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Che cosa dice Massimo D’Alema di Matteo Renzi e Bettino Craxi?

Era nell’aria da qualche tempo, in particolare da quando i figli si sono schierati sul fronte referendario del No e contestano gli amici anche più cari e sinceri che osano scorgere in Matteo Renzi, conduttore del fronte del Sì, qualcosa almeno del loro papà. Ma alla fine è entrato di prepotenza nella parte finale della campagna referendaria anche il fantasma di Bettino Craxi, trascinatovi con grande imprudenza, a mio modestissimo avviso, da Massimo D’Alema. Che non ha certo bisogno di presentazione ed è saldamente schierato sul fronte del No, insieme a vecchi e nuovi compagni e amici, fra i quali Silvio Berlusconi, cui ha concesso, in uno slancio di generosità politica e umana, anche la qualifica di “politico di razza”, prontamente ricambiato dall’interessato. Il quale gli ha riconosciuto di essere “uno dei più capaci e preparati” fra i “professionisti della politica”. Così l’uomo di Arcore chiama con spirito non certamente positivo coloro che in vita loro hanno fatto sempre e solo politica, come Renzi, senza essersi prima distinti in alcuna professione o avventura imprenditoriale, fra gli uomini che Berlusconi chiama “del fare”, contrapposti a quelli “del dire”.

Impegnato a parlare nel palazzo della provincia di Campobasso davanti a 300 persone, di cui 100 in piedi, quindi in un ambiente ben scelto per risultare affollato, D’Alema qualche giorno fa ha profetizzato per Renzi una sonora sconfitta garantendogli però un aiuto dai soliti “cani” che lo azzanneranno nella caduta. Ed ha citato come precedente della sua generosità proprio la vicenda di Craxi, per il quale si è compiaciuto di essersi speso, purtroppo inutilmente, in un tentativo, anzi in una “trattativa umanitaria”, si deve presumere con la Procura della Repubblica di Milano, perché il leader socialista, ormai prossimo alla morte per le sue malattie potesse tornare libero in Italia dal suo rifugio tunisino di Hammamet e farsi somministrare cure migliori, che avrebbero potuto allungargli la vita, se non guarirlo.

Tanta generosità, per quanto inutile, ripeto, per la indisponibilità dei magistrati milanesi a non fare piantonare come un detenuto l’infermo davanti alla stanza o alla corsia d’ospedale, è stata spiegata da D’Alema anche sul piano politico, considerando Craxi simile a Renzi per “piglio di potere” e “modo di gestire l’autorità” ma pur sempre “di sinistra”, abituato a frequentare il palestinese Arafat piuttosto che l’israeliano Netanyahu, oggi in ottimi rapporti col presidente del Consiglio italiano. Che anche per questo si è trovato dipinto da D’Alema come “l’uomo del Mossad”, il noto e potentissimo servizio segreto d’Israele, in un articolo di parecchi mesi fa di Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera, scritto riferendo di parole che lo stesso D’Alema avrebbe pronunciato in una cena con amici.

A noi di Formiche.net non ci sembrò una rivelazione da applausi, pur con tutto il rispetto per Israele e il suo sacrosanto diritto di vivere, contestato invece da vicini e lontani di cui il meno che si possa dire è che sono odiosi razzisti, e chiedemmo insistente e inutilmente una smentita degna di questo nome. Se poi c’è stata ed è sfuggita alla nostra attenzione, chiediamo scusa all’ex presidente del Consiglio italiano.

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La rivelazione di D’Alema sull’aiuto inutilmente prestato a Craxi nelle ultime settimane di vita corrisponderà sicuramente al vero, confermata peraltro da testimonianze e racconti, diretti e indiretti, di miei carissimi amici come Peppino Caldarola, Piero Sansonetti e Paola Sacchi, allora all’Unità, spintasi a chiedere per Craxi la grazia presidenziale.

Mi ha inoltre consolato leggere, come amico di Craxi e suo elettore da quando assunse la guida del Psi, strappandolo alla paura di Francesco De Martino di collaborare al governo con la Dc senza l’appoggio dei comunisti, che peraltro non avevano alcuna voglia di concederlo, e giustamente dal loro punto di vista; mi ha consolato di leggere, dicevo, un amico di D’Alema come Caldarola esprimere a Paola Sacchi “dolore” politico, oltre che umano, per l’epilogo drammatico della vicenda craxiana “anche per i riflessi negativi -ha detto- nella storia della sinistra italiana”. Che avrebbe potuto ben ammodernarsi prima se non avesse scambiato l’allora segretario socialista prima per un avventuriero e poi per un delinquente, preferendolo in galera, o “latitante”, piuttosto che interlocutore politico. E ciò solo per la pratica, peraltro confessata in Parlamento, del finanziamento illegale di partiti: pratica biasimevole ma diffusissima, diciamo pure generalizzata, fatta eccezione forse solo per i radicali di Marco Pannella.

Ma il D’Alema che, nonostante le ammissioni di oggi, un po’ troppo tardive, continuo a ricordare, o che non riesco a dimenticare, è purtroppo un altro.

E’ il D’Alema capogruppo della Camera, silenziosamente consenziente, che secondo un racconto fattomi dall’allora collega democristiano Gerardo Bianco, felicemente ancora in vita per smentirmi se ne sto riferendo male, partecipò ad un incontro, nell’ufficio dello stesso Bianco, con l’allora segretario della Dc Mino Martinazzoli. Al quale l’allora segretario del Pds-ex Pci Achille Occhetto, alla vigilia delle votazioni a Montecitorio sulle autorizzazioni a procedere contro Craxi avanzate da varie Procure italiane, chiese come prova di svolta e auspicio di buona vita per l’appena nato governo di Carlo Azeglio Ciampi il sì dei parlamentari dello scudo crociato ai processi contro il leader socialista, rimediandosi da Martinazzoli l’unica risposta accettabile da una persona onesta: che i parlamentari del suo partito avrebbero votato secondo coscienza, non secondo un ordine politico. E così avvenne, per cui solo alcune delle autorizzazioni chieste dalla magistratura furono concesse, altre respinte, provocando come reazione l’uscita dei ministri comunisti o post-comunisti dal governo guidato dal governatore uscente della Banca d’Italia. Seguì l’infame spettacolo delle monetine lanciate contro Craxi all’uscita dall’albergo romano dove risiedeva.

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Non riesco purtroppo a dimenticare neppure il D’Alema dei giorni che pur si è appena vantato di avere trascorso nel tentativo o nella “trattativa umanitaria” per consentire al povero Craxi di trascorrere da uomo libero quelle che sarebbero state le ultime giornate o settimane della sua vita in Italia, assistito da medici e cure più difficili che in Tunisia.

E’, in particolare, il D’Alema presidente del Consiglio che manda un dispaccio diplomatico d’auguri a Craxi, tramite l’ambasciata italiana a Tunisi, dopo il pesante intervento chirurgico al quale Bettino era stato sottoposto nell’ospedale militare di quella città, il più attrezzato e sicuro di quel Paese, dove però la lampada per illuminare il paziente e gli operatori era tenuta a mano da un infermiere, e i ferri per l’operazione erano stati portati dagli operatori da Milano.

Quel dispaccio d’auguri aveva, fra gli inconvenienti tecnici o burocratici dei messaggi di quel tipo, la mancanza del nome del mittente, dovendo bastare e avanzare la sua qualifica di governo. Una cosa che ferì umanamente il paziente, pur al corrente delle pratiche diplomatiche e di governo per essere stato per quattro anni quello capo del governo. Egli arrotolò con delusione, per non dire di più, quel foglio di carta e lo scaraventò a terra, secondo il racconto fattomi dal suo autista e fedelissimo amico Nicola Mansi. Che purtroppo non c’è più, neppure lui. Ma ci furono anche altri testimoni, felicemente e fortunatamente in vita, che potrebbero smentirmi, se l’episodio non fosse vero.

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