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La Cia cambia le regole di spionaggio. Ecco come

Per la prima volta nella storia la Cia ha pubblicato sul suo sito internet le nuove regole che applicherà per la raccolta di informazioni sui cittadini americani. Mercoledì, a due giorni dall’inizio ufficiale dell’Amministrazione Trump, il capo della Cia John Brennan e la segretaria alla Giustizia Loretta Lynch hanno firmato insieme – dopo l’approvazione del Director of National Intelligence James Clapper – le 41 pagine del documento.

A TUTELA DEI CITTADINI

Si tratta di un regolamento tecnico incluso nell’Executive Order 12333 che ha come obiettivo tenere in primo piano i diritti dei cittadini, soprattutto per quello che riguarda i dati il cui valore di intelligence non è immediatamente comprovato e che, come conseguenza delle nuove tecnologie e dei big data, finiscono controllati da diversi gruppi di analisti (e dunque potrebbero prendere vie laterali). Vengono regolamentate anche le tecniche per l’acquisizione e viene imposto un tempo di cinque anni prima della distruzione delle informazioni non rilevanti, quelle magari acquisite su terzi durante un’indagine. Le regole precedenti, secretate e non pubblicata come adesso, risalivano al 1982 e i vari aggiornamento non le avevano messe in pari con l’era digitale.

IL CONTESTO TEMPORALE

Le nuove Attorney General Guidelines arrivano una settimana dopo dell’approvazione da parte della Casa Bianca di un ampliamento dei poteri della National Security Agency, che si occupa di intercettazioni, che adesso potrà condividere i dati raccolti con le altre agenzie come la Cia. Questa decisione aveva provocato uno strascico polemico sollevato dalle associazioni dei diritti, perché si ricorderà che l’Nsa è l’agenzia su cui Edward Snowden aveva iniziato le rivelazioni che crearono il caso del Datagate oltre tre anni fa. Snowden, considerato da metà dell’opinione pubblica mondiale un paladino della giustizia civile (l’altra metà lo vede come un traditore) aveva svelato i meccanismi con cui il governo americano osserva più o meno chiunque: ora vive rifugiato in Russia perché su di lui pendono accuse pesanti, e la scorsa settimana Mosca gli ha rinnovato il permesso di soggiorno per almeno due anni; una decisione che è sembrata una provocazione nei confronti di Washington che ne chiede l’estradizione. Contemporaneamente Barack Obama, in uno degli ultimi passaggi della sua amministrazione, ha commutato la pena a Chelsea Manning, ex analista dell’intel militare che ha passato dati riservati a WikiLeaks. La mossa di Obama ha un doppio significato politico: da un lato recupera consenso tra le posizioni più di sinistra del partito, e lo stesso lo fa con la diffusione delle nuove regole della Cia (è proprio la diffusione in sé ad essere apprezzata come atto di trasparenza, poi è chiaro che Langley continuerà a fare il suo lavoro di servizio segreto). Dall’altro intralcia il percorso del presidente eletto Donald Trump. Pochi giorni prima dell’annuncio, Wikileaks aveva fatto sapere che se Obama avesse concesso la grazia a Manning, Julian Assange si sarebbe consegnato alle autorità americane. “Così facendo – sottolinea a Formiche.net Gianluca Di Tommaso, comunicatore, analista della politica americana e curatore del sito specialistico US Insider – Obama mette ancora una volta in difficoltà Trump che, se Assange rispetterà la promessa, anche se sembra frenare, si troverà a gestire il processo per spionaggio più importante di sempre. E sappiamo quali sono le questioni che pendono tra Trump, Assange e la Russia, dopo gli ultimi mesi”. Il riferimento va ovviamente all vicenda dell’hacking durante le presidenziali, per cui Washington accusa Mosca, con WikiLeaks che ha fatto da cassa di risonanza per i dati sottratti dagli hacker del Cremlino (forse in combutta, dicono i falchi americani, per far perdere Hillary Clinton). L’argomento ha creato tensioni tra Trump e la comunità di intelligence americana.

COSA PUÒ FARE TRUMP

Ora il pallino è definitivamente in mano a Trump, che potrà anche modificare i protocolli decisi dopo anni di lavoro dalla Cia; era iniziato su sollecitazioni dei legislatori nel 2014, proprio dopo gli scandali prodotti dai whistleblower. Per quel che è noto il prossimo presidente ha intenzione di far adottare alle agenzie pratiche più forti (c’è un dibattito, per esempio, tra i componenti della nuova amministrazione sulla bontà delle pratiche di tortura da interrogatorio: Trump le riteneva importanti, ma è stato calmierato dal prossimo capo del Pentagono James Mattis, al contrario il prossimo capo della Cia, Mike Pompeo, aveva definito gli agenti che usavano certe pratiche dei patrioti). È possibile che Trump modifichi le nuove regole della Cia, come primo passo della sua intenzione di rimettere mano alle agenzie. A cominciare per esempio dai briefing di intelligence: è noto che il repubblicano li apprezzi relativamente, e infatti durante la fase di transizione ne ha tenuto uno a settimana mentre i suoi predecessori hanno avuto ritmi giornalieri. Il presidente eletto ha ripetuto più volte di non aver troppo tempo da dedicare a questi rapporti, che dovrebbero essere soprattutto brevi (“datemi i bullets points”, singole frase importanti, tipo PowerPoint ha ironizzato la NBC) e che spesso hanno un fare “spaventoso” esagerato.

LA POLEMICA TRA TRUMP E L’INTEL

La polemica tra Trump e le agenzie negli ultimi dieci giorni si è acuita, dopo che è stato reso pubblico un dossier su possibili imbarazzanti kompromat (che significa raccolta di informazioni compromettenti da usare per ricatto) russi ai danni del presidente. Mercoledì il capo della Cia Brennan si difeso in un’intervista al Wall Street Journal alle polemiche di Trump; via Twitter, indirettamente, il Peotus si era chiesto se fosse il direttore “il leaker delle fake news” contenute nel molto criticato dossier (notare il termine, “leaker” che aggancia le questioni di cronaca, da Manning a Snowden). Due giorni fa il figlio Michael Flynn Jr, figlio dell’omonimo ex generale scelto da Trump con Consigliere per la Sicurezza nazionale, ha twittato un link che riprendeva un sito cospirazionista in cui venivano elencate alcune delle possibili modifiche che la nuova Casa Bianca imporrà ai servizi. Non c’è niente di vero o ufficiale, e il soggetto è caduto già varie volte nella tentazione di condividere bufale (per esempio, il caso del Pizzagate), ma che qualcosa bolle in pentola è noto (a inizio gennaio il Wsj aveva pubblicato un articolo ben informato a proposito, tagli sul personale, meno analisti e più operativi). Centodiciotto veterani dell’intelligence hanno inviato a colui che tra meno di 48 ore sarà il presidente degli Stati Uniti una lettera per chiedergli di smettere questa singolare guerra contro i servizi segreti. Il presidente della società di intelligence privata inglese Legatus, Cristopher Mackmurdo ha scritto un intervento su Guardian dal titolo esplicito: “Qual è la prossima grande minaccia per l’intelligence americana? Donald Trump”.

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