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Haftar, uomo di Putin in Libia?

Domenica 26 giugno Khalifa Haftar, il generale freelance libico che ricopre il ruolo uomo forte della Cirenaica, si è recato a Mosca per una visita semi-ufficiale. Ha incontrato tutti i massimi vertici dell’esecutivo, dai ministri di Esteri e Difesa ai direttori dell’intelligence, fino a Nikolai Patrushev, il segretario del Consiglio di Sicurezza, che è l’organo chiave nel processo decisionale militare russo, perché è praticamente un tutt’uno con il presidente. “In altre parole, il messaggio che Haftar ha ricevuto a Mosca proveniva [direttamente] da Vladimir Putin“, ha scritto Al Monitor, il sito americano specializzato in Medio Oriente e Nordafrica, che definisce il comitato di accoglienza russo “insolitamente di alto profilo per una figura così controversa e divisiva”.

UN RUOLO CONTROVERSO

Come Ivan Molotov, l’ambasciatore russo in Libia, ha specificato appena la notizia della visita è stata diffusa, l’argomento dell’incontro non è stata soltanto l’eventuale fornitura di armi al generalissimo: sulla Libia vige ancora l’embargo Onu post caduta di Gheddafi, e se anche le Nazioni Unite dovessero decidere di rivederne i termini, come proposto due mesi fa al grande incontro diplomatico di Vienna, è comunque difficile che a Haftar siano riaperti i rubinetti. Il generale filo-egiziano ha un ruolo controverso: è praticamente riuscito a liberare la Cirenaica dalla forze dello Stato islamico, ma sta contemporaneamente combattendo una battaglia contro fazioni che sono vicine politicamente ai misuratini che sostengono il Governo di accordo nazionale che l’Onu ha insediato a Tripoli. Su di lui pesa l’accusa di essere un decision-making sullo stallo politico libico, in quanto gioca un ruolo centrale nel bloccare la votazione con cui il parlamento di Tobruk dovrebbe avallare il processo politico del Gna e benedire definitivamente l’autorità del premier designato Fayez Serraj; secondo il media russo Izvestia anche Agila Saleh, il presidente del parlamento di Tobruk e spalla politica di Haftar, presto andrà a Mosca. Allo stesso tempo, nonostante ufficialmente la linea di quasi tutti i Paesi è quella di appoggiare il programma messo in atto dall’Onu col Gna, si susseguono le indiscrezioni stampa su possibili appoggi ricevuti dagli uomini di Haftar in una base vicino a Bengasi da parte di piccoli team di forze speciali occidentali. Ed è lui, non Serraj, ad essere accolto dai notabili del Cremlino.

IL RIFERIMENTO LOCALE

I contatti russi con Haftar potrebbero seguire una strategia a lungo raggio, trasformando il generale nel referente di Mosca in Libia, secondo alcuni osservatori. Haftar ha ricevuto addestramento militare in Russia in epoca sovietica, conosce la lingua, e per questo, per i suoi rapporti con l’Egitto dei militari, per la sua influenza in un’area forte e ricca di risorse del Paese, è un candidato ideale per il ruolo; Mosca ha un feeling particolare con i militari diventati politici, fa notare Al Monitor, l’esempio è il rapporto con il Cairo sviluppatosi attraverso il presidente/generale Abdel Fattah al Sisi. Il progetto russo però si scontra con la visione controversa attorno al generalissimo: sebbene da diverso tempo si è cominciato a parlare di una sua possibile riqualificazione, anche nell’ottica di un’inclusione nel futuro governo, Haftar deve scendere a compromessi; poi non sarà comunque semplice farlo digerire a quella parte occidentale della Libia che nutre per lui sentimenti che vanno dal rancore all’odio.

MOSCA SULLA LIBIA FA SUL SERIO

La Russia potrebbe cercare in Libia non semplicemente spazi per allargare il proprio mercato degli armamenti, ma anche per avere un ruolo centrale nella fase di ricostruzione che seguirà la stabilizzazione. Non va dimenticato che la guerra civile ha martoriato il paese per anni, dunque gli interessi in vari settori, dall’infrastrutturale all’edilizio, sono grossi, e il fondo statale libico, la Lia, ha ampie disponibilità da scongelare. Poi c’è da mettere mano al mondo petrolifero: negli ultimi cinque anni le produzioni e le esportazioni hanno subito una contrazione di circa un quinto, e si tratta di volumi da recuperare anche attraverso la sistemazione della rete infrastrutturale. Ma soprattutto, c’è la possibilità di ricavarsi un ruolo internazionale su una crisi che coinvolge un’intera regione, e che si affianca alla questione globale della lotta al terrorismo. Un piatto ghiotto: non a caso, nella riorganizzazione del ministero degli Esteri, a capo del dossier-Libia è stato messo addirittura il viceministro Mikhail Bogdanov, una delle figure più esperte al mondo sull’area MENA.

ATTORE PRINCIPALE

La Russia con il suo ruolo forte nella crisi siriana ha investito, tra polemiche e spese, per prendersi un posto di rilievo nel Medio Oriente, e lo stesso potrebbe fare in Libia, altra enorme crisi a riflesso globale. Contribuire alla soluzione di queste due grosse questioni mondiali, non importa se con metodi non troppo ortodossi come il dialogo con Haftar, darebbe alla Russia un peso internazionale di primo livello, ed è questo ruolo da attore principale che Putin vuole più di tutto; poi seguono gli interessi economici. Immaginarsi, per esempio, se Mosca dovesse dare garanzie tali al generale da spostarne la posizione sul voto del parlamento di Tobruk a favore del Gna.

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