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Montezemolo e la storia di quelle foto di Gianni Agnelli. I ricordi di Umberto Pizzi

Di Fabrizio d’Esposito e Alessandro Ferrucci
Pizzi

Umberto Pizzi è una sorta di certificato, ogni sua foto è un bollino per la notorietà: se il suo obiettivo non ti inquadra, se non strizza l’occhio sinistro per mettere a fuoco, non sei nessuno. Star, pseudo-star, politici, banchieri e manager lo cercano, lo vogliono, si mettono in mostra, accentuano pur di risultare, lo chiamano “Umbè!.. Umbè!”. Ed eccoli lì, bocche piene di cibo, tradimenti, baci strappati, capitomboli, labbra sporche di panna, femmine senza mutande e maschi ubriachi; Marcello Mastroianni “sfruttato” dalle donne o Sophia Loren pizzicata con l’amante; Aristotele Onassis inseguito dalle prostitute, Gianni Agnelli in auto con una ragazza molto giovane, troppo giovane per lui. Ha beccato chiunque, da oltre cinquant’anni, e utilizza il suo obiettivo come una mitraglietta, e quando racconta non parla di scatti, ma di “colpi”. Lui picchia o mena. “E non mi sono mai fermato, mai”.

Sabato 7 ottobre ha compiuto 80 anni, tutti i giorni prende il treno da Zagarolo destinazione Roma, poi sale sul motorino e arriva al Fatto, spesso con in mano la frutta e verdura del suo orto (“sentite queste pesche, sono una meraviglia”), o con le crostate cucinate dalla moglie (“la marmellata è nostra”). Poi inizia il giro insieme al suo obiettivo, e ogni pomeriggio riporta in redazione i colpi.

(GLI 80 ANNI DI UMBERTO PIZZI RACCONTATI DALLE SUE FOTO. AUGURI MAESTRO!)

Partiamo dalle tue origini.

Da ragazzo ho frequentato un collegio con scuola d’arte a Pesaro, ma ero negato in tutto, neanche in grado di disegnare la famosa “o” di Giotto con il compasso.

Non sei di Pesaro.

Provengo da una famiglia proletaria, mio padre bracciante, mamma casalinga, ed eravamo nove fratelli, per questo sono stato in collegio. Poi trovai una macchina fotografica dell’epoca, la Voigtländer una di quelle a soffietto, e da lì ho capito.

Cosa volevi immortalare?

La storia e la miseria del mondo: calcolate che sono nato a Zagarolo, un paesino poco lontano da Roma, completamente bombardato durante la guerra; quando ho letto Furore di Steinbeck, mi sono reso conto che eravamo indietro di cinquant’anni rispetto a quelle pagine.

Quindi Roma.

A undici anni ho smesso di studiare, tutta la famiglia trasferita nella Capitale; da quel momento ho svolto qualsiasi tipo di lavoro o lavoretto, mi ricordo quando scaricavo i camion e ogni sera tornavo a casa con le mani sanguinanti. A 18 anni la prima svolta.

Con la macchina fotografica?

No, andai a lavorare da un ricco signore, Della Casa, proprietario anche di un grande albergo di lusso in via Veneto: aveva perso una gamba, così lo accompagnavo in giro, magari su una delle sue Rolls Royce. Vita noiosa, ma pagata bene; non vedevo un futuro.

Fino a quando?

Il massaggiatore del mio capo era un amante della fotografia, e grazie a lui ho iniziato a studiare, sia i segreti della macchina sia l’inglese.

Lo parli bene?

Ancora me la cavo, ma allora ero obbligato: ho viaggiato per tutto il Medio Oriente e lavoravo soprattutto con i giornali americani.

Comincia l’avventura.

Il massaggiatore mi presentò a una responsabile della Fao e con lei mi misi d’accordo per una serie di missioni. Ho viaggiato per anni lungo tutto l’oriente; mi sono spinto dall’Africa all’Iran, in posti incredibili, fiabeschi, ora distrutti; ho parlato e conosciuto quello che allora era l’ignoto, sempre con la macchina al collo. Poi rientravo a Roma, vendevo le foto alla Fao, e ripartivo.

Una gavetta formidabile.

Sono andato avanti così fino al 1966-67 ma non guadagnavo nulla e inoltre mi ero sposato: non potevo continuare a stare lontano per mesi interi.

È l’ora degli scoop in Italia.

Piano, piano. La responsabile della Fao mi consigliò: ‘Segui i paparazzi, guarda come lavorano, ruba i loro segreti, ti servirà per i reportage’.

Via Veneto e la Dolce Vita?

No, quella era finita: Fellini ne aveva decretato la morte con il suo film. Ma sapete com’era nata? Davanti alla stazione Termini si radunava un gruppo di disgraziati che sopravviveva grazie agli ‘scattini’, una sorta di foto istantanee per i turisti; un giorno arriva Edilio Rusconi, allora direttore di Oggi (e futuro editore), e dice: ‘Ma che fate qui? Andate in via Veneto, sono arrivati dei nuovi attori americani, una foto a loro e guadagnate di più’. Così, semplicemente così.

Bella intuizione.

Era un mix di prelati, star, champagne, macchinoni, mignotte a caccia del pollo e che poi portavano in stanze affittate nei migliori hotel.

Infatti hai fotografato Onassis agganciato da due donne.

Esatto. Lui era abituato. In quel periodo ero da solo a lavorare, i vecchi paparazzi azzerati, l’unico a salvarsi fu Tazio Secchiaroli, finito sui set di Fellini, per gli altri nulla…

“Azzerati”?

Terminata la Dolce Vita non avevano capito che il personaggio andava seguito, stanato, studiato nelle sue abitudini; erano necessari gli informatori: al Grand Hotel c’era un portiere al quale davo spesso qualcosa.

Lo pagavi?

Mai dato soldi a chicchessia. Gli regalavo un orologio, o altro, i contanti li consideravo poco professionali.

I primi guadagni “veri”?

Con i tre mesi attaccato a Liz Taylor ho acquistato una piccola casa a Roma, non in centro, ma comunque un tetto. Attenzione: per ottenere il giusto servizio l’ho seguita a Londra, per l’Italia, ovunque, ma dopo ho venduto gli scatti in dieci Paesi del mondo.

Lei non ti avrà amato.

Alla fine si era abituata, mi aveva soprannominato ‘Faccia di gomma’, secondo lei quando la vedevo sorridevo, mentre al momento della foto diventavo serio, deciso; Richard Burton mi sopportava molto meno.

Eri diventato ricco.

Esagerato. Il mio primo conto in banca è arrivato grazie ai Rolling Stones. È il 1970, sono a Roma, alloggiano all’hotel Parco dei Principi. Mi apposto. Si ferma un’auto, scende Mick Jagger, scatto, lui mi dà una spinta, cado e spacco la macchina fotografica. Subito vado dall’avvocato, il quale gli blocca gli strumenti per il concerto. Risultato: mi hanno pagato 1.750 sterline, con le quali ho aperto il conto.

Lo hai più incontrato?

Certo, e ogni volta diceva ai bodyguard: ‘Fategli fare quello che desidera, questo è troppo caro’.

Altri incroci pericolosi?

Alla fine nessuno, al massimo ho dato un cazzotto in faccia a Depardieu, solo perché era ubriaco, l’avevo beccato in un residence con Sylvia Kristel, voleva colpirmi; gli andò male.

(GLI 80 ANNI DI UMBERTO PIZZI RACCONTATI DALLE SUE FOTO. AUGURI MAESTRO!)

Poi?

Con Fellini e la Masina: tra loro erano un po’ come fratello e sorella e li sorprendevo spesso con i rispettivi ‘amici’ e picchiavo, specialmente lui.

A botte con Fellini?

No, in senso metaforico, ma con lui c’era gusto, una sorta di vendetta per come aveva trattato i paparazzi ne La Dolce Vita: da infami.

Il sesso, gli amanti, le corna ostentate: sono un tema ricorrente.

Sì, però solo una volta ho fatto entrare la sfera privata nel campo professionale: mi chiama un amico, aveva dato uno sganassone alla moglie perché cornuto; ‘Umbè, mi devi salvare, il suo amante è un pezzo grosso dei carabinieri’. Va bene. Mi apposto, la seguo, e dopo 24 ore li becco. Click.

Com’è finita?

Per ringraziarmi mi dà una dritta su Sophia Loren, sposata con Carlo Ponti: ‘Esce con uno scienziato’. Beccati. Ho poi venduto gli scatti negli Stati Uniti, un botto clamoroso e 10 mila dollari di premio.

Felicissima la Loren.

Per lei sono finito in carcere: eravamo nell’Isola di Saint Lucia ai Caraibi.

Sembra impossibile.

Passo indietro. Dopo la vicenda dello scienziato, ho pure raccontato quella successiva: l’infatuazione con Ettore Scola mentre giravano Una giornata particolare.

Ettore Scola?

Era micidiale, tutte si innamoravano di lui, compresa la Loren e li beccai a Cannes.

Arriviamo ai Caraibi.

Girava un altro film, parto, sfiga vuole che capito nel suo stesso hotel, lo scopre; guarda caso il giorno dopo mi ferma la polizia, era appena morto Aldo Moro e mi accusano di essere un brigatista. Due giorni di galera e mi rispediscono in Italia.

Unica volta in prigione?

No, tre in totale.

Le altre due?

Sette giorni ad Atene per aver fotografato Theodorakis (compositore, in carcere durante la dittatura dei colonnelli, ndr); infine a Praga dopo l’invasione sovietica.

Cosa piaceva al pubblico di allora?

Non tanto le corna, più lo stile di vita, con chi uscivano, gli yacht, cosa mangiavano, cosa bevevano, dove andavano in vacanza, come ci andavano, le stravaganze: a quel tempo non si viaggiava, quindi viaggiavano con la fantasia.

Va bene, però le storie di Mastroianni avevano appeal.

Attenzione: la sua immagine è stata un po’ falsificata, non era quel tombeur de femmes descritto; più che altro veniva sedotto, utilizzato e spesso accantonato. Lui poi era massacrato dalla mamma, la quale si infilava nei set e lo insultava: ‘Smettila di uscire con queste quattro zoccole’ (qui Mastroianni visto da Pizzi nelle foto d’archivio).

Stai smontando dei miti.

E tante cose non sono uscite.

Per esempio?

La storia di Carlo Ponti (marito della Loren) con Dalila Di Lazzaro: quegli scatti venivano acquistati prima di uscire, per alcuni colleghi erano degli assegni circolari da incassare, dei veri bancomat.

Altri “bancomat”?

Angelo Moratti. Una sera lo pizzico fuori dall’hotel con una donna. Lui scioccato. Raggelato. Viene immediatamente da me ed estrae dalla tasca un enorme rotolo di banconote.

Un metodo-Corona ante litteram.

E no! A Moratti ho suggerito di non offendermi, i soldi li ho rifiutati, poi ho aperto la macchinetta e tolto il rullino; ed io dalla Di Lazzaro e Ponti mi sono sempre rifiutato di andare, e quando un direttore di un settimanale me li ha proposti, l’ho pure mandato a quel paese.

Quindi hai cancellato le foto di Moratti.

Da allora ogni volta che mi incontrava, ovunque, si avvicinava per salutarmi.

Il tuo rapporto con Onassis?

Un filibustiere simpatico, si interessava di tutto, mi fermava e mi domandava quanto guadagnavo… con Andreotti lo stesso.

E Gianni Agnelli?

Gli menavo.

All’Avvocato?

Sempre nel senso professionale. Il culmine fu nel 1980: la Fiat stava per mettere migliaia di operai in cassa integrazione e lo beccai fuori dal Jackie O’ di Roma con una ragazzina. Scatto le foto. La Fiat teme il disastro, così il giorno dopo mi chiama Luca Cordero di Montezemolo, prova a comprare le immagini. Rifiuto. ‘Se le volete, le deve acquistare una testata giornalistica’. Così è stato: mi hanno contattato, ho venduto il servizio. Non è mai uscito.

(Qui l’intervista completa pubblicata sul Fatto Quotidiano)

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