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Surreale Gary Johnson su Aleppo

Il candidato del partito libertario americano alle presidenziali, Gary Johson, ha fatto una gaffe che probabilmente gli toglierà diversi punti nella corsa elettorale. Alla domanda di Mike Barnicle, giornalista televisivo ospite fisso di vari programmi sulla MSNBC, “che cosa faresti ad Aleppo” ha risposto “e cos’è Aleppo?”. Barnicle, stupito, ha chiesto “stai scherzando?” e Johnson ha risposto “no!”. A quel punto il giornalista ha dovuto spiegare che Aleppo è la città siriana “upsetter“, ossia più scossa, dai combattimenti della guerra civile in questo momento e centro delle crisi dei rifugiati. “Ok, capito” ha detto poi Johnson, specificando che “per quanto riguarda la Siria, penso che è un casino” e che gli Stati Uniti dovrebbero collaborare di più con la Russia.

La situazione ad Aleppo, la seconda città più popolosa della Siria è uno dei punti di svolta del conflitto: in questi giorni Mosca e Washington stanno cercando di arrivare a un’intesa per un cessate il fuoco – in questi giorni è programmato un nuovo incontro a Ginevra tra i due ministri degli Esteri –, con lo stop dei martellanti bombardamenti dell’aviazione del regime (e di quella russa) per permettere l’apertura di corridoi umanitari con i quali fornire assistenza alle migliaia di civili che vivono assediate da mesi, in una condizione al limite della catastrofe.

Per traslato: attualmente Aleppo non è solo il fulcro della guerra civile siriana, ma è il punto di snodo di molte dinamiche regionali e dunque globali. Se i governativi dovessero conquistarla, il regime sarebbe più forte e in grado di negoziare da una posizione di vantaggio e questo avrebbe ripercussioni sui futuri rapporti tra Siria, Iran, potenze del Golfo, Europa, Stati Uniti, Turchia. Viceversa, se alcune aree dovessero restare sotto il controllo dei ribelli, la partita si potrebbe chiudere in parità e potrebbe intavolarsi un discorso simile a quello presentato mercoledì a Londra dal gruppo ombrello delle opposizioni siriane, disposte a sei mesi di transizioni con Bashar el Assad al suo posto, poi un governo di unità e poi nuove elezioni sotto il controllo dell’Onu – e anche in questo caso, potrebbero cambiare gli equilibri tra i Paesi terzi interessati nel conflitto.

Sempre mercoledì Aleppo è stata in testa alle cronache perché sono state diffuse immagini che riprendono civili colpiti da armi chimiche, probabilmente barili bomba al cloro sganciati dagli elicotteri del regime.

Per chi vuole candidarsi a presidente degli Stati Uniti, ossia mettersi alla guida della nazione che fa da traino alle dinamiche globali, chiedere spiegazioni su cosa sia Aleppo è surreale: sempre non più tardi di mercoledì il secondo più alto in grado nel partito/milizia libanese Hezbollah, Naim Qassem, dichiarava che non ci sarà nessuna soluzione al conflitto prima delle elezioni americane; evidentemente anche il gruppo combattente che dà sostegno a Damasco valuta Barack Obama “un’anatra zoppa” non in grado di prendere impegni ad ampio termine. Nello stesso giorno però, Harakat Hezbollah al Nujaba, milizia irachena che condivide con il movimento libanese i fondamenti ideologici e le linee di finanziamento da Teheran, inviava al fronte di Aleppo altri mille uomini a dare sostegno al regime contro i ribelli.

Johnson tutto sommato stava andando piuttosto bene nella sua campagna. Per la prima volta i libertari, partito che ha visioni più a destra dei conservatori sui temi economici e più a sinistra dei democratici su quelli etici, professando il disimpegno massimo dello stato dagli affari individuali, avevano nel sessantatreenne ex governatore del New Mexico un candidato credibile, smart, affascinante anche per certi versi; è il primo candidato a non essere sposato dopo un oltre un secolo (è divorziato), è uno triatleta, scarpe da ginnastica anche nelle occasioni eleganti, fuma regolarmente mariujana (i libertari sono così: sostengono insieme la legalizzazione della cannabis e la possibilità di possedere quante più armi si voglia), scala le montagne.

È insomma una possibilità per il suo partito di superare ancora una volta l’1 per cento, il massimo risultato raggiunto nel 1980: in questo momento sta intorno al 10 per cento in quasi tutti i sondaggi più affidabili. Johnson più che altro è conseguenza della scarsa popolarità dei due candidati principali. Non ha concrete possibilità di accedere alla Casa bianca, ma il suo bagaglio elettorale può essere decisivo in quegli stati in bilico dove anche una minima percentuale può spostare la vittoria dei Grandi Elettori – ossia coloro che poi assegnano il voto finale al presidente – sottraendoli al candidato repubblicano Donald Trump e alla democratica Hillary Clinton. La risposta sulla città siriana in America è stata definita “stunning”, sbalorditiva: Bernicle, columnist veterano, ha commentato di non aver capito bene che cosa stava succedendo. “Sono incredibilmente frustrato” ha detto Johnson successivamente. La gaffe è diventata argomento centrale nei commenti politici odierni (“Una sorprendente mancanza di conoscenza politica estera” ha scritto il New York Times) in America, anche a Clinton è stata fatta una domanda a proposito.

“#LetGaryDebate” dice lo slogan-hashtag per spingerlo fino a raggiungere il 15 per cento in almeno cinque stati per poter essere assurto ai dibattiti televisivi autunnali, ma la sensazione è che l’uscita su Aleppo possa essere un brutto colpo alla sua credibilità.

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