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Moqtada al Sadr attacca il Parlamento, l’Iraq nel caos

Settimane di proteste da parte dei seguaci del leader radicale sciita Moqtada al Sadr sono sfociate sabato pomeriggio in un vero e proprio assalto al Parlamento di Baghdad. I manifestanti hanno fatto irruzione alla camera riunita in assise, ed è stato dichiarato lo stato di emergenza in tutta la Zona Verde al centro della città, che è quella super protetta in cui hanno sede le istituzioni e le feluche internazionali.

Il motivo che ha mosso i migliaia di sostenitori dell’imam/politico a sfondare le protezioni della Green Zone per compiere il gesto clamoroso è fondamentalmente l’opposizione al governo occidentalizzato di Haider al Abadi, sulla via di un faticoso rimpasto “più tecnico”, ma in stallo da tempo, e contro le lentezze nell’approvazione da parte dei legislatori di riforme sul sistema di distribuzione delle cariche (ora legate ad aspetti confessionali) e di normative anti-corruzione, uno dei mali endemici del paese. Un altro dei mali è lo Stato islamico, che nelle stesse ore della protesta ha colpito con un kamikaze la folla (oltre venti morti, e una quarantina di feriti) nel quartiere di Nahrawan, alla periferia orientale della capitale irachena: l’esplosione è avvenuta lungo una strada utilizzata dai pellegrini sciiti per arrivare al santuario dell’imam Musa Kadhim, luogo in questi giorni di commemorazioni annuali.

Al Sadr, che ha guidato con il suo Esercito del Mahdi dieci anni fa le rivolte contro la presenza americana in Iraq e ls guerra civile contro i sunniti, s’è reinventato voce del popolo, dopo che l’avanzata dello Stato islamico (sunnita) ha risvegliato le sue istanze sciite dalla pensione-politica in cui s’era confinato. Finora il leader del Movimento Sadrista s’è apparentemente allineato con Abadi e alle sue volontà di riforme, spesso osteggiate dai centri di potere. L’attuale premier era salito al governo nel 2014 per sostituire con un’azione politica inclusiva Nuri al Maliki, decaduto perché reo di aver inasprito le divisioni settarie e le dinamiche losche delle élite, fattori che nel corso del tempo hanno creato i presupposti per l’attecchimento delle istanze integraliste dell’Isi, ora IS, già Isis. Ora però l’invasione del parlamento, abbandonato dopo poche ore, è un’azione forte contro il governo.

Non sono solo i miliziani di Abu Bakr al Baghdadi, che controllano (in contrazione) aree al nord-ovest, a destabilizzare il paese, dunque: i problemi dell’Iraq si espandono a tutta l’i laccatura statuale”. La corruzione endemica si alimenta a vicenda con un sistema clientelare su cui i partiti, e le milizie collegate, giocano il loro potere: dalla caduta di Saddam i posti pubblici sono cresciuti di sei volte, appesantendo il bilancio statale.  L’Iraq è stato il paese Opec che ha fatto registrare la crescita più forte nel 2015, ma anche il petrolio è colpito dall’instabilità, oltre che dal crollo dei prezzi: se i giacimenti del sud sciita continuano a produrre praticamente indisturbati, al nord, oltre che difendersi dagli attacchi dello Stato islamico, i campi soffrono delle divisioni settarie tra sunniti, sciiti e curdi, questi ultimi interessati al controllo “più indipendente” di alcuni campi (per esempio quelli di Kirkuk). Altro grosso problema per Baghdad è il rafforzamento delle milizie sciite filo-iraniane, diventate indispensabili nella lotta all’IS, ma allo stesso tempo braccio lungo di Teheran per controllare l’Iraq. Influenza eccessiva a cui si oppongono alcuni leader sciiti come Sadr.

(Foto: il premier al Abadi durante il sopralluogo in Parlamento dopo le proteste. Via @Hayder_alKhoei)

 

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