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La lama che ha trafitto padre Jacques è alla gola di ciascuno di noi

Di Gianni Riotta

Sono a Philadelphia, inviato dagli amici de La Stampa alla Convenzione democratica che nomina Hillary Clinton prima donna della storia, in corsa per la Casa Bianca per un grande partito. Sono reduce da una altrettanto storica Convenzione, a Cleveland, dove i repubblicani eredi di Lincoln hanno scelto un populista, Trump, per la prima volta. Eppure, pur preso da questi tumultuosi eventi che presto animeranno il mio paese adottivo e il mondo, non riesco a staccare la testa dall’assassinio di padre Jacques Hamel, 86 anni, sgozzato da due jihadisti giovanissimi, nelle foto in cui rivendicano la loro milizia islamista sembrano addirittura bambini.

La vicenda, nella sua ferocia crudele a Saint-Étienne-du-Rouvray, vicino Rouen, in Francia, è uno specchio, ciascuno di noi ci vede quel che vuole, se stesso, quel che pensa degli altri. I jihadisti vedono una leva, un bando per nuove reclute, e Isis, che sul campo tra Siria e Iraq è alla corde, proclama subito i due caduti “martiri islamisti”. Chi vuole escludere emigrati e musulmani, Trump e Le Pen per esempio, ha invece un manifesto perfetto per il proprio odio. Chi, per anni, ha negato ci fosse una guerra del fondamentalismo, accampando ogni volta scuse goffe (Palestina, sfruttamento, capitalismo…) prova in ritardo a ravvedersi, si invocano quelle marce dei musulmani che non si organizzano poi mai, e quando vanno in piazza sono solo sfilata di pochi amici perbene che sanno benissimo, senza poterlo dire, quale sia il vero dramma della loro comunità.

La polizia era a conoscenza del fatto che uno dei due assassini aveva provato ad arruolarsi in Siria, lo hanno perfino collegato a un bracciale elettronico, ma nelle quattro ore di permesso in libertà nessuno ha pensato di seguirlo sul monitor chiedendosi, come mai va in parrocchia a Saint-Étienne-du-Rouvray? Guardo allora il volto di padre Jacques, ordinato prete nel 1958, e mi chiedo come vivesse la sua vecchiaia, doveva essere in pensione da dieci anni e continuava ad aiutare i parrocchiani. La suora che era con lui quando i terroristi hanno aggredito i pochi fedeli alla messa, in Europa nessuno più va in chiesa, racconta che padre Jacques ha rifiutato di inginocchiarsi prima che gli tagliassero la gola, e in qualche sito diventa già un combattente, uno dei frati che, alla vigilia della battaglia di Lepanto, pregavano con i marinai della flotta di Don Giovanni d’Austria perché battessero i Turchi.

Per pochi giorni, finché nuovi orrori e nuovi titoli del grand guignol che chiamiamo Storia 2016 non cambieranno il turbolento web e i sonnolenti media, il gioco continuerà, per sentimento, per dolore, propaganda, politica, religione, buona o cattiva fede.
Qui vorrei invece riflettere solo su padre Jacques, su un uomo di 86 anni che dice messa, come fa da mezzo secolo, in una parrocchia che da ragazzo vedeva colma ed è ora deserta, che e’ passato dal 1968, la liberazione sessuale, gli scandali nella Chiesa, la Francia “prima figlia della cristianità” innamorato del nichilismo postmoderno dei Derrida. Avrà capito che i due ragazzi non volevano pregare, avrà magari pensato a un furto, ma avrà intuito che, proprio come Saint Étienne, il primo martire dei cristiani, sarebbe caduto per la sua fede?

E’ una scena da romanzo di Simenon, la chiesa vuota, la morte, i coltelli, la polizia che arriva tardi. Tanti ricordano, giustamente, che Isis vuole attrarci in una guerra aperta, e che non dobbiamo abboccare. Il Papa, come il presidente Obama, si sgola “non è una guerra di religione”, ci sono interessi, ed è vero ce ne sono tanti. Ma è anche una guerra di religione, come insegnano il professore di Princeton Bernard Haykel e il saggista di The Atlantic Graeme Wood. Isis crede nell’Apocalisse ventura, e per l’Apocalisse cadono i suoi combattenti. Lo so, noi stentiamo a parlare di Apocalisse, comprendiamo meno un foglio Excel, due slide colorate, ma rassegnatevi: o accettare che nel XXI secolo, come nell’Anno Mille o alla Caduta di Costantinopoli, c’è ci muore per evocare la fine del mondo o non capirete Isis. Rodolfo il Glabro degli annali della fine di Bisanzio vi serve piu’ del miglior editoriale. Punto.

Ogni guerra di religione, dall’antichità ai nostri giorni, è mix di fede e interessi: capisco bene perché il Papa e Obama non vogliano parlare di jihad, per non appiattire milioni di musulmani sui terroristi. Giusto. Il capo della Chiesa e il presidente Usa non possono forse (forse e spero Hillary cambi tono) far altro, ma per capire cosa sta accadendo, per capire cosa ha visto padre Jacques prima di morire, dobbiamo sapere invece che è “una guerra di religione”.

Isis, e chiunque militi nel terrorismo fondamentalista islamista, non crede nella modernità, ha deciso di non integrarsi, in Europa, anche America o Medio Oriente, nel mondo contemporaneo. Vuole vivere, o morire, nel Califfato, mettendo alla gogna gli infedeli, cristiani, ebrei, buddisti, hindu, musulmani sciiti, azeri…

Padre Jacques sarà ora tirato da qua e da la’, insultato dal web jihadista e riverito da noi. Ma io penso ai suoi occhi, che le scarne foto ci mostrano tristi, malinconici, “viveva solo, parlava poco” dicono i parrocchiani, “partecipava ai funerali in cui, col morto, c’era magari solo un lontano parente”, come nella canzone Eleanor Rigby, ricordate? Pensava alle stagioni che aveva davanti, poche ormai, temeva, come tutti, malattie e morte? Non immaginava certo di condividere la sorte di quei santi antichi, che aveva visto nei santini dei cattolici, nei quadri delle chiese, morire al Colosseo per la fede, ritratti poi con la palma del martirio.

Mi fa paura la nostra incapacità di vedere il mondo complesso e la vita di un uomo solo. Non capiamo la strategia complicata e non vediamo padre Jacques. Come i due killer jihadisti credevano che la loro verità valesse vita o morte, così tanti di noi credono che la “propria” verità valga in assoluto, pronti a vedere il male nei musulmani gli immigrati gli americani gli ebrei i capitalisti il mercato i militari, in un solo gruppo, senza faticare a capire che per battere il terrorismo servono strategie lunghe faticose, di guerra e di pace, di fede e laiche, economiche e diplomatiche.

Indro Montanelli, il grande giornalista ed amico ferito dalle Br, raccontava di essersi salvato perché, vedendosi affrontato dai terroristi, si trattenne con le mani alla cancellata dei Giardini di Milano dove ora sorge una, orrenda, statua in suo ricordo. “Le cavolate – diceva Indro – che ci insegnavano da ragazzi, morire in piedi, mi han salvato, ho preso i colpi solo alle gambe”. Un altro mio amico, Emilio Rossi, il più grande dei miei predecessori come direttori del Tg 1, non camminò mai più bene, ferito alle gambe da uno dei più odiosi terroristi Br. Il suo funerale fu celebrato da un suo grande amico, Padre Lombardi, il portavoce del Papa, che oggi ricorda commosso padre Jacques.

Cosa avrà pensato cadendo? Perché non si è inginocchiato? Ha sofferto? Gli islamisti sgozzano per fare paura, per infliggere dolore, per mostrarsi guerrieri senza paura. So che alla fine la ragione e la tolleranza, di cui Voltaire scrisse “l’Elogio” pochi anni prima che la Rivoluzione Francese travolgesse gli ideali illuministi nel Terrore, prevarranno. So che la capacità umana di coesistere contro l’istinto feroce della distruzione prevarrà. So che, per dirla in modo semplice e oggi poco popolare, la luce prevale sul buio (che gli uomini, secondo San Giovanni, amano) e il bene sul male. Ma non ci sono strade perfette, senza ombre, ogni “bene” è screziato dal male, imperfetto.

Isis vuole l’Apocalisse, la catarsi, in cui bruciare ogni “Male”. Noi dobbiamo accettare il mondo imperfetto e la nostra, imperfetta, ragione e società che, per ogni suo male è la migliore e la più giusta che la storia abbia conosciuto. Siamo disposti a sacrificarci per liberta’ giustizia tolleranza religiosa diritti civili e umani democrazia? Non in astratto, baccagliando sul web con un tizio che passa, o ascoltando la rissa dei polli in tv. No, davvero, come padre Jacques, nei secondi davanti alla lama puntata alla gola, con il killer che ci spinge a inginocchiarci. Siamo capaci di restare in piedi per quei pochi, liberi, secondi da europei, cristiani, uomini liberi, prima di cadere e affrontare l’Eterno, il buio dei non credenti, la luce dei credenti? Non sono domande che amiamo farci alla vigilia del Ferragosto lo so, lo capisco e io rilutto per primo a farmele. Ma sento che la lama che ha trafitto padre Jacques è alla gola di ciascuno di noi. Non vederla non l’allontana, la rende solo più micidiale.

Mi scuso per la lunghezza, davvero.

(Post pubblicato sul profilo Facebook di Gianni Riotta)

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