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Perché Matteo Renzi mi ricorda sempre più Bettino Craxi

Scusate se interrompo le vostre riflessioni su ciò che accade oltre Atlantico, dove gli americani stanno scegliendo il loro nuovo presidente in un clima sicuramente arroventato, soprattutto per le bizzarrie di quel patito del sesso che per sua fortuna non è italiano, e soprattutto non vive a Milano. Dove Donald Trump avrebbe trovato pane per i suoi denti nella Procura della Repubblica.

E’ naturalmente casuale ogni riferimento alle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, peraltro non ancora concluse, per quanto l’ex presidente del Consiglio risulti assolto in via definitiva nel processo da cui è nata la pendenza in corso per le “olgettine” e gli amici che lo avrebbe aiutato a difendersi. Ad altri invece, disgraziatamente impegnati nella professione giornalistica, è accaduto di essere condannati, o di stare sul punto di esserlo, per avere osato criticare la sentenza di condanna del Cavaliere poi smentita in appello e in Cassazione.

Scusate, dicevo, se vi distraggo dalle elezioni americane. Ma vorrei chiedervi se per voi fa più notizia il ducesco “me ne frego” del presidente lussemburghese e anzianotto della commissione europea Jean Claude Juncker, gridato contro il giovane presidente italiano del Consiglio, Matteo Renzi, per la disputa in corso su come calcolare le spese straordinarie necessarie per ricostruire e/o mettere in sicurezza scuole e abitazioni distrutte, danneggiate o minacciate da un terremoto in corso da agosto nell’Italia centrale, o il compiacimento espresso delle nostre parti per la sortita di Juncker. Che il fronte referendario del no alla riforma costituzionale, guidato dal Fatto Quotidiano, ha strillato in prima pagina per rappresentare Renzi come un uomo ormai solo, “sbugiardato da tutti” e ancor più destinato perciò ad uscire con le ossa rotte dalle urne del 4 dicembre. E questo col consenso scontato del solito capogruppo forzista della Camera Renato Brunetta e dei suoi amici o alleati, che cinque anni fa invece protestarono rumorosamente, gridando anche al colpo di Stato, per l’accoglienza riservata in Italia dalla sinistra ai sorrisetti sarcastici, e alle conseguenti manovre finanziarie e politiche, del presidente francese Nicolas Sarkozy e della cancelliera tedesca Angela Merkel contro Berlusconi. Che fu costretto in autunno alla resa con le dimissioni da presidente del Consiglio. E sostituito dal neo o apposito senatore a vita Mario Monti, l’uomo in loden per il quale si scrisse che impazzissero le mamme tedesche sognandolo come il genero ideale, per quanto non più giovane.

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Vorrei anche chiedervi se per voi fosse più notizia, qualche giorno fa a Firenze, il “fuori fuori” gridato spontaneamente dagli amici di Renzi radunati, come ogni anno, nella ex stazione ferroviaria Leopolda, contro i vari Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza, Miguel Gotor, o il no appena opposto da costoro, ad alcune centinaia di chilometri di distanza, all’accoglimento delle loro proposte di modifica alla legge elettorale della Camera, avanzate per votare sì al referendum sulla riforma costituzionale e passate nell’apposita commissione del partito grazie all’azione svolta, in rappresentanza delle minoranze, da Gianni Cuperlo.

Bersani, offesissimo, ha rimproverato a Renzi di avere aizzato i suoi e comunque di non averli interrotti e redarguiti. E Renzi, per quanto rappresentato ormai come un mezzo delinquente e aspirante dittatore, ha colto la prima occasione offertagli per rimediare, interrompendo nelle ultime ore altri amici che in un incontro tornavano a gridare quel “fuori”. “No, noi non cacciamo nessuno”, ha detto Renzi un po’ perché sa che molti dei suoi critici non vedono l’ora di andarsene da soli per l’abitudine ormai inveterata della sinistra di rovinarsi con le scissioni, e un po’ per avere preso alla lettera Bersani. Il quale ha avvertito che lui, comunque andranno le cose al referendum, rimarrà nella sua “ditta”, per quanto snaturata dal suo successore, per cui Renzi, se vorrà davvero liberarsene, dovrà chiedere aiuto alla ministra della Difesa Roberta Pinotti. La quale non potrà darglielo, anche se volesse, perché tutti i reparti speciali a disposizione sono impegnati altrove, soprattutto all’estero, ma anche in Italia, dove le emergenze notoriamente non mancano.

Qui ormai sembra che si sia perso in politica pure il senso del ridicolo. E infatti sulle prime pagine dei giornali gli editori e i direttori possono anche risparmiarsi i costosissimi editorialisti, professori e non, perché bastano e avanzano i vignettisti per dare ai lettori l’idea di ciò che accade.

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So che quello che sto per scrivere potrebbe dare fastidio, molto fastidio a Renzi, conoscendone l’avversione più volte dichiarata pubblicamente per l’uomo al quale sto per paragonarlo, e non per la prima volta. Ma lo scrivo, o lo riscrivo lo stesso, sperando che l’ex sindaco di Firenze mi legga o che qualche volenteroso glielo faccia leggere o gliene riferisca.

Sempre di più lui assomiglia, nello scontro ormai sistematico con la vecchia sinistra, legata ad un mondo che semplicemente non c’è più, e a divisioni di classi spazzate via dalla storia, a Bettino Craxi. Di cui naturalmente gli auguro di non fare la stessa fine, col solito combinato disposto –si dice così- fra l’azione degli avversari politici e quella dei magistrati, fra i quali d’altronde non mi pare che Renzi abbia molte simpatie, per quanto vi faccia spesso ricorso per lucidare il suo governo. E’ sintomatica la grande visibilità di Raffaele Cantone: il giovane magistrato in aspettativa e presidente dell’Autorità Anticorruzione, cui tutti si rivolgono come al più potente assicuratore d’Italia, anzi del mondo.

Quel “fuori fuori” alla Leopolda mi ha riportato alla mente il congresso socialista  del 1984 a Verona, dove l’ospite Enrico Berlinguer, il segretario comunista che aveva già indicato in Craxi un “pericolo per la democrazia” avendo tagliato qualche punto della scala mobile dei salari per proteggerli dall’inflazione che galoppava a due cifre, fu salutato coi fischi di una parte della platea.

Berlinguer ci rimase male, come questa volta a distanza Bersani, che considera i renziani un po’ un corpo estraneo, al pari del Psi del garofano nella sinistra per l’allora segretario del Pci. Ma Craxi non aspettò il giorno dopo, nello stesso congresso o altrove, per correggersi e correggere. No, disse subito, dalla tribuna del congresso, che a quei fischi non si era unito solo perché non sapeva fischiare. E gli elettori, anche quelli comunisti, diedero poi torto a Berlinguer bocciandogli il referendum promosso contro i tagli alla scala mobile: la stessa cosa su cui ora Renzi, nei riguardi di D’Alema, Bersani e compagni, spera col referendum del 4 dicembre.

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