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Che succede se Renzi perde il referendum sulla riforma costituzionale?

Sì, lo so. Il 2015, mentre scrivo, non è ancora finito, e il 2016 non ancora cominciato. Ma penso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella meriti in anticipo gli auguri di buon anno. Sia per questioni di garbo, precedendo quelli che egli rivolgerà a tutti gli italiani nel consueto messaggio televisivo trasmesso dal Quirinale la sera di San Silvestro: il primo, peraltro, del suo mandato. Sia per questioni di merito, essendo stato il nuovo anno appena caricato di dinamite politica dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Che nella conferenza stampa di fine anno vecchio ha scommesso il proprio destino politico, e probabilmente la sorte della legislatura cominciata nel 2013, sul referendum “immaginato” a metà ottobre del 2016 sulla riforma costituzionale, ormai in dirittura d’arrivo parlamentare.

Immaginazione per immaginazione, proviamo solo a rappresentare lo scenario di fronte al quale il capo dello Stato potrebbe trovarsi nell’autunno prossimo se Renzi perdesse la sua scommessa e, considerando davvero “fallita” la propria esperienza politica, salisse sul colle più alto di Roma per rassegnare le dimissioni da capo del governo. Cui potrebbe seguire, con l’esplosione delle correnti vecchie, nuove e nuovissime, anche la rinuncia a segretario del Partito Democratico.

Si aprirebbe una crisi semplicemente drammatica, forse ancora più di quella affrontata nell’autunno del 2011 sul piano economico e finanziario, e non solo politico, dal predecessore di Mattarella, il cosiddetto “Re Giorgio” Napolitano. Che tirò fuori dal cilindro quel governo tecnico di Mario Monti in realtà covato già da qualche mese, come nel 2014 ha ricostruito in modo per niente immaginario nel suo “Ammazziamo il Gattopardo” Alan Friedman, anche se contestato in una lettera al Corriere della Sera dall’allora presidente della Repubblica.

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Ben difficilmente Mattarella potrebbe inventarsi una riedizione del governo Monti, o qualcosa di simile, essendo il Parlamento e lo scenario politico del 2016 ben più frammentato e caotico, diciamo la verità, di quello del 2011, quando Berlusconi, per quanto indebolito, disponeva ancora di consistenti gruppi alla Camera e al Senato, e Beppe Grillo era ancora e soprattutto un comico di successo, niente di più.

Le consuete consultazioni di Mattarella al Quirinale sarebbero letteralmente da capogiro. E ancora più da capogiro sarebbe uno scenario di ricorso anticipato alle urne con una nuova legge elettorale – il cosiddetto Italicum – approvata per essere applicabile dall’estate prossima solo per il rinnovo della Camera.

Salvo un assai improbabile e inedito intervento d’urgenza sulla nuova legge elettorale per applicarla anche al rinnovo del Senato, la nuova pletorica assemblea di Palazzo Madama, provvista delle stesse funzioni di quella attuale, potrebbe essere eletta solo con le vecchie regole, al netto dei tagli apportati ad esse dalla Corte Costituzionale con la sentenza di parziale illegittimità del cosiddetto Porcellum. Uscirebbe comunque dalle urne, per l’inevitabilmente pasticciata distribuzione dei seggi, un Parlamento, e quindi un Paese, letteralmente ingovernabile.

Proprio la paura di un simile scenario potrebbe giocare nel referendum dell’anno prossimo a favore di Renzi, e della sua pur discussa o controversa riforma costituzionale, che archivia il Senato elettivo e garantisce comunque nella nuova Camera una maggioranza sicura alla lista più votata già in prima battuta, se raggiunge il 40 per cento dei consensi, o in seconda battuta, se si dovesse ricorrere al ballottaggio fra le due liste più votate. Una paura, questa dello scenario della ingovernabilità, che astutamente il giovane presidente del Consiglio ha alimentato proprio minacciando la crisi in caso di sconfitta referendaria. Ma non è detto che la trappola renziana debba scattare per forza. L’elettorato, sprovvisto peraltro in questo caso della condizione protettiva del cosiddetto quorum di partecipazione, per cui anche una basse affluenza alle urne non ne pregiudicherebbe il risultato, è pur sempre mobile. Come la donna della celebre aria del Duca di Mantova nel terzo e ultimo atto del Rigoletto di Giuseppe Verdi. E non ci sarebbe Rigoletto, credetemi, in grado di divertire Mattarella, che già di suo non sembra propenso al divertimento.

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Gli auguri anticipati, o comunque tempestivi, di buon anno non spettano a questo punto soltanto al pacato e sobrio presidente della Repubblica. Spettano anche al baldanzoso e giovane presidente del Consiglio. In cui solo i fatti potranno farci capire davvero se prevale il coraggio o la temerarietà. Che non sono notoriamente la stessa cosa, neppure in politica. O soprattutto in politica, specie con i tempi che corrono in Italia, in Europa e anche altrove.

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