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Cosa combina la Russia in Siria e cosa faranno gli Stati Uniti

Le associazioni umanitarie internazionali denunciano che nell’ultima settimana ad Aleppo sono stati uccisi decine e decine di bambini: la seconda città più importante della Siria è al centro di una fitta serie di bombardamenti governativi (leggasi, anche russi) che stanno colpendo prevalentemente obiettivi civili — altrove, nel paese in guerra, non va meglio: secondo le stime del Guardian l’80 per cento degli aiuti umanitari inviati dall’Onu questo mese sono stati bloccati o deviati nelle zone controllate dal regime. Gli Stati Uniti hanno minacciato di far saltare i colloqui di pace se Mosca non ferma la furia di Damasco, e intanto riprende spazio l’idea di inviare forniture di armi potenti ai ribelli anti-Assad.

RENDERE LA VITA INVIVIBILE

C’è una porzione cittadina piuttosto estesa che è ancora sotto il controllo dei ribelli, e Damasco vuole riprenderne il controllo: sarebbe un game changer sulle sorti del conflitto. Per questo il governo, con gli alleati russi e iraniani, non ha intenzione in questo momento di aumentare la pressione: manca l’acqua, manca il cibo, manca ogni sorta di genere di prima necessità. Un convoglio umanitario che doveva portare aiuti nella zona è stato bombardato facendo naufragare la debole tregua decisa da Stati Uniti e Russia a inizio settembre. “Una catastrofe umanitaria”, così giovedì Stephen O’Brien, incaricato Onu per gli affari umanitari, ha definito la situazione. L’Unicef dice che non c’è più modo di curare i feriti, pare che i medici abbiano iniziato ad amputare preventivamente per evitare il diffondersi di infezioni che potrebbero aggravarsi in maniera letale, vista l’assenza di medicinali curativi: online sono diffuse continuamente le immagini di persone sanguinanti curate sui pavimenti dei centri di soccorso; si dice che le operazioni chirurgiche vengano effettuate senza anestesia. Sono stati bersagliati anche gli edifici degli White Helmets, la protezione civile siriana, che aiuta i ribelli (il presidente Bashar el Assad, nella sua continua propaganda revisionista sulla storia del conflitto, ha dichiarato qualche giorno fa ad Al Jazeera che c’è da capire se il compito di questi volontari sia un bene “per la Siria”, alludendo al mantra “i ribelli sono tutti terroristi” e dunque pure chi li aiuta). I racconti di chi vive nella zona sono agghiaccianti, il regime ha intenzione di ripetere ad Aleppo la strategia di affamare e sfinire la popolazione, colpire anche chi offre soccorso, far vivere ogni minuto con l’incubo di finire sotto a uno dei barile bomba sganciati dagli elicotteri governativi, o sotto una bunker-buster (le bombe che penetrano fino ai bunker sotterranei scavando enormi crateri con esplosioni devastanti), oppure vittima dei missili termobarici. Questi due ultimi dispositivi sono russi, usati dai russi, e per questo la scorsa settimana si sono alzate  le denunce di crimini di guerra verso Mosca. È indubbio che l’offensiva del governo siriano sia sostenuta dalla Russia; così come dagli altri grandi partner di Damasco nel conflitto siriano, gli iraniani. Quattro giorni fa un portavoce dell’esercito di Teheran ha dichiarato che sono proprio i Pasdaran a fornire al comando russo i dati sugli obiettivi a terra da colpire, e questo è motivo di imbarazzo per Mosca, che si trova invischiata in quelle accuse di violazioni dei diritti umani; mercoledì le bombe sono cadute su una panetteria mentre la gente era in fila per una razione settimanale (chi ha fornito le coordinate, gli iraniani?). E intanto sembra anche che i governativi stiano ammassando truppe, tra esercito e milizie sciite alleate, nei pressi dei Aleppo per sferrare un’offensiva di terra e la Reuters ha informazioni sulla volontà russa di spedire altri aerei presso le basi siriane.

I COLLOQUI POTREBBERO SALTARE

Ci sono in ballo le vite di oltre duecentomila civili (anche se con la rituale alterazione della realtà il governo siriano parla di non più di 40 mila), su di loro pesa il processo diplomatico a contorno del conflitto, che non è mai arrivato a un livello così critico. I russi hanno offerto 48 ore di pausa per permettere l’arrivo degli aiuti, ma le controparti occidentali (Usa e UE) hanno respinto la proposta come impraticabile – esperienza nel breve passato, le sorti di quel convoglio umanitario bombardato. Il segretario di Stato americano John Kerry ha minacciato di sospendere i colloqui con la Russia, da Mosca hanno replicato che Washington si sta allineando con i terroristi. Background: i russi vorrebbero stringere al più presto sulla creazione di un comando congiunto per colpire il gruppo combattente Fateh al Islam, ex al Nusra (ossia al Qaeda in Siria, ora dissociatosi) e poi secondariamente l’IS, però gli americani chiedono garanzie, ossia vorrebbero che la Russia tornasse indietro agli accordi siglati il 9 settembre, messi poi in operatività dal 12, finiti drammaticamente con il riprendere attuale delle ostilità. Il governo russo non ha preso bene le parole del portavoce di Kerry John Kirby, il quale ha dichiarato che tutta questa violenza potrebbe ritorcersi contro i soldati russi in Siria (sono oltre quattromila, il dato è uscito inavvertitamente dalle statistiche elettorali dopo le votazioni per la Duma di metà settembre), che potrebbero “tornare a casa in sacchi di plastica”, dice Kirby. Un portavoce della Difesa russa ha detto che le parole dell’omologo americano sono “la confessione più franca da parte degli Stati Uniti che l’intera opposizione sta solo apparentemente combattendo una guerra civile in Siria, ma [in realtà] è una US-controlled organizzazione terrorista internazionale”. Dimitri Peskov, il potente addetto stampa del Cremlino, ha parlato di “de facto sostegno dell’attuale amministrazione americana per il terrorismo”. Gli Stati Uniti e l’Unione Europa accusano invece la Russia di usare la scusa dei terrorismo per silurare la diplomazia e favorire la vittoria militare di Assad. “Siamo sul punto di sospendere la discussione, perché è irrazionale in un contesto del tipo, con i bombardamenti in atto, di essere seduto lì cercando di prendere le cose sul serio”, ha detto Kerry da Washington. Nota: sul campo, per ragioni di pragmatica (insieme si è più forti) diversi gruppi che hanno ricevuto il sostegno americano nel corso degli anni hanno formato alleanze operative con l’ex al Nusra: ultimo, in questi giorni, Nour al-Din al- Zinki. Queste derive rappresentano una delle realtà intorno al conflitto siriano: gli Stati uniti, come attori esterni, non riescono ad aver il pieno controllo dei partner sul campo. È solo che una delle richieste, ambiziose, russe come sine qua non per il cessate il fuoco è proprio che Washington si occupi di separare le diverse realtà, terroristi da moderati, e invece il risultato – spinto dalla violenza degli attacchi del regime – è stata una nuova joint venture.

IL PIANO B

Due funzionari americani hanno detto alla Reuters che se dovessero sospendersi i colloqui, non è escluso che la Casa Bianca possa riprendere in mano l’idea spinta da diversi paesi del Golfo (Qatar e Arabia Saudita) di fornire armi antiaeree alle forze dell’opposizioni; l’offensiva russa su Aleppo è stata talmente veloce, dicono altri al Wall Stret Journal, che i decision maker americani sono andati in crisi, e stanno cercando di valutare rapidamente anche opzioni su cui prima erano riluttanti. Il New York Times ha ottenuto invece un audio registrato durante una riunione confidenziale a margine dell’assemblea generale dell’Onu della scorsa settimana: si sente un frustrato Kerry lamentarsi che i suoi sforzi diplomatici non sono mai stati sufficientemente sostenuti da una seria minaccia militare. I suoi interlocutori, in una stanza delle delegazione olandese, sono alcuni rappresentanti siriani delle opposizioni: a un cero punto il capo della diplomazia americana suggerisce come soluzione che le opposizioni partecipino a elezioni da tenere “sotto i più severi standard”, ma che includano Assad, così da batterlo alle urne perché non può garantire che la Casa Bianca dia via libera a ulteriori aiuti ai ribelli. Ma in realtà ci sarebbe già stato un incontro non ufficiale a Riad, per deciderei nuovi armamenti da spedire ai combattenti anti-Assad.

Il gap principale tra governativi e ribelli è proprio la forza aerea, ma è logico pensare che la fornitura di missili Manpads (cioè quelli che possono essere portati a spalla dai combattenti) alle opposizioni e la fine dei negoziati rappresenterebbero un prolungamento dei combattimenti per i prossimi anni — aumentando ancora di più lo stallo attuale, dove nessuno sembra poter vincere. Ora l’America si trova davanti al rischio di dover scegliere il piano B (quello A erano i colloqui) fornendo maggiore potenza di fuoco ai ribelli, con il rischio però che quelle armi finiscano anche tra le mani di organizzazioni estremiste alleate per necessità ai più moderati. I principali sostenitori di questi rifornimenti sono il direttore della CIA John Brennan e il Segretario alla Difesa Ash Carter, e negli anni passati anche l’ex segretario di Stato Hillary Clinton, ora candidata alla presidenza: lo Studio Ovale e parte del Congresso. La Cia ha già attivo nel 2013 un programma con cui nel tempo ha fornito (fornisce?) armi a gruppi di ribelli qualificati: il piano prevede l’aiuto di partner regionali (sauditi, turchi, giordani, che ora potrebbero avere anche l’ok per procedere in modo autonomo) che danno sia il supporto logistico, sia la manodopera diretta contattando i vari referenti dei gruppi d’opposizione. Il programma, che ha un nome altisonante, “Timber Sycamore” (legno di sicomoro, come l’albero biblico), prevede una lunga trafila selettiva che procede a rilento, dopo di ché le fazioni scelte vengono indicate come vetted, ossia certificate: la parola è diventata ormai un epiteto dispregiativo con cui lo Stato islamico dipinge i gruppi ribelli in un altro filone della guerra, quella che i baghdadisti combattono contro le opposizioni per accreditarsi come l’unica alternativa alla furia del regime e dei suoi alleati – inutile dire che in momenti come questi certe istanze rischiano di prendere vento.

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