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Telecom Italia, le mire di Bollorè e i mugugni dei piccoli azionisti

Chi ha paura del francese, o meglio dei francesi? La domanda vale il classico milione di dollari, specialmente a fronte di una risposta vaga. Il quesito che agita Telecom Italia da settimane, dopo l’improvvisa (o forse no) calata francese di Vivendi del bretone Vincent Bollorè, azionista Telecom al 20%, e di Xavier Niel, è tornata ancora una volta in auge ieri sera all’Auditorium di via Veneto, a Roma, dove si è tenuto l’annuale convegno di Asati, l’associazione dei piccoli azionisti Telecom, che raccoglie lo 0,9% del capitale.

LE SCUOLE DI PENSIERO

Il problema è che ci sono due scuole di pensiero. Ovvero, nel giorno in cui Telecom riunirà il cda per inserire nell’ordine del giorno dell’assemblea del 15 dicembre l’esame della richiesta di Vivendi per avere 4 posti nel board (idea che piace assai poco ai fondi-azionisti di Telecom), da una parte c’è chi pensa che l’ex monopolista batta ormai bandiera francese (c’è anche un altro francese,Niel, con il 15%) con azionisti in grado di incidere sulla governance. Dall’altra, come il presidente Giuseppe Recchi, c’è chi ribadisce la natura di public company della società. Cioè, azionariato diffuso e gestione del gruppo separata dalla proprietà. Quindi nessun baricentro francese. Ma è davvero così?

LE DOMANDE (SENZA RISPOSTA) DI ASATI

Lo slogan Asati di quest’anno era “uniti per contare di più”. Ovvero: fare di tutto per evitare lo schiacciamento da parte dei grandi azionisti. Ma ce ne era pure un altro. “Telecom Italia, la sfida di restare una public company”. Franco Lombardi, presidente di Asati, ha puntato il dito contro quei silenzi del governo e dello stesso board, che hanno accompagnato la scalata francese di Vivendi all’ex monopolista. Al netto al netto di un paio di convocazioni di Vivendi in Consob, s’intende. “Perché il governo e Matteo Renzi sono stati silenti mentre Vivendi entrava nel capitale?”, si è chiesto l’ingegnere ex dirigente Sip. “Bollorè e Renzi cosa si sono detti a Palazzo Chigi ad agosto? E Costamagna, presidente della Cdp, che è volato a Parigi lo scorso mese? Che cosa ha fatto?”. Le risposte, ovviamente, non sono arrivate. Lombardi però non ha demorso, incalzando la platea.”Vi pare possibile che Vivendì sia salita dall’8 al 20% senza che nessuna abbia detto nulla? In Francia non sarebbe successo se qualcuno avesse provato a scalare Orange”, il gigante transalpino delle tlc.

TELECOM PUBLIC COMPANY. O FORSE NO

Gli affondi però sono arrivati anche da Alessandro Fogliati, che di Asati è il presidente onorario. “Io credo che Telecom oggi non sia una public company”, ha detto Fogliati. Che ha puntato il dito proprio contro quei 4 posti in consiglio chiesti dai francesi di Vivendi che tanto spaventa i soci, anche perché a entrare nel board (che passerebbe da 13 a 17 membri) sarebbero 4 pezzi da novanta del colosso transalpino: l’amministratore delegato Arnaud Roy de Puyfontaine, il direttore finanziario Hervé Philippe, il chief operating officer Stephane Roussel e l’ex manager di Areva Felicité Herzog in veste di consulente. “Oggi potrebbero avere due o quattro consiglieri, ma un domani potrebbero arrivare ai due terzi del board. Io credo che in questo senso si ponga un problema di governance e che comunque vada, nessun socio dovrà avere il 51% del board”, ha avvertito Fogliati.

LA DIFESA DI RECCHI

Il presidente Telecom, Giuseppe Recchi, ha rintuzzato le accuse di superamento della natura di public company. A distanza di poche ore dall’audizione in Senato in cui Recchi, insieme all’ad Marco Patuano, hanno escluso “una dominazione francese su Telecom“, Recchi, che ha citato la definizione di public company dalla Treccani, è tornato a ribadire la reale struttura di Telecom: “La public company cessa di esistere quando proprietà e gestione dell’azienda si mischiano: questo oggi in Telecom non avviene“. E il blitz dei francesi che i fondi non hanno digerito? Recchi, andato via quasi subito dopo il suo intervento, ha ostentato ancora una volta tranquillità, guardando con favore all’ingresso di Vivendi e alla sua richiesta di figurare in cda. “L’idea che un socio che ha il 20% chieda di far parte del board è naturale. E il consiglio in questo modo si arricchisce di nuove competenze. Noi non ci dobbiamo preoccupare dell’allargamento del board ma della legittimità e della correttezza della richiesta di Vivendi. Questo valuteremo nel cda”.

PATUANO: BOLLORE’ CI GUARDA PERCHE’ SIAMO SEXY

Il numero uno di Telecom, Patuano, la prende larga, affrontando la questione a partire dallo stato di salute dell’azienda: “Oggi siamo sexy, siamo nella migliore forma da dieci anni. In due anni di cose ne abbiamo fatte, siamo leader nella fibra, nel mobile, abbiamo quotato le nostre torri, forti investimenti in Brasile e licenziato nessuno: ci sarà un motivo se qualcuno ci guarda. E Bollorè, che è un buon investitore, è uno di questi”. Secondo Patuano quindi l’avanzata francese altro non è che il frutto di un appeal di un’azienda che piace al mercato. Il manager però non si è soffermato più di tanto sulla questione, preferendo parlare del piano industriale Telecom. “Dobbiamo avere molto ben chiaro cosa fare. Abbiamo due mercati su cui concentrarci, ossia Brasile e Italia”.

VIVENDI? VUOLE COMANDICCHIARE. PAROLA DI MUCCHETTI

“Una società può essere ad azionariato diffuso, quello che conta semmai è che tipo di lavoro quella società può fare”. Massimo Mucchetti, senatore Pd e presidente della commissione Industria al Senato, non ha certo bypassato il problema dell’assetto azionario, lanciando anzi precisi avvertimenti. “Adesso c’è un cda che rappresenta una proprietà diffusa un po’ a sua insaputa, ma che tuttavia deve fare i conti con una riconcentrazione delle azioni. Il problema della proprietà deve essere guardato in un’ottica di trasparenza e di logiche industriali da proporre”. Mucchetti ha poi lanciato un avvertimento:”Abbiamo davanti un azionista finanziariamente forte ma soprattutto con le mani libere. Ho l’impressione che alla fine Vivendi voglia comandicchiare, magari pilotando Telecom meglio di Telefonica”. Mucchetti ha quindi ammesso “un certo imbarazzo della politica italiana dinnanzi ai movimenti in Telecom. Ma usare la forza bruta con Vivendi non serve, perché siamo dentro un sistema europeo. E non ci sono nemmeno soggetti italiani che possano giocare la partita contro Vivendi”. Mucchetti avrebbe un’idea per arginare lo strapotere francese. Cassa depositi e prestiti, chiamata a gestire con Metroweb (società partecipata dal Fondo Fsi e di cui Telecom vorrebbe la maggioranza) la cablatura a 100 mega di tutta Italia, prevista nel piano banda ultralarga del governo. Ipotesi che però rimane solo sulla carta, visto che proprio nei giorni scorsi Cdp ha smentito possibili incontri con Vivendi.

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