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I miei auguri a Marco Pannella

Purtroppo è passato anche il giorno dell’ottantaseiesimo compleanno di Marco Pannella, che si sta consumando nella sua abitazione romana tra visite di amici che qualcuno ha felicemente definito “una processione laica”, e dal Quirinale è giunta solo la notizia di una telefonata di auguri del presidente della Repubblica. Non l’annuncio, che qualcuno aveva auspicato e molti avrebbero condiviso, della sua nomina a senatore a vita. Che sarebbe stata – e lo sarebbe tuttora – l’ultima davvero se la riforma costituzionale fosse approvata nel referendum del prossimo autunno.

Fatti salvi quelli già nominati per avere “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, come dice l’articolo 59 della Costituzione, il laticlavio spetterà soltanto agli ex presidenti o presidenti emeriti della Repubblica. I cinque senatori di scelta presidenziale, una volta entrata in vigore la riforma, “durano in carica sette anni”, quanti sono quelli del mandato presidenziale, “e non possono essere nuovamente nominati”.

A scanso di interpretazioni nocive per i senatori in carica di nomina presidenziale, che sono attualmente quattro, e precisamente, in ordine rigorosamente alfabetico, Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano e Carlo Rubbia, la settima delle tredici “disposizioni transitorie” della riforma garantisce loro la “permanenza nella stessa carica, ad ogni effetto, quali membri del Senato della Repubblica”.

Per Pannella, purtroppo, date le sue condizioni di salute, quasi terminali, tanto che non esce più da casa, non ci sarebbe neppure da prospettare il rischio di addossare al bilancio del Senato chissà quale onere per avere il presidente della Repubblica disposto del diritto di assegnare in questo momento, mentre si sta forse passando da un tipo di Senato all’altro, salvo sorprese referendarie, l’ultimo dei cinque laticlavi ancora a disposizione del capo dello Stato.

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Da Marco Pannella si può avere dissentito per tante cause politiche e sociali da lui sostenute. Sicuramente il cattolicissimo Sergio Mattarella ha dissentito, per esempio, dalle cause radicali a favore del divorzio e della disciplina dell’aborto, contrastate dalla Dc.

Si può avere dissentito, come capitò di fare pure a me in termini anche forti, quando Marco consentì o promosse – fa lo stesso – la candidatura provocatoria di Cicciolina alla Camera, anche se riconosco che poi a Montecitorio è forse arrivato persino di peggio, politicamente parlando.

Si può avere dissentito per l’abuso del ricorso al referendum, che ha contribuito anche alla disaffezione manifestatasi con un quasi sistematico astensionismo. O per le cause dell’eutanasia e della liberalizzazione delle droghe.

Si può avere dissentito da certe sfuriate di Pannella, anche fra i suoi, nel suo movimento, dove polemizzare con lui è sempre stato alquanto difficile, come d’altronde capita nei partiti dove c’è una fortissima leadership. E quella di Pannella fra i radicali sicuramente lo è stata e lo è ancora, anche nelle condizioni assai precarie di salute alle quali egli è ridotto.

Ma nessuno può onestamente negare a Pannella il merito, riconosciutogli anche da Pontefici, di avere fatto le sue battaglie con grande passione civile. Di lui, e di pochi altri, scrisse giustamente una volta Indro Montanelli che si sentiva “l’odore di bucato”.

Dei valori della Costituzione e del cosiddetto Stato di diritto Pannella è stato difensore ed espressione molto più di tanti che si sono eretti da soli un monumento alla legalità, consentendo che dalle Procure della Repubblica si passasse disinvoltamente alla Repubblica delle Procure. Egli merita il laticlavio più di tanti altri ai quali è stato concesso nei settant’anni ormai della storia della Repubblica. E se fosse un presidente cattolico a concederglielo, sarebbe ancora più bello e significativo.

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Due parole adesso su Alfio Marchini, Che, per quanto abbronzato anche fuori stagione, sarà sbiancato leggendo sulla Stampa di domenica, a pagina 7, la cronaca di una sua visita elettorale, come candidato a sindaco di Roma, in viale Marconi. Che lui stesso chiama ironicamente col suo cognome per i tanti palazzi costruiti nella zona dai suoi genitori e nonni.

Contestato, sia pure amichevolmente, da un giovane simpatizzante a causa dell’accordo appena raggiunto con Silvio Berlusconi per la sua corsa al Campidoglio, Marchini lo ha calmato parlandogli all’orecchio. Il giornalista della Stampa, Francesco Maesano, giustamente incuriosito, ha chiesto al giovanotto cosa gli avesse detto il candidato. E ne ha riportato questa risposta: “Che Berlusconi a Roma non conta niente”.

Avrà esagerato, non so se più il giovanotto o Marchini. Non credo comunque che dalle parti dell’ex Cavaliere abbiano gradito. L’ormai incontenibile Gorgia Meloni e il suo sponsor nazionale, Matteo Salvini, probabilmente sì.

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