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Che cosa si dice tra gli analisti Usa della Brexit

La Gran Bretagna merita un premier che rispetti le volontà del popolo, ha detto David Cameron nella conferenza stampa davanti al 10 di Downing Street mentre annunciava dimissioni dalla guida del governo. Oltre diciassette milioni (il 52 per cento dei votanti) hanno deciso giovedì 23 giugno di far uscire il Regno Unito dall’Unione Europea, e Cameron, che ha voluto il referendum per regolare conti interni ai Tories schierandosi contro le frange anti-europeiste che ne minavano la stabilità, è stato sconfitto. Il suo posto nel partito vacilla, il suo ruolo di capo dell’esecutivo viene meno, e contemporaneamente secondo molti analisti è la posizione nel mondo del suo paese che andrà rivista da qui a qualche anno (il processo di uscita si prevede lungo dai due ai dieci anni). Dopo che Scozia e Irlanda del Nord hanno votato per restare in UE, si ravvivano i loro sentimenti indipendentisti: il Regno Unito sopravviverà intero alla Brexit? Le contrattazioni della City saranno ancora il riferimento globale dopo che il paese ha scelto di uscire dalla più grande area di scambi commerciali del mondo? La Gran Bretagna sarà ancora in grado di giocare la propria influenza internazionale una volta isolata dall’Europa?

IL RAPPORTO CON GLI STATI UNITI

Scrive il New York Times: “Per l’Unione europea il risultato è un disastro, sollevando dubbi circa la direzione, la coesione e il futuro di un blocco costruito su valori liberali e a sovranità condivisa che rappresenta, con la Nato, una componente fondamentale della struttura del dopoguerra in Europa”. La perdita della Gran Bretagna – seconda economia UE dopo la Germania, seggio permanente nel Consiglio di sicurezza Onu, alleato speciale degli Statit Uniti – è un colpo duro per il blocco europeo, già alle prese con una lenta crescita, l’alta disoccupazione, il buco nero greco e la guerra in Ucraina, la crisi migratoria (l’ansia dell’immigrazione pare che sia stato anche il principale dei motivi che hanno portato al voto i “Leave“, con declinazioni su criminalità e terrorismo). Un’analisi della Reuters sostiene che l’assenza del Regno Unito dall’Unione escluderà la principale voce di influenza americana nel processo decisionale in Europa (Usa e Uk sono legate da quella che Winston Churchill definì una “special relationship“). Cameron è stato uno stretto collaboratore di Barack Obama sui principali dossier di sicurezza internazionali, come la guerra in Siria e in Iraq, o la crisi in Ucraina e ha tenuto e fatto tenere la schiena dritta all’UE sulle sanzioni alla Russia. “La cooperazione in Europa sulla lotta contro il terrorismo si farà più difficile, come già la maggior parte degli ex capi dell’intelligence britannica hanno predetto prima del voto”, dice alla Reuters Bruce Riedel, un ex funzionario della Cia ora alla Brookings Institution, posizione opposto invece quella di Michael Morell, un ex direttore di Langley, che ricorda quanto è stretta e indissolubile la collaborazione tra le agenzie inglesi e americane. Resta che comunque c’è la possibilità che in futuro Washington possa rivolgersi ad altre cancellerie (Francia o Germania, per esempio) per sviluppare il proprio rapporto privilegiato se gli effetti della Brexit porteranno la Gran Bretagna su zone troppo isolate.

LE MIRE DI MOSCA

Secondo altro analisti il rischio è che questa situazione possa incoraggiare ulteriormente le mire di sfida all’Occidente della Russia, che ha affrontato la Brexit con la solita cortina i contraddizioni tra dichiarazioni diplomatiche e uscite propagandistiche estreme. “Tutto ciò che divide l’Europa è una vittoria per la Russia perché rappresenta una volontà geopolitica di Vladimir Putin“, ha detto Ivo Daalder, obamiano di ferro, rappresentate permanente degli Stati Uniti alla Nato (è stato colui che lavorò per portare l’Alleanza a intestarsi lo sforzo americnano e francese per rovesciare il rais libico Gheddafi nel 2011). Linea replicata da un funzionario, anonimo, dell’intelligence americana che ha parlato anch’egli con i giornalisti della Reuters: “Questo [la Brexit] è certo che incoraggerà i russi a proseguire e, probabilmente, intensificare la loro campagna di sostegno ai movimenti di estrema destra e nazionalisti in Europa occidentale e orientale come parte del loro sforzo per contrastare la Nato”. Ci sono segnali, oltre a quelli marchiani con il Front National francese, di collegamenti tra diversi partiti anti europeisti e nazionalisti con la Russia, a cominciare dallo Ukip, il partito britannico che ha sostenuto con più forza le istanze per lasciare l’UE, per poi passare verso Alba Dorata in Grecia, e poi i movimenti austriaci e ungherese, fino alla Lega di Matteo Salvini (ma il leader del Carroccio ha smentito) e Podemos in Spagna. Putin spinge sul nazionalismo, ossia sul passato, perché in questo momento non può fare politica utilizzando le carte dell’espansione economica o quella del futuro brillante in Russia.

I TIMORI, INTERNI, AMERICANI

Negli Stati Uniti, oltre a questo genere di preoccupazione esterna, sempre legata (anche) al referendum, ce n’è pure una interna che porta per targa un nome e un cognome: Donald Trump. L’ormai candidato repubblicano alla Casa Bianca venerdì era in Scozia ad inaugurare un lussuoso golf-resort da lui costruito (tra varie polemiche e opposizioni). A Trump non è interessato se in Scozia ha stravinto il “Remain” e ancora meno se gli scozzesi, concittadini di sua madre, non possono più vederlo (i media americani l’hanno definita una conferenza stampa “surreale”). Il miliardario prestato alla politica è salito sul palco e ha cercato di sfruttare la leva della Brexit per spingere i suoi mantra “America First” e “Make America Great Again”, gli slogan nazionalisti fino all’isolazionismo con cui sta conducendo la sua campagna elettore (“un modello” l’ha definita), in un momento complicato della sua corsa, con un nuovo sondaggio che lo mette indietro di 13 punti rispetto a Hillary Clinton (46 per cento contro 33). Ma i sondaggi davano anche il Remain in vantaggio, e dunque hanno valore relativo. Insieme ai populisti nazionalisti europei, insieme a Trump e a Putin (“When Putin is cheerleading your policies, you might want to reconsider your positionha scritto il Daily Beast), anche uno dei consiglieri del presidente iraniano Hassan Rouhani ha espresso felicità per la Brexit: “Ci saranno nuove opportunità”, ha detto.

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