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Che cosa si sono detti Renzi e Stoltenberg a Palazzo Chigi

“Quando il segretario generale della Nato bussa a casa tua, solitamente lo fa con due parole segnate in agenda: soldi e guerra”, ha scritto Mario Sechi nel suo taccuino giornaliero, List, per introdurre l’incontro di martedì sera tra il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi.

LA PRASSI

La visita di Jens Stoltenberg è un passaggio-prassi che il segretario compie tra tutti i capi di governo dell’alleanza in vista dell’ormai imminente vertice di Varsavia, in programma per 8 e 9 luglio. Temi principali dell’incontro: difesa e rafforzamento della deterrenza a Est, dove la Russia viene considerata più una minaccia che un interlocutore, nonostante le dichiarazioni inclusive; l’impegno sul fronte meridionale, area che preme più all’Italia; il ruolo della Nato nel progettare stabilità in aree critiche di interesse (Iraq, Libia, ma anche Tunisia e Giordania); la cooperazione della Nato con l’Europa.

LA LIBIA

“L’Italia è un alleato chiave, specialmente per rispondere alle minacce che vengono da sud, come la violenza e l’instabilità che si diffondono dal Medio Oriente e dal Nord Africa”, ha detto Stoltenberg nella conferenza stampa a margine dell’incontro, e ha aggiunto: “La Nato è pronta a intervenire in Libia per costruire nuove strutture di difesa su richiesta del nuovo governo e come parte di uno sforzo allargato, insieme con Unione europea e Stati Uniti”. Nei giorni scorsi i media americani hanno più volte criticato l’indecisione di Roma sul ruolo che sta giocando sulla crisi, prima capofila e poi passi indietro, ma è evidente che se una missione dovesse partire a sostegno e addestramento delle truppe del premier Fayez Serraj, l’Italia avrà un ruolo centrale.

I SOLDI

Non ci sono state dichiarazioni ufficiali, ma è molto probabile che, soprattutto in vista del vertice di luglio, il bilancio dell’alleanza sia passato tra gli argomenti discussi. Barack Obama ha chiesto più volte maggiore impegno e contributo a tutti i Paesi membri, molti dei quali hanno stretto la cinghia sui conti della Difesa uscendo dal patto del 2 per cento del Pil di investimenti. L’argomento economico non è di secondo piano sutili equilibri intra-alleanza. Obama sta finendo la sua Amministrazione, ma per gli alleati la musica non cambierà se sarà eletta Hillary Clinton, che ha posizioni del tutto analoghe sulla condivisione delle spese. Nel 2015 solo Stati Uniti ed Estonia hanno rispettato gli accordi, ma Washington contribuisce a oltre il 70 per cento del totale degli investimenti negli armamenti. Ad inizio anno Stoltenberg aveva bacchettato l’Italia, che lo scorso anno è stata il paese che ha tagliato più di tutti il bilancio della Difesa (-12,4 per cento), che significa lo 0,95 per cento del Pil investito a fronte del 2 richiesto. “Ai paesi come l’Italia che spendono meno del 2 per cento del Pil dico che devono smettere di tagliare, ma il contesto generale mostra già un’inversione di tendenza, per la prima volta proprio nel 2015” disse il segretario.

E SE VINCE TRUMP…

Se dovesse vincere le elezioni presidenziali americane Donald Trump (che per la prima volta in questi giorni ha superato Clinton dello 0,2 per cento nei sondaggi) le cose potrebbero andare anche peggio per gli alleati americani, portando nuovi equilibri interni all’alleanza. Durante un raduno elettorale a Racine, Milwaukee (Wisconsin) The Donald non solo ha criticato la Nato come struttura “obsoleta” e inutile (“È stata concepita contro l’Unione Sovietica, che non esiste più”), ma ha anche battuto contro quei paesi che “non pagano la loro quota” (ossia, sono sotto il tetto del 2%). L’isolazionismo nazionalistico di Trump potrebbe forzare i membri dell’Alleanza a invertire la tendenza di affidamento quasi completo agli Stati Uniti, e significherebbe per questi accollarsi maggiori impegni, non solo sul piano economico.

(Foto: Twitter, @Palazzo_Chigi)

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