. Anzi, va detto che parlare di “alleanza” forse è stato un passo forte di @wikibaghdady, come ha ricordato Brian Fishman della New America Foundation al Daily Beast. Si potrebbe piuttosto parlare di patto militare: resta comunque che momentaneamente se ne possono trovare diverse evidenze sul campo di battaglia (come ha ricostruito il New York Times). Circostanza che dà conferma a quanto diffuso dall’account leaker.

Sempre dallo stesso profilo Twitter, sono arrivati i dettagli sul ruolo dell’ex colonello di Saddam, Haji Bakr, considerato colui che ha disegnato la strada verso l’ascesa di Baghdadi al comando dello Stato Islamico.

Una delle ragioni, probabili, per cui l’account è stato aperto (era il 10 dicembre del 2013, quando partì il primo tweet), è di denunciare le modalità utilizzate dall’Isis e le sue incoerenze interne. Nelle parole non si frena o condanna la jihad, non si biasimano gli assassini e gli attacchi, per questo si pensa che dietro alla tastiera si sieda qualcuno appartenente al mondo islamista radicale. Quello che invece di trova, sono le polemiche contro i meccanismi interni, le bramosie di potere, gli inganni per raggiungerlo tra gli stessi uomini del gruppo, i patti “pragmatici” a cui l’Isis ha dovuto dire “sì” per progettare la propria ascesa.

È per questo che molti esperti ritengono che la fonte (o le fonti), appartengono al giro vicino all’organizzazione: qualcuno che può arrivare a dettagli intimi, come il vero nome e i dati biografici di al-Baghdadi e quelli degli altri leader, la strutturazione interna, i piani finanziari. Qualcuno che se ne è andato in nome di una qualche integrità, magari, ulteriore: qualcuno che non è sceso a compromessi. Oppure qualcuno che rivendica più potere e utilizza questi mezzi di contestazione anonima: d’altronde l’Isis non è che sia un’istituzione democratica all’interno della quale si dialoga sul dissenso, è chiaro – traditori e i doppiogiochisti, anche se pochi, spesso finiscono la loro vita senza testa.

Il problema per lo Stato Islamico, è che quei dati messi in rete, potrebbero trasformare lo spazio di Twitter – molto utilizzato per la diffusione delle proprie azioni dall’Isis, anche ad uso fertilizzante per il reclutamento – in un boomerang. Scoprirne i leaks potrebbe mettere a nudo magagne interne all’organizzazione, che finirebbero per ovattarne la fascinazione esercitata sul mondo jihadista internazionale.

Una serpe in seno, una gola profonda, su cui uomini dell’organizzazione stanno già lavorando: anche perché perché i follower di @wikibaghdady crescono velocemente, sono già 37 mila. Per l’Isis occorre frenare questa “contro-propaganda” in tempo, prima che vengano diffusi piani ancora più sensibili.

Per il mondo che vuole contrastarlo, invece, come ha sottolineato Fishman, quanto meno l’account rappresenta «un acuto osservatore degli eventi in Siria» e «una fonte primaria di idee che dovrebbero essere investigati attraverso altri mezzi».

@danemblog

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