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Il PLI come nel Trono di Spade: si apre la corsa per una nuova segreteria? Toto e Facchettin in pole.

Prosegue la “telenovela” legata al presente/futuro del Partito Liberale Italiano (PLI). Dopo le dichiarazioni di Ivan Catalano, da pochi giorni come indipendente in Scelta  Civica, ma espulso dal direttivo del PLI (da cui proveniva), è chiaro che si andrà allo scontro politico nella prossima Direzione Nazionale. Catalano contesta l’espulsione e,  di fatto, la respinge con forza sul suo blog. Nel frattempo Daniele Toto, dopo la revoca della sua carica (Coordinatore Nazionale Organizzativo), in seno al partito, non solo non è uscito (come alcuni speravano),  ma è più attivo che mai.

L’ex deputato di FLI, nel PLI da oltre un anni, sta muovendosi in ogni regione in cui si va al voto (il prossimo 30 maggio) mettendo l’esperienza politica, maturata negli anni, al servizio di singoli candidati o di liste di liberali in piccoli/grandi centri. Senza considerare che si sta rafforzando e crescendo sul territorio da cui proviene (l’Abruzzo). Facchettin (“viceré” del PLI in Friuli-Venezia Giulia) non ha abbandonato l’idea di presentarsi come segretario al posto di Giancarlo Morandi (attuale segretario del PLI), sul quale, secondo voci, provenienti  da diverse regioni, non ci sarebbe più quella coesione interna al partito, presente ad ottobre  in occasione dell’ultimo congresso. 

In sintesi: ci sono due diverse posizioni “crescenti”. Quella di Toto, che crede in una nuova area “liberal democratica”, dove portare il partito con una sua dignità politica. Probabilmente la stessa dove adesso si trova Scelta Civica, con i suoi 25 deputati alla Camera e alleato del Governo Renzi. Dall’altra quella di Facchettin, più vicino a posizioni di centro-destra, un centro-destra tutto da costruire e dove (forse) potrebbero esserci maggiori spazi, ma all’opposizione e con l’assenza di garanzie in caso di una nuova tornata nazionale (la coalizione di Renzi rischia di rivincere a mani basse nonostante la crescita di Matteo Salvini). 

Poi c’è il resto del direttivo del PLI, vicino alle posizioni di De Luca-Morandi (la cui strategia politica è di difficile lettura già da un paio di anni). Ad ogni tornata infatti sono usciti con le 

ossa rotte, più di quella precedente (alle Europee i candidati PLI nelle diverse circoscrizioni hanno raccolto appena 8 mila voti, dilapidando il tesoretto di 27 mila voti ottenuti con mille sacrifici alle politiche 2013 in appena sei circoscrizioni elettorali). 

Queste continue sconfitte portano, a torto o a ragione,  la firma della direzione di Stefano De Luca, prima segretario oggi presidente, dopo aver lasciato la segreteria all’amico di una vita, Giancarlo Morandi. Ma il verso di questo lento declino non 

è cambiato con la “gestione Morandi”. C’è voglia di cambiamento all’interno dei territori legati al marchio PLI  e i membri del direttivo non rappresentano che la “vicinanza” amicale ai vertici del partito, ma non una  reale rappresentatività sui territori da cui provengono. A conferma di questa tesi l’assoluta assenza, da tempo, di liste regionali con la bandierina del PLI. Gli unici rappresentanti liberali portano la firma di Toto e Facchettin, che sta per presentare una lista a Cividale del Friuli, dove intende contrastare lo strapotere di Forza Italia e del sindaco uscente Stefano Balloch (uno dei nuovi “pupilli” di Silvio Berlusconi). La corsa per la poltrona di segretario del PLI è appena iniziata.

Morandi se messo sotto pressione nelle prossime DN, potrebbe decidere di abbandonare il campo (è una delle tesi più plausibili). A quel punto si aprirebbero degli spazi e questa volta De Luca  se la dovrebbe giocare punto a punto o con Toto o con Facchettin. Sembra un capitolo del “Trono di Spade”, invece  è una giornata media nel Partito Liberale Italiano. Certamente gli accadimenti avvenuti nell’ultimo Consiglio Nazionale e l’uscita di Catalano (l’unico deputato che il PLI aveva in Parlamento) hanno accelerato un processo di cambiamento che doveva prima o poi  partire, nonostante i tentativi di De Luca di mantenere lo “status quo” in seno al partito.

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