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Chi vuole coprire il caso dei derivati di Stato?

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Signor Presidente, Colleghe, Colleghi,

la scorsa estate, la maggioranza politica ritenne di sollevarmi dall’incarico di guidare la Commissione. Nei due anni precedenti, con un buon lavoro e un dialogo spesso proficuo tra maggioranza e opposizioni, eravamo riusciti tutti insieme a dare un contributo decisivo a una prima riforma di Equitalia a favore dei contribuenti (impignorabilità della prima casa, della seconda casa, dei beni dell’azienda, aumento delle rate, ecc), e soprattutto, con larga convergenza parlamentare, avevamo costruito una importante delega fiscale (la cui attuazione, largamente tardiva, parziale e manchevole, da parte dell’attuale Governo, dovrebbe costituire per tutti motivo di rammarico e riflessione, al di là di ogni appartenenza politica).

Tra le attività alle quali ci eravamo dedicati di comune accordo tra i Gruppi, c’era anche una importante indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati. Avevamo concluso un ampio e significativo ciclo di audizioni, portando alla luce elementi di conoscenza che raramente (per non dire: mai) erano così massiciamente venuti alla luce in una sede istituzionale.

Nelle settimane precedenti al cambio della presidenza della Commissione, avevo predisposto una mia bozza di documento politico conclusivo dell’indagine conoscitiva, che immaginavo di sottoporre all’adozione e alla valutazione della Commissione. Essendo stato però sollevato dall’incarico, mi sono fermato per evidenti ragioni di opportunità.

Come sapete, da mesi (da allora ne sono trascorsi nove, il tempo di una gravidanza…) ho scelto per garbo istituzionale di non interferire in alcun modo con il lavoro della Commissione, sperando però che l’indagine conoscitiva sui derivati potesse essere in qualche modo conclusa. Non ne ho più avuto notizia, a meno di mie distrazioni.

Dunque, avendo lungamente atteso, vi allego ora il seguente testo, che avevo preparato. Lo avevo concepito come documento politico da discutere ed eventualmente adottare. Attendo di sapere dall’attuale Presidenza se intenda procedere nel modo che avevo immaginato a suo tempo (quindi sottoporre il documento alla discussione e adozione da parte della Commissione) o se invece intenda mettere al voto una vera e propria risoluzione. In entrambi casi, questo è il testo che intendo presentare.

Attendo comunicazioni sulla procedura che si intenderà seguire.

Cordialità e auguri di buon lavoro.

Daniele Capezzone

***

Documento politico conclusivo dell’indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati

Bozza a cura di Daniele Capezzone (luglio 2015)

 

  1. E’ necessario inquadrare il fenomeno del ricorso agli strumenti finanziari derivati da parte dello Stato e degli enti locali all’interno del più ampio tema della complicata gestione della nostra finanza pubblica. In breve: dobbiamo “guardare la foresta, non solo l’albero”. In altre parole, il “testo” rappresentato dagli strumenti finanziari derivati è a maggior ragione preoccupante se si considera il “contesto” del debito pubblico italiano. Il nostro è il terzo debito pubblico del mondo, oltre 2 mila miliardi di euro: è questa la madre di tutte le anomalie. E infatti è emerso con chiarezza che la gestione di una simile massa debitoria porta con sé tutta una serie di altre anomalie, tra cui appunto l’uso massiccio e anomalo dei derivati, per valori e perdite ritenute “accettabili” non paragonabile all’uso che ne fanno gli altri Paesi europei.
  1. E’ questo primo punto, la “foresta”, il vero e proprio fallimento della politica italiana. Fallimento che chiama in causa partiti e classe dirigente sia della Prima Repubblica, per aver generato questa incredibile mole di debito pubblico, inseguendo il consenso di breve-medio termine ma scaricando sulle future generazioni (che non potevano votare né scioperare né protestare) un fardello immenso, sia della Seconda Repubblica, per essersi limitati a gestire lo status quo, senza avere il coraggio e la forza di tentare operazioni per abbattere, o almeno ridurre significativamente, questo debito, nemmeno quando le condizioni politiche e macro-economiche erano più favorevoli, per esempio negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore dell’Euro, quando i tassi di interesse sui titoli di Stato toccarono i minimi storici grazie all’implicita garanzia europea.
  1. E ora, mantenendo sempre la “foresta” sullo sfondo del nostro sguardo, veniamo all’“albero”. Dal confronto tra l’Italia e gli altri Paesi Ue nell’uso degli strumenti derivati, emerge un’anomalia che non può che destare forti preoccupazioni: nessuno è esposto ai derivati come lo siamo noi. Le tabelle acquisite dalla Commissione sono in questo senso eloquenti. Siamo il primo Paese in Europa per perdite potenziali da derivati, con un valore di mercato negativo per circa 42 miliardi di euro. Anche in rapporto al Pil il valore di mercato dei nostri derivati è tra i peggiori (peggio di noi solo la Grecia). E’ vero che rispetto al debito pubblico le distanze si riducono, che le dimensioni del nostro debito spiegano almeno in parte il massiccio ricorso ai derivati, e che bisogna tener conto dei benefici ricevuti dall’assicurazione sui movimenti sfavorevoli dei tassi di interesse, ma tutto ciò non rende meno anomala e allarmante la nostra situazione.
  1. Desta altresì forte preoccupazione la presenza in alcuni contratti derivati attualmente in essere, o chiusi nel recente passato, di clausole particolarmente onerose, definite addirittura “uniche nel loro genere”.
  1. Non possiamo ignorare inoltre che permane un quadro di estrema incertezza riguardo l’andamento sia della nostra economia, sia dei tassi di interesse sui nostri titoli di Stato: basteranno le decisioni assunte dalla BCE a mantenere bassi i tassi? Anche di fronte a dati di crescita deludenti? Oppure torneranno ad alzarsi? E di quanto?
  1. Né possiamo permetterci di sottovalutare l’eventualità che l’Eurozona precipiti in una nuova crisi finanziaria. E l’andamento dei credit default swap (CDS) sul debito italiano – in un momento, come oggi, di relativa calma – dimostra che l’Italia continua ad essere considerata come potenziale “anello debole” in caso di crisi. Cosa accadrà alla scadenza del Quantitative Easing, quando i mercati dovranno tornare a giudicare la sostenibilità del nostro debito pubblico in relazione alla salute e alle potenzialità della nostra economia, al netto delle condizioni favorevoli del QE?
  1. Di fronte a questo quadro però, non sarebbe né utile né responsabile abbandonarsi a un approccio scandalistico. Al contrario, la Commissione ha adottato un approccio appropriato a una indagine conoscitiva. Primo: una seria analisi e una fotografia accurata e nitida della situazione. Secondo: individuare possibili piste di lavoro per uscire dall’emergenza.
  1. E’ innanzitutto inaccettabile l’idea che il Parlamento sia tenuto all’oscuro della gestione di strumenti finanziari così delicati come i derivati. La loro complessità e le comprensibili ragioni di cautela non possono far sì che il Parlamento sia l’ultimo a sapere quando in gioco ci sono la tenuta dei conti pubblici, il denaro dei contribuenti e il livello di benessere e servizi pubblici che lasceremo in eredità alle future generazioni.
  1. D’altra parte, la posta in gioco è altissima. Per comprendere meglio di quali grandezze si tratti, basti pensare che con quello che spendiamo ogni anno sui derivati potremmo cancellare una rilevante massa di tassazione sui cittadini. Per non parlare delle perdite potenziali…
  1. Se da un lato non possiamo dimenticare le competenze maturate dal Ministero del Tesoro, sia nella gestione sia del debito pubblico in generale sia in particolare di strumenti così complessi come i derivati, dall’altro non possiamo nemmeno cullarci nell’illusione che tutto vada sempre per il meglio e non possano, al contrario, verificarsi degli shock. Innanzitutto, è impari il confronto tra i “desk” delle maggiori banche (capaci di condurre analisi mark to market minuto per minuto) e un ufficio pubblico per quanto preparato ed esperto. Inoltre, appaiono molto meno trasparenti le modalità e ancor più elevate le criticità nella gestione degli strumenti finanziari derivati da parte delle autonomie locali.
  1. Veniamo ora alla “exit strategy”, proviamo cioè a delineare percorsi e “best practices” per il futuro. Come dicevamo, bisogna guardare la “foresta”, quindi essere consapevoli che operazioni di reale abbattimento del debito pubblico, non cosmetiche, avrebbero tra i loro effetti positivi anche quello di riportare su livelli fisiologici il ricorso agli strumenti finanziari derivati.
  1. Per quanto riguarda “l’albero”, va garantita innanzitutto una piena accountability nei confronti del Parlamento e dell’opinione pubblica. Trasparenza, totale conoscibilità almeno delle operazioni concluse, un quadro informativo completo, con rapporti semestrali per valutare nell’insieme il profilo di rischio.
  1. Per il futuro, servono linee-guida dettagliate e soprattutto una netta distinzione tra operazioni consentite allo Stato e agli enti territoriali (quelle di carattere essenzialmente “assicurativo” e di tutela), e un elenco di quelle che non dovranno essere più consentite ai soggetti pubblici (quelle a carattere “speculativo” o eccessivamente rischiose).
  1. Infine, è necessario predisporre un quadro di adeguate e fattibili procedure di controllo: sia interno alle strutture del Ministero sia esterno, da parte della Corte dei Conti; sia preventivo che successivo alle operazioni, sulla base delle linee-guida elaborate dal Governo e approvate dal Parlamento.
  1. E’ inoltre opportuno prevedere che le figure impegnate nel Ministero nella gestione di debito e derivati non possano, per un adeguato numero di anni successivo al cessare di questo loro impegno pubblico, trasferirsi presso le banche o le altre istituzioni private che sono state fino a quel momento loro controparti.
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