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Come si muove Renzi sui migranti fra Libia, Obama e Bruxelles

“Wonderful” fu l’istintivo commento di Matteo Renzi quando Barack Obama, nel discorso che il 18 ottobre inaugurò la visita di Stato a Washington, disse in italiano “patti chiari, amicizia lunga”. Forse un secondo dopo Renzi avrà cominciato a preoccuparsi perché la scontata e unanime interpretazione di quelle parole è stata che gli Usa ora si aspettano dall’Italia più di quanto stia facendo. Se il fronte Est e le tensioni con la Russia comporteranno delicati equilibri politico-diplomatici, il fronte Sud (cioè la Libia) rischia di complicarsi ulteriormente per il governo italiano.

Lunedì 24 ottobre comincerà l’addestramento della Guardia costiera libica in base al memorandum of understanding firmato il 23 agosto con la forza europea Eunavfor Med (missione Sophia), il cui mandato per ora è esteso fino al 27 luglio 2017. Nell’annunciarlo, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha aggiunto che in quell’occasione “si tornerà a parlare delle richieste di Tripoli di avere 11 pattugliatori”, richiesta precedente allo scoppio della più recente crisi libica e su cui “c’era disponibilità dell’Italia”, con un’operazione analoga a quella fatta in passato con la Tunisia. Il programma di addestramento definito in agosto coinvolgerà anche Eubam Libia (EU Border Assistance Mission in Libya), Frontex e Onu e sarà suddiviso in tre pacchetti: un addestramento in mare, uno a terra in centri di addestramento dedicati di Paesi membri dell’Ue o in Libia e uno a bordo di unità da pattugliamento della guardia costiera e della Marina libica.

Il ministro ha anche detto che è definitivamente operativo l’ospedale militare italiano allestito a Misurata, con 50 posti letto. Com’è noto, i militari impegnati sono 300: 65 tra medici e infermieri, 135 addetti alla logistica e 100 parà della Folgore per la sicurezza. L’area di Misurata è abbastanza tranquilla perché sotto il controllo delle milizie che stanno combattendo contro l’Isis e l’ospedale è stato bene accolto dai locali.

Quest’ultima missione in Libia, la Ippocrate, ha fatto raggiungere la cifra di 6.850 militari impegnati nel mondo, di cui i 1.400 in Iraq rappresentano il secondo contingente dopo gli Usa nella coalizione anti Isis. A essi si aggiungono i 7.050 dell’operazione Strade sicure in Italia: il totale fa 13.900. Un maggiore impegno in Libia non significherebbe solo un allungare ulteriormente una coperta corta, considerando i turni e le particolari specialità da inviare, quanto soprattutto un grande rischio sia se ci si limitasse all’addestramento delle forze di polizia e delle forze armate sia se fosse davvero necessario un impegno sul campo, i famosi “stivali sul terreno”. Si tratta naturalmente di ipotesi, anche se non del tutto peregrine perché la situazione libica si dimostra sempre più caotica, l’Occidente non può permettersi un’altra Somalia a poche miglia da Lampedusa e il recente tentativo di golpe contro il governo “ufficiale” di Fayez al-Sarraj (nella foto con Matteo Renzi) ne dimostra l’estrema fragilità. Inoltre, il rischio è che la situazione si incancrenisca quando Obama è in uscita e il nuovo presidente statunitense si insedierà solo a gennaio mentre in Italia non si muoverà foglia fino al referendum del 4 dicembre.

Giusto per capire come sono cambiate le condizioni internazionali, all’inizio di luglio del 2014 Panorama pubblicò un’intervista al presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, reduce da incontri di alto livello negli Stati Uniti. Fin da allora gli americani volevano che l’Italia assumesse un ruolo-guida in una missione sotto bandiera Onu (i cui inviati abbiamo visto la fine che hanno fatto) e con Latorre furono condivisi un paio di punti: in Libia la crisi doveva essere gestita a livello internazionale e di comune accordo mentre l’Europa doveva farsi carico dell’immigrazione. Oggi, dopo Abu Bakr al-Baghdadi, gli attentati dell’Isis, qualche guerra qui e lì e centinaia di migliaia di immigrati sbarcati sulle nostre coste, Europa e Stati Uniti non sanno che fare mentre sul fronte dell’immigrazione l’atteggiamento dell’Ue verso l’Italia è scandaloso.

Al 18 ottobre erano arrivati quest’anno 145.381 migranti, più 5,62 per cento rispetto al 2015, ma solo il 20 ottobre ne sono stati salvati altri 1.400 in 13 diverse operazioni al largo della Libia. Sempre il 18 ottobre 164.558 erano nelle strutture di accoglienza. Invece sul fronte dei ricollocamenti in Europa (dati del ministero dell’Interno al 10 ottobre) ne erano stati accolti solo 1.318, altri 367 erano in attesa del transfer e 1.115 erano in attesa di approvazione da parte dello Stato individuato. Numeri irrisori né dal vertice di Bruxelles del 20 ottobre sono arrivate novità: il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha solo ribadito che l’attuale meccanismo non funziona e che una nuova proposta sarà presentata in dicembre dalla presidenza di turno slovacca dell’Ue. Il prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento immigrazione del Viminale, il 19 ottobre davanti al comitato parlamentare Schengen ha detto che solo 2.600 Comuni su circa 8.000 accolgono i migranti, che l’accoglienza costa 100 milioni al mese, cioè 1,2 miliardi l’anno, e che i 650 milioni che il ministero dell’Interno deve ancora pagare sono nella legge di Bilancio. Aspettando un altro, “decisivo”, vertice Ue.

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