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Ecco le accuse dell’Onu contro Assad per l’uso delle armi chimiche

Martedì 30 agosto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rivelerà al pubblico i risultati della terza relazione dell’indagine comune Opcw-Onu sull’uso di armi chimiche in Siria, che è stata trasmessa al CdS dal segretario generale Ban Ki Moon la scorsa settimana. Momentaneamente girano un paio di pagine di abstract, che però già chiariscono un punto importante: per la prima volta l’Organization for the Prohibition of Chemical Weapons (Opcw) ha indicato i colpevoli di attacchi chimici in almeno tre casi dei nove presi in esame (avvenuti tra il 2014 e il 2015 in sette diverse località); è importante perché finora i tecnici investigatori si erano limitati al “sì, in Siria sono state usate armi chimiche”.

I BARILI AL CLORO

I risultati non aggiungono grosse novità, in realtà: in due casi è stata responsabilità del regime di Bashar el Assad, in un altro dello Stato islamico. L’organismo di investigazione congiunto era stato costituito nell’agosto del 2015, con il mandato di un anno, e aveva il compito di individuare “persone, enti, gruppi, o governi coinvolti nell’uso di sostanze chimiche come armi, tra cui il cloro o qualsiasi altra sostanza chimica tossica”: l’Opcw fa sapere che dal dicembre dello scorso anno ad oggi ha ricevuto altre 130 segnalazioni di possibili violazioni delle regole sulla guerra, e siccome elementi tossici riconducibili all’uso di armamenti “arricchiti” sono stati trovati in un altro centinaio di siti, è facile che ci sarà un’estensione del mandato di indagine. L’Opcw è la stessa organizzazione che si è occupata di seguire lo smaltimento delle armi chimiche siriane, imposto come risoluzione punitiva a Damasco, sotto proposta russa avallata da Stati Uniti e Onu, a seguito del grande attacco chimico dell’agosto 2013 in due sobborghi della capitale occupati dai ribelli. Questa vicenda non è tra quelle su cui è stato definito il colpevole dal report di questi giorni, che invece si è occupato di due azioni minori, entrambe avvenute attraverso l’uso di barrel bomb al cloro (per quel che riguarda le colpe dell’IS, si tratta invece di un colpo di mortaio all’iprite, il gas mostarda, sparato contro i ribelli al nord siriano). I barili bomba al cloro sono ormai una costante nella guerra governativa alle opposizioni combattenti: sono armi improvvisate, non convenzionali, costituite da barili riempiti di materiale esplosivo (o anche bombole del gas), arricchiti di detriti metallici per renderli ancora più letali, sganciati senza nessuna forma di selezione del bersaglio da parte degli elicotteri del regime. Il cloro è una presenza di contorno, che più che altro ha valore propagandistico: non è una componente chimico-militare, visto gli ampi usi civili (per tale ragione è ampiamente disponibile), ma lo diventa, uscendo dalle convenzioni del diritto internazionale, se associata a un’arma. Non ha effetti letali, se non in casi in cui l’esalazione colpisce fisici già debilitati, causa grosse difficoltà respiratorie, però è un modo con cui il regime vuole marcare la propria superiorità sugli avversari e garantire alla base che è ancora forte: queste considerazioni risalgono a un paio di anni fa, quando cominciò ad apparire l’uso di questa tecnica che Damasco usava quasi come rassicurazione per i consensi sul fatto che la Comunità internazionale non aveva sopraffatto il governo con la risoluzione che gli imponeva lo smantellamento dell’arsenale chimico, le armi peggiori in mano al regime. “Non abbiamo più il sarin – quello usato nell’agosto del 2013, quando morirono gassati oltre mille civili e per cui ancora Opcw e Onu non hanno definito le responsabilità (anche se è noto a tutto che era un’arma di cui soltanto il regime poteva disporre) –, ma ci muoviamo comunque a piacimento, violando gli accordi che avevamo firmato perché noi siamo più forti delle decisioni dell’Onu”: può suonare così il messaggio lanciato da Assad quando sgancia i barili al cloro.

LA DIPLOMAZIA SI MUOVE

L’ambasciatrice americana all’Onu, Samantha Power, ha esortato il Consiglio di sicurezza a muoversi verso “un’azione forte e rapida” contro i responsabili. Il ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault ha detto domenica alla Reuters: “Non possiamo ignorare questo report” e dunque “non vedo alcuna ragione o argomenti, per non condannare l’uso di armi chimiche”. In un’intervista al Monde, il capo della diplomazia di Parigi ha anche detto che il fatto che adesso ci sia nero su bianco il colpevole potrebbe indurre la Russia a votare una risoluzione di condanna contro Damasco. Il tema centrale della questione è ovvio che sia il governo siriano, perché sulle atrocità dello Stato islamico, con o senza armi chimiche, tutti sono d’accordo. Invece sulla condanna ad Assad e al regime siriano ci sono problemi: Mosca, insieme a Pechino, molto probabilmente alzerà il veto su un’eventuale risoluzione sanzionatoria (sono due stati membri permanenti del CdS, e dunque hanno diritto di bloccare ogni decisione che deve essere collegiale). Ma c’è di più: Russia e Stati Uniti stanno trattando i termini di azioni militari congiunte in Siria (zona di Aleppo, contro l’ex al Nusra e gruppi estremisti, altre aree contro l’IS), e questo passaggio potrebbe essere l’inizio di un percorso più collaborativo anche ai negoziati generali; un incontro tra i rispettivi ministri degli Esteri c’è stato anche tre giorni fa a Ginevra. Un percorso che forse potrebbe includere addirittura Assad in una fase di transizione politica del potere: possibilità che al momento, per pragmatica, non dispiace nemmeno alla Turchia, grande nemico regionale di Damasco, che adesso è più focalizzata contro i curdi e sul riaprire i canali di interesse con Mosca. Ora la questione è: come si può pensare a un processo di mediazione che includa un dittatore su cui pesa la condanna per l’uso di armi chimiche contro i civili?

IL PRESSING FRANCESE

Il paese più attivo nel pressing per condannare Assad è la Francia: il rappresentante all’Onu, Alexis Lamek, non ha aspettato un minuto e sulla base dei primi risultati diffusi ha chiesto un’azione del CdS contro la Siria (la Francia è un altro stato membro permanente del CdS). Per Parigi le armi chimiche siriane hanno un valore di dignità, quasi una ferita psicologica: quando nel 2013 ci fu il bombardamento nei quartieri di Damasco, Washington, che aveva considerato l’uso di strumenti di guerra chimica come una delle red lines insuperabili per Assad, aveva minacciato un’azione militare contro il regime, ricevendo l’immediato ok dei francesi per il supporto operativo. Poi la Casa Bianca tornò sulle propri decisioni nel giro di poche ore, mollò l’azione congiunta con l’alleato francese e sposò la mediazione proposta dai russi, avvisando Parigi soltanto dopo aver chiuso l’accordo con Mosca. Partono da lì molti dei motivi di attrito attuali tra Francia e Stati Uniti: ora i primi vogliono rifarsi e rinfacciare di aver avuto ragione a non fidarsi di russi e siriani, i secondi cercano di far voce forte ma probabilmente pensano più a come gestire una via di mezzo diplomatica.

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